L'educazione all'apocalisse del suicida a Notre Dame

Giulio Meotti

"Ah la décadence!”. Pierre Drieu La Rochelle se la immaginava con i soldati tedeschi che dilagavano tra la Somme e l’Oise. Per Dominique Venner, la decadenza era la decomposizione dell’Europa sotto la minaccia dell’islamizzazione e gli eccessi del postmoderno (fra cui il matrimonio gay). Il suicidio dello storico francese dentro la cattedrale di Notre Dame è un simbolo della stessa decadenza, che la destra francese ha letto ed esorcizzato nel modo peggiore.

Tiliacos Il machete, l’islam e Notre Dame

    "Ah la décadence!”. Pierre Drieu La Rochelle se la immaginava con i soldati tedeschi che dilagavano tra la Somme e l’Oise. Per Dominique Venner, la decadenza era la decomposizione dell’Europa sotto la minaccia dell’islamizzazione e gli eccessi del postmoderno (fra cui il matrimonio gay). Il suicidio dello storico francese dentro la cattedrale di Notre Dame è un simbolo della stessa decadenza, che la destra francese ha letto ed esorcizzato nel modo peggiore. Ingiusta e sciatta è la demonizzazione a cui Venner è stato sottoposto (il Nouvel Observateur ha definito Venner “una eminenza bruna”). Inoltre, Venner era un autore premiato dall’Académie française e sulle sue riviste scrivevano storici di fama come Max Gallo.

    Ma è vero che Venner faceva parte di una destra torva, non tanto politicamente scorretta, quanto, piuttosto, cupa. La destra di Venner non ama la modernità, ma la decostruisce per superarla (con che cosa non si sa). Per Venner l’“occidente” non è l’incontro fra il paganesimo greco e il monoteismo etico giudeo-cristiano. E’, o deve essere piuttosto, “l’occidente bianco ed europeo” e mai “americanomorfo”. Una destra antiamericana e nevrastenica che nulla ha a che fare con quella dei Pim Fortuyn, dei neoconservatori e delle tante mosche bianche intellettuali che, pur di sinistra, hanno votato esecutivi di destra in Europa.

    Da bravi reazionari novecenteschi e allievi di Oswald Spengler, Venner e la sua filiera sostengono da anni che l’occidente è per definizione sostanza che declina, abitato da anime fiacche e riluttanti, per esempio, ad ammettere che “nous sommes en guerre avec l’islam”. E’ un pensiero marginale e scorbutico radicato nella piccola chiesa della Nuova Destra di Alain de Benoist. E’ una fuga sia dall’umanitarismo angelicato del Parnaso di sinistra, sia dall’assimilazionismo tronfio dei gollisti e che ha trovato una ragion d’essere fra i “souverainisti”, i nostalgici dello stato sovrano raccolti attorno a Philippe de Villiers, visconte e vandeano, nella croce celtica di Pierre Sidos e nella Jeune Europe, la formazione della destra “comunitarista” fondata negli anni Sessanta dal belga Jean Thiriart, ex combattente delle Waffen-SS. Professano un europeismo negativo, quello della “lotta per un’Europa nuova”. Qualcuno ha parlato, giustamente, della “sindrome Breivik”, dal nome dello stragista dell’isola di Utoya, con la differenza che Venner ha rivolto l’arma contro se stesso, mentre il killer norvegese ha decapitato la futura classe dirigente laburista di Oslo.

    Venner è l’immagine stessa dei vinti della decolonizzazione algerina (lo storico militò nell’Oas). E’ odio e rancore che si tramanda in famiglia, ovunque vivano gli attori di ieri. Riguarda i veri “paria”, odiati dagli uni, disprezzati dagli altri, le migliaia di “harkis” che scelsero la lealtà alla Francia e persero la prima patria, senza trovarne una seconda. E’ una ferita che nessun indennizzo pubblico riesce a guarire, sono i “pieds noirs”, i coloni francesi che lì lasciarono status, ricchezze e la douceur de vivre.
    Una destra segnata dalla lettura dei testi situazionisti della scuola di Guy Debord (che come Venner si sparò un colpo) e da quelli dei francofortesi, dall’antioccidentalismo di Henri Lefebvre (filosofo marxista allievo di André Breton) e dal tribalismo postmoderno di Michel Maffesoli. Una destra che non fa squadra con nessuno, neppure con quel Fronte nazionale lepenista che oggi ha cercato di rivendicare il suicidio di Venner di fronte all’altare. C’è piuttosto l’influenza della destra “antisistema” di Maurice Bardèche.

    Sono intellettuali con passioni faustiane e arcaiche. La loro è un’educazione sentimentale all’apocalisse che nella grande cattedrale parigina ha celebrato il proprio commiato. Una destra che vive di risentimenti, anche fondati. Come quello dello scrittore Renaud Camus, che ha scritto un libro antisemita. Ce l’ha con gli ebrei del suo paese, con la loro influenza culturale, con il loro potere, con la loro estraneità al contesto nazionale del suo mondo e della sua letteratura. Il suo libro è stato ritirato dalle librerie. Un soffice rogo. Una violenta censura. Un atto inaudito secondo i parametri della libertà di pensare, di pubblicare.

    La destra di Venner ha avuto premonizioni giuste, dal tracollo della natalità in Europa alla rampante islamizzazione delle sue principali città, i famosi “ghetti multiculturali”. Ma le declina in maniera inservibile e tronfia, suicida perché affascinata da quel nichilista di Drieu La Rochelle. Della sfida islamica non conosce interpretazioni, ma pensa che sotto il minareto non c’è soluzione di continuità tra moderazione e terrore, ma solo diversi gradi d’intensità guerresca in direzione del califfato globale.
    Una destra che si nutre di immagini fosche, come la “putrefazione”. E’ la reazione ossessiva alla “mala educación” zapaterista germogliata sulle macerie delle bombe di Madrid, l’11 marzo 2004. Pierre-Guillaume de Roux, coraggioso editore parigino, sta per pubblicare un libro di Venner sull’esempio di Yukio Mishima. E infatti è al suicida giapponese che si richiama questa generazione di sconfitti in cui dominanti sono l’estetismo e il narcisismo, la morbosità sensuale e gli impulsi autodistruttivi.
    L’altro modello è Maurice Blanchot, un monarchico che guardava con interesse e invidia ai fascismi d’oltreconfine, un antisemita che non aveva bisogno dell’esempio nazista per pescare nella tradizione dell’antisemitismo di casa sua, ma che firmava anche documenti di sostegno al “popolo del Vietnam” e che nel 1968 si fece persino vedere alla Sorbona in un comitato rivoluzionario studenti-scrittori. Uno sempre più facile da discutere che da leggere. Come i suoi tristi epigoni che oggi si ritrovano fra le macerie e di fronte a un altare, a sospirare: “Ah la décadence!”.

    Tiliacos Il machete, l’islam e Notre Dame

    • Giulio Meotti
    • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.