Tremori in Borsa

La Bce è in guerra, gli investitori scrutano le mosse di Bernanke

Ugo Bertone

I segnali ci sono tutti, almeno sul fronte dei mercati finanziari. L’estate 2013 promette di esser calda come quelle che l’hanno preceduta. Ma l’Italia, almeno per ora, non sembra essere il terreno di confronto della sfida. Lo conferma l’esito, sufficiente seppur non esaltante, dell’asta dei Btp di ieri: i rendimenti sono saliti di mezzo punto, come avviene un po’ ovunque, ma la domanda è stata assorbita senza eccessivo sforzo. Ma in serata il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, ha ammesso che al momento non “sono rinvenibili” le risorse finanziarie per scongiurare l’aumento dell’Iva e l’eliminazione dell’Imu, una manovra del valore di 8 miliardi di euro.

Merlo Euro? Raus

    I segnali ci sono tutti, almeno sul fronte dei mercati finanziari. L’estate 2013 promette di esser calda come quelle che l’hanno preceduta. Ma l’Italia, almeno per ora, non sembra essere il terreno di confronto della sfida. Lo conferma l’esito, sufficiente seppur non esaltante, dell’asta dei Btp di ieri: i rendimenti sono saliti di mezzo punto, come avviene un po’ ovunque, ma la domanda è stata assorbita senza eccessivo sforzo. Ma in serata il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, ha ammesso che al momento non “sono rinvenibili” le risorse finanziarie per scongiurare l’aumento dell’Iva e l’eliminazione dell’Imu, una manovra del valore di 8 miliardi di euro. Gli effetti sui mercati si vedranno, ieri Piazza Affari ha chiuso in terreno positivo nonostante i rovesci in Asia. Merito anche dell’ingresso dell’Italia nel circolo dei paesi che hanno rispettato il tetto del deficit al 3 per cento  (assieme a Germania, Estonia, Lussemburgo, Austria e Finlandia), come certificato dal Bollettino della Banca centrale europea di ieri. Ma, osservava John Maynard Keynes a proposito dell’austerità imposta al Regno Unito tra le due guerre: “In economia la virtù spesso non conviene”. Dice a proposito la Bce: “L’Italia è il paese che ha subìto la flessione più cospicua delle quote di mercato dell’export calcolate a livello mondiale”.

    Ma bando alle solite dispute. O almeno, il copione va rivisto alla luce di una nuova trama: la stagione delle iniezioni di liquidità sui mercati da parte della Fed e di altre Banche centrali per evitare il peggio,  volge al termine. Gli operatori danno per scontato che presto, forse già la prossima settimana, più facile tra un mese o due, la Banca centrale americana ridurrà i suoi acquisti sui mercati. Ancor prima dell’annuncio ufficiale, gli investitori si sono adeguati: da un paio di giorni i rendimenti dei titoli del Tesoro Usa hanno superato il tasso di inflazione senza che la Banca centrale intervenisse per comprimere i tassi (quel che in gergo è la financial repression). Ovvero, gli investitori, che fino a pochi giorni fa erano pronti a pagare un prezzo per avere un porto sicuro, tornano a chiedere un “premio” per il denaro. La Fed approva.

    I dati americani di ieri (sussidi di disoccupazione in calo per la seconda settimana di fila, vendite di auto in crescita) e dei giorni scorsi (prezzi degli immobili in salita) giustificano il cambio di rotta: la Borsa non dovrà più tifare per le brutte notizie che costringono le banche a fornire nuove stampelle, bensì premiare l’economia reale. Insomma, meglio le azioni dei prestiti allo stato. Certo, non è una staffetta da poco. In Giappone, paese impegnato (con la benedizione Usa) in una missione ardita per rilanciare l’economia, l’improvvisa “avarizia” (si fa per dire, vista la liquidità immessa negli ultimi mesi) della Banca centrale ha provocato nel giro di meno di due settimane una frana del 20 per cento in Borsa. Vacilla anche la piazza di Shanghai e, di riflesso, quelle degli emergenti. Si profila, insomma, un mondo più tradizionale, al traino dell’economia americana e in sostegno del Giappone, con un ruolo non dominante per i Brics (Brasile, Russia, India e Cina). Più l’Europa almeno se il Vecchio continente saprà adeguarsi al passo degli altri con una politica espansiva. Altrimenti, se la Germania opterà per la “fortezza Europa”, chiusa alle tentazioni espansive altrui, crescerà la tentazione del “piano Marshall”, evocata ieri dall’ad di Fiat-Chrysler, Sergio Marchionne. Ma ci sono altri precedenti storici che preoccupano Bernanke, autorevole studioso della crisi del ’29; sa che la Fed naviga in una terra incognita perché mai è stato tentato il rientro morbido da una situazione di liquidità sovrabbondante.

    L’esempio del 1937 non conforta: l’Amministrazione Roosevelt, dopo il successo delle misure espansive prese dopo il 1933, cedette alle pressioni di chi temeva che presto sarebbe dilagata l’inflazione. Ma la stretta fece ripiombare l’America in una crisi ancora più grave: l’indice della produzione crollò da 117 (agosto 1937) a 76 (maggio 1938) e i disoccupati salirono di altre 4 milioni di unità. Lo choc spinse Roosevelt a una politica aggressiva di stampo keynesiano. Difficile capire come sarebbe andata a finire perché lo scoppio della guerra in Europa cambiò lo scenario. Intanto, dal 1931 al ’36 il ministro del governo imperiale (già governatore della Bank of Japan) Takahashi adottava con grande successo una politica keynesiana imitata in questi giorni dal premier Shinzo Abe. Ma quando Takahashi provò a stringere i freni, per evitare bolle inflattive, i militari lo uccisero. Il mestiere di banchiere (o di ministro) può essere rischioso. Non in Italia, dove però il governo ha due problemi in più: fare i conti con tassi più alti e ridare appeal al paese, ultimo della classe per crescita e lavoro.

    Merlo Euro? Raus