I still am

Giulio Meotti

Non c’è nulla di eroico. Ma per dirla con Jeffrey Tate, che fu a colloquio con il Foglio cinque anni fa, “ho sempre avuto paura che la mia forza fisica potesse scomparire”. Quella di James Levine non è dunque la storia di Adrian Leverkuhn, il protagonista del “Doctor Faustus” di Thomas Mann che scambia con Satana la grandezza dell’arte col dolore. Piuttosto è come se, attraverso la musica, il maestro Levine abbia cercato di ristabilire l’eguaglianza impossibile, ansioso di riacquistare la bellezza perduta. Contro tutti i pronostici, “Levine is back”, scrive sul New York Times Anthony Tommasini, il gran sacerdote della critica musicale americana.

    Non c’è nulla di eroico. Ma per dirla con Jeffrey Tate, che fu a colloquio con il Foglio cinque anni fa, “ho sempre avuto paura che la mia forza fisica potesse scomparire”. Quella di James Levine non è dunque la storia di Adrian Leverkuhn, il protagonista del “Doctor Faustus” di Thomas Mann che scambia con Satana la grandezza dell’arte col dolore. Piuttosto è come se, attraverso la musica, il maestro Levine abbia cercato di ristabilire l’eguaglianza impossibile, ansioso di riacquistare la bellezza perduta. Contro tutti i pronostici, “Levine is back”, scrive sul New York Times Anthony Tommasini, il gran sacerdote della critica musicale americana.

    Due anni fa il venerato direttore d’orchestra americano, nomen omen della fama mondiale del Metropolitan Opera di New York,  sembrava prossimo all’uscita di scena, piegato da una gravissima lesione spinale e dal “male neurologico”, avviato alla fine della sua incredibile carriera musicale. “Un anno fa potevo appena muovere le gambe”, aveva detto di recente in un’intervista con il Wall Street Journal. Domenica Levine, “King James”, invece è tornato a dirigere il preludio al primo atto del Lohengrin e la Nona di Schubert alla Carnegie Hall. Si è presentato su una carrozzina motorizzata, senza un rene a causa di un tumore, con una spalla ammaccata per una brutta caduta dal podio e due difficili operazioni alla spina dorsale che hanno reso il suo dolore un pochino più sopportabile. Un farmaco, noto come “L-dopa”, ha invece restituito a Levine parte della mobilità.  Il musicista disabile più noto al mondo ripone molte speranze nella prossima stagione, vuole dirigere il “Falstaff” di Verdi, “Così fan tutte” di Mozart e il “Wozzeck” di Alban Berg.

    Levine accusò i primi tremori alla mano nel 2004. Da allora la sua postura è stata considerata come un “barometro” della sua degenerazione fisica: più svetta, più Levine sta meglio. Howard T. Howard, storico cornista dell’orchestra di Levine, dice che il maestro è addirittura migliorato con la malattia: “E’ come la differenza che c’è fra chi ha una vita felice e sicura e chi deve attraversare una storia di inferno personale”.

    E’ come se nel caso di Levine, e di altri musicisti, la disabilità abbia agito come un esilio, che lo ha infine liberato. Una storia simile a quella di un altro titano della musica: nonostante sia affetto da una grave forma di Parkinson, il maestro tedesco Kurt Masur, ultimo erede di Von Karajan, lo scorso dicembre ha completato un ciclo di sinfonie di Beethoven a Dresda e Monaco. A causa della malattia, Masur ha perso l’equilibrio durante l’esecuzione della Sesta sinfonia di Tchaikovsky al teatro degli Champs-Elysées di Parigi. Il ritorno in grande stile di Levine e le performance di tanti altri musicisti ricordano quelle di un altro grande direttore d’orchestra, Otto Klemperer, ebreo come Levine emigrato negli Stati Uniti a causa delle leggi razziali di Hitler, che negli ultimi anni dirigeva seduto a causa di una paralisi. Al rientro a Londra per dirigere, dopo l’incidente che lo aveva quasi messo a tacere, Klemperer fu protagonista di una memorabile performance della Nona di Mahler. Dimostrò, come Levine, che la carne e la malattia non avevano (quasi più) potere su di lui.

    • Giulio Meotti
    • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.