Piccolo Pigi mena

Le patacche che Travaglio non vuole vedere sulla trattativa

Claudio Cerasa

La scorsa settimana sul Fatto quotidiano, Marco Travaglio ha utilizzato la sua penna delicata per raccontare l'evoluzione del famoso processo sulla trattativa stato mafia. Sfortunatamente per i lettori del Fatto, però, Travaglio non ha dedicato il suo spazio né per rispondere al saggio con cui Giovanni Fiandaca – uno dei più autorevoli studiosi di diritto penale d'Italia considerato un “maestro” anche dal magistrato che prima di arrivare ad Aosta conduceva l'inchiesta sulla trattativa, ovvero Antonio Ingroia – ha fatto a pezzi il processo sulla trattativa.

    La scorsa settimana sul Fatto quotidiano, Marco Travaglio ha utilizzato la sua penna delicata per raccontare l’evoluzione del famoso processo sulla trattativa stato mafia. Sfortunatamente per i lettori del Fatto, però, Travaglio non ha dedicato il suo spazio né per rispondere al saggio con cui Giovanni Fiandaca – uno dei più autorevoli studiosi di diritto penale d’Italia considerato un “maestro” anche dal magistrato che prima di arrivare ad Aosta conduceva l’inchiesta sulla trattativa, ovvero Antonio Ingroia – ha fatto a pezzi il processo sulla trattativa, spiegando, come avete letto due settimane fa sul Foglio, che un processo dove manca il movente, dove mancano le prove e dove non è chiara nemmeno la formulazione dei reati semplicemente non è un processo ma una boiata pazzesca; né per spiegare la ragione della clamorosa svolta garantista del suo giornale, che dopo aver costruito parte della sua fortuna prendendo a sassate i teorici della presunzione d’innocenza ha deciso di non condannare a priori per i suoi guai giudiziari il testimone chiave nel processo sulla trattativa (quel Massimo Ciancimino, considerato “quasi un’icona dell’antimafia” da Antonio Ingroia, indagato dalla procura di Palermo per calunnia e concorso in associazione mafiosa, indagato dalla procura di Caltanissetta per calunnia aggravata, imputato a Palermo per il ritrovamento nel giardino della sua casa di decine di candelotti di tritolo; ritenuto dalla procura di Caltanissetta un soggetto da considerarsi inattendibile dal punto di vista probatorio; condannato dalla procura di Palermo per riciclaggio di denaro e arrestato alcuni giorni fa dalla procura di Bologna per associazione a delinquere ed evasione) e ha scelto invece una linea più democratica per raccontare l’evoluzione del processo: prendere a bastonate chiunque osi contraddire la tesi per cui può esistere una verità diversa da quella raccontata da un pm e prendere a randellate chiunque osi ricordare che il processo presenta alcune contraddizioni che solo chi scambia le veline delle procure per verità assolute può fingere di non notare.

    In particolare, Travaglio sabato scorso ha riservato la sua colonnina per rispondere ad alcuni articoli dedicati alla trattativa dal sottoscritto (“Piccoli Pigi crescono”, Travaglio, lo sapete, ha una sua speciale ossessione per il nostro amico Pigi Battista, editorialista del Corriere). E nel tentativo di argomentare con irresistibile verve ironica le ragioni per cui il sottoscritto “non sa nulla”, “spara balle” e rischia di farsi venire “un’ernia al cervello con troppe notizie vere tutte insieme” (ernia al cervello non è male, comunque) il nostro Travaglio, forse ancora stordito dal nuovo duro regime garantista del suo giornale, ha sparato un po’ di fesserie: che riguardano sia gli articoli del sottoscritto sia la storia del processo sulla trattativa. Come tutti i giornalisti specializzati nel trasformare in un brano di Vangelo le parole di un magistrato, negli ultimi giorni Travaglio ha provato con enfasi (5 giugno, 8 giugno) a dimostrare che il processo sulla trattativa è solido e rigoroso e senza zone d’ombra, e nel cercare di accertare la colpevolezza del principale imputato del processo in questione (il generale dei Ros Mario Mori) ha messo insieme alcune informazioni a volte incomplete e a volte sballate per creare il famoso “effetto frullatore”. Funziona così: metti insieme notizie che c’entrano poco l’una con l’altra, poi prendi i pezzi delle ordinanze che ti fanno comodo, ritagli gli estratti delle testimonianze che più ti tornano utili, quindi confondi le parole dei magistrati con le verità processuali, eviti di riportare la versione completa dei fatti, te ne freghi di tenere da conto la versione degli imputati (salvo che gli imputati di cognome facciano Ciancimino), shakeri tutto per bene e, oplà, eccolo qui il frullatone. In entrambi gli articoli dedicati alla trattativa, Travaglio dà per scontate alcune cose che sono controverse, e trasforma in verità assolute alcuni fatti che sono oggetto di indagine.

    Travaglio per esempio dà praticamente per certo che il famoso papello di Ciancimino sia la prova provata che c’è stata una trattativa tra lo stato e la mafia, dimenticandosi però di dire che il papello, a oggi, è una fotocopia di cui non esistono acertamenti storici definitivi e di cui nessun testimone o pentito ha mai avuto un riscontro diretto e che è stato portato ai giudici da un testimone che si chiama Massimo Ciancimino, che è indagato dalla stessa procura di Palermo per calunnia per aver falsificato un documento in cui accusava Gianni De Gennaro di aver avuto un ruolo nella trattativa stato-mafia. Travaglio, poi, dice che il sottoscritto “non sa che la stessa Scientifica che ha smascherato il falso su De Gennaro ha periziato l’autenticità del papello”. Ma in perfetto stile frullatore dimentica di offrire ai suoi lettori un particolare importante: non tanto che esiste una procura della Repubblica (quella di Caltanissetta) che ha già esaminato 190 mila file che riguardano Ciancimino, che ha già considerato “false” molte sue affermazioni e che ha affermato che non è certa l’autenticità della documentazione presentata da Ciancimino; quanto che la scientifica di cui parla Travaglio ha sì periziato l’autenticità del papello ma senza riuscire a confermarne l’autenticità. Travaglio, infine, insiste sulla storia che i Ros guidati da Mori, dopo il famoso arresto di Riina del 1993, non avrebbero perquisito il covo; scordandosi però anche qui di ricordare due cose: non solo che tecnicamente l’ordine di perquisire (che non arrivò mai) doveva venire dalla procura (allora guidata da Caselli) ma anche che Mori è stato assolto in quel processo e che il magistrato che ha chiesto il proscioglimento di Mori – che tra parentesi si chiama Antonio Ingroia – all’epoca disse che le condotte dei carabinieri “sono state dettate da ragioni di stato e non da altro”. Ecco.

    Si potrebbe andare avanti così per ore a raccontare il metodo frullatore di Travaglio ma perdere tempo sui dettagli rischia di farci sfuggire il vero tema politico e culturale che si nasconde dietro alle polemiche (anche giornalistiche) sulla trattativa. E il punto è semplice: che un processo debole in cui secondo uno dei giuristi più importanti d’Italia manca il movente, mancano le prove e dove non è chiara nemmeno la formulazione dei reati è stato trasformato da alcuni magistrati e da alcuni giornalisti in un grande processo frullatore: in cui è diventato un reato far notare le debolezze del castello delle accuse; in cui è diventato un reato sottolineare la fragilità dei testimoni d’accusa; in cui è diventato un reato ricordare che gran parte di questo processo è stato portato avanti da alcuni magistrati non solo nelle aule di tribunale ma soprattutto sulle poltroncine dei talk show; in cui è diventato un reato riportare la versione degli imputati (che fino a prova contraria, vero Marco, sono innocenti, no?); e in cui è diventato un reato ricordare che il pm che ha guidato fino a qualche mese fa le indagini sulla trattativa stato-mafia (Antonio Ingroia) che ha sempre negato che nella procura di Palermo si possa fare politica qualche mese fa, dopo una breve apparizione in Guatemala, si è candidato alle elezioni per diventare presidente del Consiglio. Ecco. Travaglio naturalmente ha il diritto di scrivere quello che vuole, di insultare chi vuole e di giocare con i fatti come meglio crede. Chiedere che Travaglio provi a metterci un po’ di attenzione nel non spacciare per verità assoluta le versioni di un magistrato, o di un pataccaro, forse è troppo. Ma chiedere invece che Travaglio perda qualche minuto a leggere il saggio con cui Giovanni Fiandaca ha dimostrato che la trattativa stato mafia è una boiata pazzesca forse non è troppo. Che dici Marco, ce la fai?

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.