Controriforme

Pensieri e parole

Francesco Agnoli

Nella chiesa vi sono tante sensibilità e carismi. Vi sono santi della carità intellettuale, come Agostino e Tommaso, e santi della carità più “materiale”, come Camillo De Lellis o Vincenzo de Paoli. Ogni santo, ma in genere ogni credente, ha il suo vocabolario, ama cioè sottolineare e vivere in particolare una parte del messaggio evangelico. Il nuovo Papa, a quanto sembra, più che sulla Bellezza (liturgica come espressione della bellezza celeste), sulla Ragione (come attributo di Dio e dell’uomo che ne partecipa), sul Bene (con annessi principi non negoziabili), cari al precedente, sembra puntare su altre parole: misericordia, perdono, povertà, pace…

    Nella chiesa vi sono tante sensibilità e carismi. Vi sono santi della carità intellettuale, come Agostino e Tommaso, e santi della carità più “materiale”, come Camillo De Lellis o Vincenzo de Paoli. Ogni santo, ma in genere ogni credente, ha il suo vocabolario, ama cioè sottolineare e vivere in particolare una parte del messaggio evangelico. Il nuovo Papa, a quanto sembra, più che sulla Bellezza (liturgica come espressione della bellezza celeste), sulla Ragione (come attributo di Dio e dell’uomo che ne partecipa), sul Bene (con annessi principi non negoziabili), cari al precedente, sembra puntare su altre parole: misericordia, perdono, povertà, pace… Ma le stesse parole possono patire interpretazioni molto diverse tra loro. Sino al punto di essere “vuote”, come sosteneva Pirandello: chi le pronuncia, le riempie di un senso, chi le riceve può benissimo imporne un altro. A me pare che i Mancuso, i Küng e tanti altri vogliano riempire le parole di Papa Francesco di ciò che hanno in testa loro.

    Prendiamo la parola “misericordia”. Nel suo primo Angelus e nella prima messa da Pontefice, Papa Francesco ha detto: “Non dimenticate questo: il Signore mai si stanca di perdonare, siamo noi che ci dimentichiamo di chiedere perdono”; e ancora: “Abbiamo bisogno di capire questo Padre misericordioso che ha tanta pazienza con i nostri peccati, come dice Isaia se “fossero rossi come lo scarlatto li renderà bianchi come la neve”. Alcuni hanno interpretato in vari modi queste parole. Qualcuno ha scritto che è finita la chiesa che condanna, che definisce cosa è bene e cosa è male. In nome, appunto, della misericordia. Non è così. Francesco ha un approccio da pastore, più che da teologo. Non che le due cose si possano scindere del tutto, ma certo vi è differenza tra il modo con cui si comunica una verità alle singole persone che si incontrano e il modo in cui la si definisce, per tutti, nella sua oggettività, in un documento, un catechismo, una enciclica.

    Anche al Vaticano II i cosiddetti tradizionalisti fecero una proposta: distinguiamo le posizioni dottrinali, che come tali devono brillare per chiarezza e precisione, dalle indicazioni pastorali, sul modo più opportuno, più caritatevole e più efficace, di trasmettere una verità. Non era una idea sciocca, e forse avrebbe impedito che in nome del “come” annunciare, si finisse talvolta per oscurare e scolorire il “cosa”. Ebbene Papa Francesco, come tanti altri nella storia della chiesa, pone l’accento sulla misericordia e il perdono, perché questa è la sua indole personale; perché in fondo questo è il succo della “Buona novella”: Cristo non si è fatto uomo solo per annunciare la legge (lo aveva già fatto Dio-Padre sul Sinai); né per togliersi qualche sassolino dalle scarpe contro gli uomini malvagi; si è incarnato per salvarci, per perdonarci, per amarci. Annunciarlo, ribadirlo, non significa affatto dimenticare l’esistenza del peccato, dal momento che alle parole perdono e misericordia si affianca, implicitamente, una necessità: che noi riconosciamo il nostro bisogno di essere perdonati, cioè, appunto, il nostro peccato.

    Ammonire i peccatori è misericordia
    La parola misericordia riporta alla mente la tradizionale definizione delle “opere di misericordia corporale” (“dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, visitare i carcerati…”) e quelle di “misericordia spirituale”. Tra queste ultime la chiesa, accanto al “sopportare pazientemente le persone moleste”, “insegnare agli ignoranti”…, richiede anche di “ammonire i peccatori”. Non manca certo nella predicazione del cardinal Bergoglio, e poi di Papa Francesco, questa opera di misericordia: penso ai numerosi riferimenti alle tentazioni del demonio; alle sante ammonizioni contro l’arrivismo ecclesiastico e l’assopimento dei pastori; alla condanna delle ingiustizie sociali e del crimine dell’aborto… Chi scrive ha una speranza: che proprio con il suo linguaggio – che ad alcuni, legati a una interpretazione politica della fede, appare “di sinistra” –, il Papa distrugga una grande ambiguità: quella per cui i cattolici “di destra” sarebbero insensibili alla giustizia sociale ecc., ma a difesa della vita nascente e della famiglia, mentre i cattolici “di sinistra” sarebbero invece vicini ai poveri e ai deboli, tranne che ai bambini innocenti.

    Prendiamo un’altra espressione di Papa Francesco: quella di una chiesa “per le strade”, “aperta”. Cosa si vuol dire? Che la preghiera non conta più? Che andare incontro al mondo significa cambiare i contenuti della propria fede, a seconda delle mode? Scrive Silvina Premat, giornalista argentina, su Tracce di aprile, che il cardinal Bergoglio nella sua Buenos Aires ha rilanciato i pellegrinaggi, “la vecchia abitudine della Via Crucis e delle processioni per le strade dei quartieri e i presepi viventi nelle piazze o in altri spazi pubblici”, invitando i suoi sacerdoti ad andare incontro alla gente nella condivisione dei bisogni e con le devozioni popolari. In altri tempi questo si sarebbe chiamato, con linguaggio tradizionale, “spirito missionario”.