Grillo su Roma

Marianna Rizzini

Beppe Grillo all’ora del caffè si affaccia per un non-comizio in piazza Santi Apostoli – non si vede il palco, l’ex comico dice che il muro di cronisti rende impossibile l’ingresso attraverso una strettoia non proprio stracolma di gente – e andandosene saluta da un predellino: “Arrendetevi”, dice ai partiti; “andiamo avanti”, dice ai suoi. Poi gira in tondo, indeciso se tornare indietro, parlare da piazza Venezia o procedere in corteo. Infine riappare, ed è la rappresentazione plastica della linea ondivaga tenuta negli ultimi due giorni. Si attacca alla “semantica”, Grillo, per smentirsi e spiegare che di fronte alla rielezione di Giorgio Napolitano ha detto “golpe”, sì, ma intendeva dire “golpettino furbo”, e che lo diceva soltanto tra virgolette.

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    Roma. Beppe Grillo all’ora del caffè si affaccia per un non-comizio in piazza Santi Apostoli – non si vede il palco, l’ex comico dice che il muro di cronisti rende impossibile l’ingresso attraverso una strettoia non proprio stracolma di gente – e andandosene saluta da un predellino: “Arrendetevi”, dice ai partiti; “andiamo avanti”, dice ai suoi. Poi gira in tondo, indeciso se tornare indietro, parlare da piazza Venezia o procedere in corteo. Infine riappare, ed è la rappresentazione plastica della linea ondivaga tenuta negli ultimi due giorni. Si attacca alla “semantica”, Grillo, per smentirsi e spiegare che di fronte alla rielezione di Giorgio Napolitano ha detto “golpe”, sì, ma intendeva dire “golpettino furbo”, e che lo diceva soltanto tra virgolette. Le virgolette non c’erano ma non importa: il nuovo giorno è quello successivo all’annunciata discesa a Roma, con grande convocazione via Twitter (#tuttiaRoma), poi fermata in corso d’opera per evitare problemi di ordine pubblico – si erano spaventati anche i suoi eletti, sabato sera, di fronte all’effetto imprevisto della democrazia del clic che bandisce la complessità della politica e magari si ritrova una piazza a rischio, da gestire chiedendo lumi ai poliziotti che Grillo vorrebbe vedere voltarsi “dalla parte giusta”. Guarda la realtà mutata nel giro di ventiquattr’ore, l’ex comico, e cercando la nuova direzione entra ed esce dai suoi personaggi: l’istrione, il “portavoce” che le ha tentate tutte ma il Pd cattivo voleva solo strappargli qualche voto, il capopopolo che arringa e il “gandhiano” che, dopo aver invitato alla calata su Roma, dice “non facciamo calate, sono qui per placare gli animi” e per “sgrassare” la politica “fatta di insulti” (da che pulpito). Si allinea all’uomo invocato dalla piazza, il Rodotà che di “calate” su Roma non voleva sentir parlare. Ma non c’è solo questo, nel susseguirsi di annunci e inversioni a “u” al limite del farsesco. C’è l’euforia per lo smacco altrui, la rabbia recitata, ma anche la sensazione che il colpo grosso resti incompiuto.

    Erano appena andati a festeggiare la disfatta del Pd dopo la bocciatura di Romano Prodi, i parlamentari a 5 stelle, ma la “soluzione condivisa” (dagli altri) non ha lasciato intatta la vittoria, e anzi ha sollevato un dubbio sul “chi siamo” e “che facciamo” non del tutto sopito da quella che la capogruppo Roberta Lombardi descrive come “l’uscita a testa alta” dal Parlamento. Non tutto appare roseo, forse perché Grillo evocando il “golpe” ha “sbagliato parola”, come dice una giornalista cilena, forse perché dà l’impressione di voler mettere una toppa alla foga di chi si sentiva invincibile sulla scorta delle rete, più che altro perché non si intravede lo sbocco dell’opposizione dura che Grillo annuncia presentandosi come il cinese che aspetta sulla riva del fiume (“un anno di tempo rubato, il paese non regge un anno”). E dunque il Grillo-istrione in maniche di camicia convoca la prima conferenza aperta a giornalisti italiani, ma tra una domanda e l’altra la trasforma in comizio al Testaccio, con il candidato sindaco di Roma Marcello De Vito che coglie l’occasione di averlo lì (chissà se gli ricapita, si chiedono alcuni, vedendo l’ex comico dubbioso su altre campagne “di piazza”) e con i militanti che gridano “bravo” al loro idolo e “buuh” alle domande considerate oziose, mentre i parlamentari agitano le mani in alto a ogni cavallo di battaglia oratorio gettato nell’arena da Grillo prima di rispondere a modo suo alle domande sul Pd. Insiste sul terreno che gli è più congeniale, Grillo, quello del comizio, appunto, e per difendersi dall’accusa di verticismo parla del movimento come di un “formicaio”, “flusso” senza “menti centrali”. Poi difende Gianroberto Casaleggio (mente centrale assieme a lui) e ritira fuori l’immagine della “polveriera” che senza i 5 Stelle esploderebbe. Sembra divertito dalla scena del se stesso che parla e poi si fa vedere esausto come sul ring, con l’asciugamano al collo. “Il reddito di cittadinanza, Mps, i rimborsi elettorali, i partiti finiti”: il disco del Grillo baldanzoso è ripartito, la piazza grida all’inciucio e in teoria è più facile fare opposizione che governare. Eppure stavolta Grillo appare più incerto che baldanzoso.

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    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.