Tutta suo padre

Marianna Rizzini

Il Cav., a occhio, non deve aver educato Marina come “Lady Oscar”, la protagonista del cartone animato anni Ottanta in cui la figlia femmina viene vestita da soldato “perché il buon padre voleva un maschietto”, ma si capisce che qui, prima che bussi alla porta la storia della “Forza Italia 2.0”, come dicono nel Pdl, la storia è un’altra: una figlia che si fa vera first lady, ma non alla maniera laterale di Marianna Scalfaro; una figlia che si fa anche madre di suo padre e, in una sorta di Biancaneve al contrario, addirittura nume tutelare della sua attuale “matrigna” giovane, Francesca Pascale (che si dice “amica” di Marina, forte della frequentazione ai lunedì di Arcore e delle foto insieme sui rotocalchi, e fa dichiarazioni tra il protettivo e lo scettico sulla futura successione: “Non sarebbe un errore se Marina scendesse in campo, ma non credo che Silvio sarebbe d’accordo, visto quello che è successo a lui”).

    Il Cav., a occhio, non deve aver educato Marina come “Lady Oscar”, la protagonista del cartone animato anni Ottanta in cui la figlia femmina viene vestita da soldato “perché il buon padre voleva un maschietto”, ma si capisce che qui, prima che bussi alla porta la storia della “Forza Italia 2.0”, come dicono nel Pdl, la storia è un’altra: una figlia che si fa vera first lady, ma non alla maniera laterale di Marianna Scalfaro; una figlia che si fa anche madre di suo padre e, in una sorta di Biancaneve al contrario, addirittura nume tutelare della sua attuale “matrigna” giovane, Francesca Pascale (che si dice “amica” di Marina, forte della frequentazione ai lunedì di Arcore e delle foto insieme sui rotocalchi, e fa dichiarazioni tra il protettivo e lo scettico sulla futura successione: “Non sarebbe un errore se Marina scendesse in campo, ma non credo che Silvio sarebbe d’accordo, visto quello che è successo a lui”). Ed è in questo pendolo tra l’essere Marina e l’essere Silvio, forse, la chiave per capire come si muoverà Marina oltre lo specchio – ché questo dicono i suoi amici: “Marina è continuamente spinta a uscire da se stessa”.

    Le donne, il Cavalier, l’arme e gli amori, le cene e i tribunali, le cortesie, le audaci imprese e persino i cani e i padroni, cani veri, in carne e ossa, quelli dell’incredibile mistero scandagliato tre anni or sono dal quotidiano Nice-Matine (“tentato avvelenamento di due dei sette cani da guardia della villa di Marina Berlusconi”, diceva il titolo, ma poi l’indagine, nel villaggio provenzale, era stata presa in mano dalla Gendarmerie, con tanto di interrogatorio a tutti i personaggi come nei film di Agatha Christie – veleno per topi, l’arma; possibile contrasto tra vicini di casa, il movente – e anche i cani per fortuna si erano salvati): fatto sta che c’è da ammattire, di questi tempi, a essere Marina Berlusconi, figlia di Silvio, presidente di Finivest e Mondadori nonché anima del focolare della villa di Valbonne e poco entusiasta marinaia nelle rare puntate nella baia, a bordo di una barca dal nome spagnolo come quella di suo fratello Pier Silvio (“Besame” e “Sueño”). Ma lei, Marina, ora anche papa straniero del centrodestra, sognata dalle cosiddette amazzoni (Micaela Biancofore ci vede addirittura “la nostra Renzi”) e non agognata dagli oligarchi di ambiente ex An, non è ammattita. “E’ diventata sempre più Marina, che è come dire sempre più Silvio”, dice un amico, ed è un fatto che la figlia sempre più al padre guarda, più di quanto non abbia sempre fatto nel lavoro abbracciato presto, dopo la discesa in campo del Cav. nel 1994, al termine del liceo a Monza, dell’invaghimento da poster per Claudio Baglioni e Miguel Bosé e di un periodo bello e non troppo scapestrato in Inghilterra, dove Marina era andata per studiare l’inglese, lavorando intanto come commessa addetta agli orli e innamorandosi di un ragazzo del luogo – erano gli anni della Thatcher, disse Marina a Francesco Merlo che nel 1998 la intervistava per il Corriere della Sera e a Maria Latella su Sette. A lei non sembrava triste, quell’Inghilterra da film di Ken Loach. Anzi la Thatcher le parve, ex post, un modello da imitare.

    Quanto c’è del padre e quanto c’è della figlia?, si chiedono quelli che, nell’atteggiamento della figlia, più che nelle sue dichiarazioni sul processo Ruby (“farsa che non doveva neanche cominciare”), vorrebbero leggere le intenzioni del padre. Ma è difficile capire dove si annidi il dettaglio rivelatore nel gioco di specchi tra l’uno e l’altra, nella saudade di entrambi per gli anni Ottanta, nel look che in entrambi non è mai davvero décontracté, nell’arredamento delle case di Marina che tradiscono la fissazione di Silvio per il Settecento francese e persino nelle scelte affettive di Marina, legate in qualche modo al mondo teatrale amato dal padre e respirato dalla figlia, quando, poco più che bambina, andava con Silvio alle riunioni da cui sarebbero nate le tre tv della futura Mediaset: non a caso Marina ha sposato un ex ballerino della Scala, Maurizio Vanadìa, da pronunciarsi con l’accento sulla ì come si dice nella natia (di Maurizio) Leonforte, Sicilia, ma come non si riesce a dire a Milano – per quanti gentili sforzi faccia Vanadìa per farsi chiamare Vanadìa, c’è sempre qualcuno che in Montenapoleone lo chiama “Vanàdia”. E pare che Silvio, il padre, così sommamente attento all’iconografia (“in ogni casa Berlusconi i ritratti di gruppo tipo famiglia di reali spagnoli al Prado e le gigantografie abbondano”, dice un amico), abbia provato sincera soddisfazione alla vista del calendario celebrativo di Leonforte, qualche anno fa, con il mese di gennaio dedicato alla coppia Vanadìa-Berlusconi (e ancora si infiammano di gelosia, al pensiero, nel vicino paese di Calascibetta, dove il Vanadìa ha vissuto da bambino).

    Di fronte alla ricorrente ipotesi di un Berlusconi che succede a Berlusconi, Marina, nel 2011, diceva di se stessa quello che oggi dice Renato Brunetta per raffreddare l’idea: la leadership non è ereditaria, la leadership si dimostra sul campo. Per carità, non ci penso neanche, è la risposta data in questi giorni, ma è come se gli altri, attorno, non sentissero. Attorno, gli altri continuano a parlare della cena raccontata da Luigi Bisignani in radio a “Un giorno da pecora”: cena nel castello di Arcore tra padri e figli e avvocati, con l’ipotesi Marina che prende piede. Lei, la leader-to-be, tace sia di fronte a chi dice “tutto prematuro” sia di fronte a chi si lancia nel futuro con un “ne sarei felice”, ma vai a capire che cosa succederà davvero, poi, se, come dice un estimatore della Marina potenzialmente elettorale, “la storia busserà alla sua porta” – per non dire della Cassazione che, in autunno, potrebbe, con il verdetto finale sui diritti Mediaset, far maturare in Marina il senso dell’ineluttabilità di una scelta, oltre al desiderio di rilasciare un’altra intervista da guerra, come quella uscita su Panorama (quest’anno) o sul Corriere della Sera (due anni fa), interviste in cui Marina schiera le parole dure da figlia, prima di tutto, a difesa assoluta del padre “assediato” dall’“attacco concentrico” di “certi pm ad personam”. E’ la parte razionale ma anche emozionale che parla, il racconto di un dolore (“mi fa star male tutto quel che mio padre sta subendo”, ha detto a Panorama, un mese fa, intervistata da Giorgio Mulè), la risposta non mediata (ad Antonio Ingroia che “si permette di descrivere la Fininvest come una società che ha riciclato capitali mafiosi” e al quale annunciava “l’atto di citazione”) e la freccia contro il nemico Carlo De Benedetti (“altro che imprenditore, lui era e resta un inarrivabile prenditore, il numero uno di quel capitalismo cannibale che pensa solo ad arricchirsi senza dare nulla in cambio, anzi, costruisce le sue fortune sulle sfortune altrui”).

    Non è da oggi che Marina va alla guerra. La sua entrata operativa nel gruppo Fininvest, nel 1996, segue di due anni la discesa in campo paterna. Marina aveva una poltrona troppo grande per lei (nel senso fisico e dell’incarico: nera, alta, da vicepresidente). Da allora chiamarsi Berlusconi, per Marina, ha voluto anche dire fare la scelta di campo: con il padre, e non sommessamente. Con il padre, per amor filiale, nonostante la doppia veste di figlia e di editrice, nelle polemiche con la casta degli scrittori, Roberto Saviano in testa: Marina la prendeva sul serio e rovesciava la tradizionale e spregiudicata inclusività del padre verso il “nemico” (il Cav. gongolava all’idea di D’Alema e Santoro tra i suoi libri e le sue tv).

    Due anni fa, sul Corriere della Sera, intervistata da Daniele Manca, Marina ha parlato dei banchieri vicini (Cesare Geronzi con cui “c’è sempre stata grande lealtà”) ma anche del “caravanserraglio degli anti Berlusconi”, i “pm, giornalisti e teatranti che sulla caccia al Caimano hanno costruito solide carriere” e gli “eterni invidiosi che avrebbero voluto essere come mio padre ma non ci sono mai riusciti”, magari affetti da “sindrome rancorosa del beneficato” (faceva anche il nome: Gianfranco Fini). Un’intervista, due interviste, poi Marina si inabissava nel silenzio per mesi. Ma oggi che il contesto di sentenze che vengono al pettine impone alla figlia-madre-guardia del corpo dichiarazioni quasi quotidiane, la storia di Marina “carta segreta” ha preventivamente bussato alla porta della stampa estera, molto affascinata dalla possibile evoluzione della vicenda: “Sucesora de su padre en el partido de centroderecha”, annuncia il sito dello spagnolo Abc Internacional, e anche nella lontana Australia il Sidney Herald ha creduto in pieno alla mezza notizia anche mezza smentita. Il Figaro aveva già dato risalto all’idea di un modello “Berlusconi come Bush-Kennedy-Clinton” anni fa, quando aveva raccolto le testimonianze dei maestri di apprendistato di Marina in azienda. Il manager Franco Tatò, le cui riunioni, negli ambienti Fininvest, si erano guadagnate la fama di “simil-master accelerato ad Harvard”, aveva ricordato “la ragazza che girava con il taccuino”, e Fedele Confalonieri, supremo occhio ieri come oggi, ne aveva parlato con riservatezza affettuosa: ragazza che “affronta bene” le nuove responsabilità, “complementare” al fratello Pier Silvio. Lei ricambia con un timore reverenziale esteso anche ad altri campi: quando va alla Scala, se il melomane Confalonieri è nei paraggi, Marina chiede un rapido ripasso dell’opera ad Alfonso Signorini, “il suo Gianni Letta”, dicono a Milano, e l’amico che nelle serate casalinghe e nei weekend provenzali le raccontava il mondo là fuori, oltre a pubblicare su Chi le foto del matrimonio e delle vacanze alle Bermuda o in barca, commentate da un giornalista-archeologo che una volta paragonò Marina, “bellezza selvaggia”, alla “ninfa Galatea” (ora Signorini e Marina si vedono meno, i maligni parlano di un “raffreddamento”; i non maligni li vedono protagonisti di “un’amicizia comunque indissolubile”).

    Ogni volta che si ripresenta l’ipotesi “Marina dopo Silvio”, c’è sempre chi vede farsi meno astratta la “propensione” di Marina verso la politica, sviluppata in anni e anni da osservatrice delle vicende paterne e in un decennio di lettura pignola dei giornali, e c’è chi, al contrario, dice che “il resto” che frena Marina sulla via dell’impegno diretto non è fatto solo di ostacoli alti ma nelle necessità forse superabili – la vita normale che Marina vorrebbe conservare, il weekend quasi sacro in Provenza, la colazione preparata personalmente per tutti, prima che arrivino tata e cuoco, le serate con i genitori non Vip degli amici di scuola o di pianoforte dei figli Gabriele e Silvio, e il dopocena sul divano a guardare dvd col marito. Il “resto” che frena Marina, dicono gli scettici, è fatto anche di un problema talmente concreto da sconsigliare l’avventura: se Marina succede a Silvio in politica, chi succede a Marina nelle aziende?

    Marina ha un fratello, Pier Silvio, che sempre protegge da qualsiasi critica e sempre nomina nei discorsi, come a volerlo idealmente presentare a questo o quell’interlocutore. Marina ha una sorella, Barbara, l’altra primogenita nella famiglia allargata, che le è simile per piglio da primogenita, appunto, ma non per indole. Non è necessariamente lo schema figli di Carla Dall’Oglio-figli di Veronica Lario, il sotterraneo punto di fibrillazione latente, peraltro sempre contenuto da frequentazioni non solo natalizie o vacanziere, ma è evidente che, in qualche modo, Marina e Pier Silvio, da un lato, e Barbara, Eleonora e Luigi, dall’altro, restano due facce di un diverso modo d’intendere il proprio berlusconismo. Due primogenite, due polarità: Barbara nelle gallerie d’arte, Marina a Valbonne; Barbara in silenzio, Marina che denuncia, con l’elmetto, “fanatismi” e “arruffapopoli”; Barbara mamma-ragazza che in ciabatte e pareo segue l’amore brasiliano avanti e indietro sugli aerei, Marina tradizionalmente sposa e madre nella casa-fortezza di Arcore, in inverno, tra pochi parenti e amici selezionati, con la natura addormentata che fa capolino dalla finestra e l’abito bianco di Dolce & Gabbana che riluce rigido, come tutte le camicie di raso che spuntano dai suoi tailleur. Che la suggestione dello sposalizio decembrino fosse la nebbiosa campagna inglese vissuta in gioventù da Marina e da sua madre Carla, la prima moglie del Cav., o quella francese frequentata da Marina negli ultimi anni, certo è che la coppia Vanadìa-Berlusconi resta antropologicamente estranea all’ambiente milanese dei chiostri nascosti nei palazzi del centro, dove vengono considerati “balzacchiani” tutti gli altri e ci si muove secondo i codici del ruolo, quello sì tramandato di padre in figlio – il che non vuol dire che Marina non coltivi relazioni proficue tra Brera, San Babila e Piazza Affari. Priva dello snobismo di cui è privo anche il padre, Marina ha la consapevolezza di essere costantemente giudicata, motivo per cui spesso chiede lumi a quelli che considera “esperti” in qualcosa, da Sergio Romano a Stefano Folli a Paolo Del Debbio ad Aldo Cazzullo, anche protagonista dell’omonima “operazione Cazzullo”, per usare l’espressione degli addetti ai lavori: per arginare il dilagare nelle librerie di saggi di argomento “partigiani rossi contro partigiani di altri colori”, targati Rcs e firmati Giampaolo Pansa, in Mondadori si era pensato a una massiccia invasione di romanzi targati Segrate e firmati Cazzullo, comunque improntati a un moderato revisionismo, tanto che Cazzullo stesso era stato arruolato come consigliere di marketing e casting da copertina, prima dello sbarco in tutte le stazioni e le librerie: leggenda vuole che il giornalista-scrittore si aggirasse per Segrate con un fazzoletto rosso e varie foto di ragazze consigliate dalle agenzie per impersonare la partigiana (con fazzoletto rosso al collo, appunto) poi immortalata sulla copertina del suo “La mia anima è ovunque tu sia”.

    Di qua dallo specchio che forse non attraverserà mai, Marina non ha potuto trincerarsi del tutto nella vita non mondana che conduce (a parte le apparizioni a Saint-Tropez e, a Milano, al “Giacomo Bistrot”), vita dove tutto è protetto dalla casa che contiene un mondo: la palestra, la natura (in terrazzo: piante grasse e magre), la sala giochi (dei figli). Né ha potuto a lungo chiudersi nella freddezza dell’imprenditore che frequenta solo Bruno Ermolli e Alessandro Benetton e, al massimo della trasgressione, al centenario della Mondadori, seduta al centro della sala, chiede se è possibile fare una foto con Salman Rushdie. Non ha potuto avere altro a cui pensare, Marina, anche se quello è il desiderio dichiarato, ma per forza di cose disatteso, e anche se Vittorio Feltri, “conoscendola”, dice che “non se la vede”, nel “bel mezzo della crisi e con un’esposizione bancaria per il lodo Mondadori” (che Marina chiama “l’esproprio”) a “lasciare il certo per l’incerto e andare a trattare, chessò, con Epifani”. “Fosse mia sorella, sconsiglierei”, dice Feltri, che già giorni fa appariva poco convinto all’idea di un suo ingresso in politica. Non ha potuto aspettare un attimo, Marina, prima di rispondere a Corrado Augias che, su Repubblica, qualche settimana fa, nei giorni della requisitoria di Ilda Boccassini, chiedeva a Marina come avesse “valutato il livello morale di suo padre”, uno “zimbello sputa soldi in mano a un gruppo di avide mestieranti”, cose che, scriveva Augias, “non hanno rilevanza penale, ammettiamo pure che non ne abbiano, ma la considerazione verso un padre non dipende anche dalla stima che i suoi comportamenti possono suscitare?”. Figurarsi se Marina poteva tollerare che qualcuno le chiedesse conto della stima per suo padre, quella sì certa come mai il futuro dell’ancora indefinita “Forza Italia 2.0” potrà essere: “Come si permette?”, ha scritto all’indirizzo di Augias, in una lettera al direttore di Repubblica Ezio Mauro: “Egregio direttore, Corrado Augias arriva a criticarmi per i sentimenti, giunge addirittura a farmi la predica su come dovrei o non dovrei comportarmi con mio padre. Non si rende conto che tutto ciò appartiene alla peggiore inquisizione?”. Non è il primo scambio epistolare polemico: due anni fa Marina si scontrò sulla Stampa con Carlo Federico Grosso (oggetto: il conflitto di interessi e “famigliare” di Marina di cui Grosso aveva scritto, con Marina che rispondeva chiedendosi se Grosso fosse per caso “lo stesso professor Carlo Federico Grosso che assiste abitualmente il gruppo De Benedetti in vertenze giudiziarie particolarmente delicate, alcune delle quali hanno come controparte Silvio Berlusconi”. Risposta di Grosso: non difendo la Cir). E ancora oggi a Segrate ricordano Marina “allibita” di fronte a Saviano che, uscito dalla Mondadori, su Repubblica criticava la costernazione della sua ex editrice, espressa con una lettera al Giornale, di fronte alla chiamata a Palermo (in procura) come “persona informata dei fatti” e parte lesa nell’ambito di un’indagine su una presunta estorsione a Silvio Berlusconi da parte di Marcello Dell’Utri. “Per lei e la sua famiglia, anche se in estremo ritardo, è giunto il momento di rispettare le istituzioni”, aveva scritto Saviano dopo aver letto la lettera in cui la figlia del Cav. lamentava il clima da “inferno mediatico”. Marina rispondeva con una nota ufficiale Fininvest: “Saviano rispetti lei e il gruppo” (Libero traduceva: “Saviano sputa nel piatto dove ha mangiato finora”).

    Indecisa come il Cavaliere, ma senza la follia del Cavaliere, Marina, la donna che le riviste Forbes e Fortune mettono ogni anno nelle liste delle “più potenti”, e che, nel recente cambio della guardia ai vertici in Mondadori, non ha esitato, pur nel “tormento” raccontato dai suoi amici, a usare il bisturi, non può rischiare che l’indecisione produca un eterno riflesso alla “Luca Cordero di Montezemolo” (scende in campo?, e quando? e come?). Ma non può neanche vincere in un giorno l’ansia di chi è arrivato troppo presto per sentirsi del tutto preparato. Per questo, come tutti gli amletici, oltre a studiare giornali e a consultare esperti, Marina si rifugia nella routine: lunedì Fininvest, giovedì Mondadori, venerdì scuola (internazionale) dei figli, sabato weekend, domenica a spasso con i cani. E però è come alla fine dell’estate, prima del temporale, quando si capisce che la fissità del caldo non dura da qui all’eternità.

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.