Barbarie e grandezza di piazza Tahrir

Carlo Panella

Piazza Tahrir è intrisa di barbarie di maschi: le manifestanti sono violentate da manifestanti. Stupri di gruppo, di branco. Mai, mai, in nessuna rivolta di piazza nel mondo arabo era accaduto qualcosa di simile. Mai nelle tante volte dal 1946 a oggi in cui piazza Tahrir è stata epicentro della politica dell’Egitto. Mai in Iran, unico paese in cui vi siano state manifestazioni ancora più grandiose. Mai in Algeria, che ha visto manifestazioni oceaniche dagli anni Cinquanta in poi. Mai in Tunisia, in quella avenue Bourguiba che ha abbattuto il regime di Ben Ali; né in Iraq, Libano, Yemen, Pakistan, Indonesia, Bangladesh.

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    Piazza Tahrir è intrisa di barbarie di maschi: le manifestanti sono violentate da manifestanti. Stupri di gruppo, di branco. Mai, mai, in nessuna rivolta di piazza nel mondo arabo era accaduto qualcosa di simile. Mai nelle tante volte dal 1946 a oggi in cui piazza Tahrir è stata epicentro della politica dell’Egitto. Mai in Iran, unico paese in cui vi siano state manifestazioni ancora più grandiose. Mai in Algeria, che ha visto manifestazioni oceaniche dagli anni Cinquanta in poi. Mai in Tunisia, in quella avenue Bourguiba che ha abbattuto il regime di Ben Ali; né in Iraq, Libano, Yemen, Pakistan, Indonesia, Bangladesh. La scabrosa tradizione degli stupri di pazza Tahrir inizia il 16 febbraio 2011, quando la giornalista sudafricana Lara Logan fu violentata durante una delle prime manifestazioni contro Hosni Mubarak. Francesca Paci sulla Stampa riporta questa trista contabilità, in una Cairo che è oggi capitale mondiale delle molestie sessuali: 5 aggressioni sessuali a Tahrir il 28 giugno, 46 aggressioni domenica 30 giugno, il “giorno glorioso”, 17 il primo luglio e 23 il 2 luglio: in totale 91 in cinque giorni.

    Ma piazza Tahrir è anche intrisa di eccelso (questo affascina i media politically correct), con la sua straordinaria capacità di abbattere due regimi autoritari in due anni. Piazza Tahrir, però, è anche intrisa di saggezza e coraggio, incarnati da centinaia di uomini che si dispongono a impenetrabile cordone a protezione delle donne, formando quell’impressionante – ma tristissimo – gineceo a corona che vediamo nelle immagini dal Cairo. Piazza Tahrir, in sintesi, è impasto del peggio e del meglio dell’Egitto, ma ha una debolezza estrema: non ha alcuna capacità di direzione politica. Punto di forza cruciale, questo, dei Fratelli musulmani. In due anni Tahrir ha chiesto ai generali un “putsch di Palazzo” contro Mubarak e ora un vero e proprio golpe contro Mohammed Morsi per la drammatica ragione che non ha un riferimento politico almeno capace di vincere una elezione, e nemmeno a parlare di governare con saggezza. Ma – vero punto dolente – i generali egiziani acclamati con fuochi d’artificio da Tahrir non sono affatto quel presidio di laicità di cui i media occidentali vaneggiano. Men che meno quel maresciallo Abdel Fattah al Sisi che ha deposto Mohammed Morsi. Proprio Morsi l’aveva posto a capo delle Forze armate per due ragioni scabrose. Innanzitutto, quale capo dell’Intelligence militare, possedeva tutti i dossier non solo sulle peggiori compromissioni con Mubarak di tutti i generali egiziani (a iniziare dal maresciallo Hussein Tantawi che soppiantò), ma anche sulle loro immense ruberie. Enorme riserva di ricatti. In secondo luogo, era ed è un generale “di raccordo” con i Fratelli musulmani, sia per legami famigliari (suo nipote è dirigente della Fratellanza) sia per ideologia. Sua moglie porta il niqab, il velo integrale (non il normale hijab, il foulard sul capo) e – per raccordarci con gli stupri di massa – fu proprio lui a difendere pubblicamente gli orridi “test di verginità” a cui i suoi ufficiali sottoposero centinaia di “donne di piazza Tahrir” fermate.

    Non solo: sotto il comando di al Sisi, sono continuati gli arresti di massa di manifestanti, processati da corti militari (14.000 casi), e le crudeli torture inflitte nelle caserme ai manifestanti arrestati, proprio come sotto Mubarak. Ancora, il patto segreto siglato tra Morsi e al Sisi quando il primo decise di sostituire (riempiendolo di denaro e onori) il maresciallo al Tantawi prevedeva due passaggi chiave: che il budget della Difesa continuasse a restare segreto e che nulla sarebbe stato fatto per sottrarre alla Forze armate il controllo del 30-40 per cento dell’economia egiziana (gli intrecci societari sono tali che non è possibile alcuna precisione). Il “liberatore” al Sisi, che oggi ha in mano l’Egitto – tra gli applausi di piazza Tahrir –, incarna insomma la peggiore continuità autoritaria con il precedente regime e con l’islamismo politico ed è garante del groviglio di tentacoli economici che superfeta corruzione e inefficienza nell’economia egiziana (ragione non ultima del rifiuto di Morsi delle riforme richieste dal Fmi per salvare il paese). Questo è il “lato oscuro” di quel groviglio di grandezze e miserie che è la rivolta di piazza Tahrir. Che non è una rivoluzione perché non sa distruggere, ma nemmeno disaggregare, delle Forze armate autoritarie e corrotte, e anzi si mette sotto la loro protezione politica, senza, non si dica un partito, ma nemmeno una leadership che la indirizzi.

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