Riforme

La scena e il corpo

Angiolo Bandinelli

Il rito è la cristallizzazione, in forma di cerimonia, di un evento di cui si vuole trasmettere il significato (non sono un esperto, ma credo che questa definizione sia sostanzialmente corretta). La cristallizzazione mette in primo piano e fa risaltare gli elementi essenziali del messaggio che l’evento veicolava in modi e forme narrativamente discorsive ed esplicite; la “messa in scena” della sua versione ritualizzata ha una funzione che vorremmo dire esplicativa, didattica e ammonitrice. Il rito infatti riproduce  sinteticamente e in forma “stenografica” – ma fedelmente – l’evento originario, sottraendolo al tempo e consegnando all’eternità, per così dire, il suo messaggio.

    Il rito è la cristallizzazione, in forma di cerimonia, di un evento di cui si vuole trasmettere il significato (non sono un esperto, ma credo che questa definizione sia sostanzialmente corretta). La cristallizzazione mette in primo piano e fa risaltare gli elementi essenziali del messaggio che l’evento veicolava in modi e forme narrativamente discorsive ed esplicite; la “messa in scena” della sua versione ritualizzata ha una funzione che vorremmo dire esplicativa, didattica e ammonitrice. Il rito infatti riproduce  sinteticamente e in forma “stenografica” – ma fedelmente – l’evento originario, sottraendolo al tempo e consegnando all’eternità, per così dire, il suo messaggio. Il rito è, per definizione, immutabile, non subisce le sorti degli accadimenti circostanti, della loro volatilità. E, diciamolo pure, della loro relatività; il rito è l’opposto del relativo, del transeunte. Normalmente, ci sono figure ieratiche preposte a preservare e garantire tale immutabilità, opponendosi a ogni modificazione, a ogni alterazione dei suoi elementi costitutivi. Più o meno ogni struttura o ente a forte carica identitaria, non solamente religiosa, ha e custodisce gelosamente i suoi riti. Basti pensare alla monarchia britannica. Ma, per dire, anche la Repubblica italiana o, esemplificando a caso, il Corpo dei carabinieri hanno i loro speciali riti. Figuriamoci la chiesa cattolica. La cattedra romana ha, nei secoli, difeso strenuamente i suoi vasti, complessi e anche spettacolari riti, specialmente da quello che è stato il maggiore attacco portato contro di loro: la riforma protestante.

    Penso ci siano persone assai più competenti di me su tali questioni; a me è venuto di pensarci osservando e cercando di decifrare anch’io, come potevo e sapevo, i primi passi del nuovo Pontefice. Non vorrei esagerare, ma ho l’impressione che Papa Francesco abbia come obiettivo della sua azione pontificale proprio la – per così dire – deritualizzazione del rito o, almeno, del rituale. Fin dal momento della vestizione, ha compiuto strappi che hanno fatto scalpore: il rifiuto della mozzetta, delle scarpe rosse, l’impiego temporalmente limitato della stola, ecc. Poi, non c’è stato un suo intervento che non abbia visibilmente avuto l’effetto di spezzare, di andare oltre ai grandi o piccoli riti che inevitabilmente circondano ogni passo della figura papale. Presi alla sprovvista, e un po’ disorientati, i suoi esegeti hanno cercato di minimizzare e ricondurre nell’alveo del consueto questi gesti, oppure hanno ricamato sui sentimenti umani che li avrebbero dettati: il richiamo alla semplicità di san Francesco è diventato esso stesso rituale. Forse, però, si tratta solo di alibi. Pare a me, per quel che ne posso capire, che Papa Francesco stia tentando di restituire linfa a gesti che, per definizione, non consentono di fluire alla linfa – diciamolo pure, alla scorrevolezza – della vita. E, da laico, mi è venuto fatto di pensare che in definitiva Papa Francesco cerca di riportare le rigidezze ieratiche della chiesa nel terreno mobile e “imprevedibile” della laicità. Intendiamoci,  Papa Francesco – gesuita – non vuole ridurre la chiesa a una setta più o meno protestante, anche per lui il rito conserverà tutti i suoi significati simbolici. Ma credo si renda conto che solo immergendoli nel relativo – che è il grande terreno di gioco della laicità (non del laicismo, mi raccomando) – quei riti potranno parlare da presso, direttamente, alla gente. In una delle sue uscite, rivolgendosi a vescovi e pastori d’anime ha usato una espressione di grande potenza, che mi pare esprima esattamente quello che cerco di dire: “Abbiate su di voi l’odore delle vostre pecore”.

    La riscoperta della semplicità primitiva
    Non è una battuta, è la traduzione spicciola, perfino un po’ grossolana, di un concetto culturale preciso e mirato. E’ infatti, credo, un richiamo allo spessore della corporeità, intesa come elemento essenziale del comunicare e partecipare. E la corporeità è quanto di più lontano dal rito. Il rito riduce la corporeità a simbolo, ma la tiene lontana e separata (forse ne ha paura). Papa Francesco rifiuta questo allontanamento e ricolloca la corporeità nel centro della comunicazione, con tutta la sua relatività e la sua deperibilità (il rito è, ovviamente, incorruttibile). Uno stesso significato vorremmo attribuire alla richiesta, che gli viene rivolta da molte parti, di riportare la chiesa alla “semplicità” primitiva. Anche questo è un cavallo di battaglia dei protestanti. Nell’ambito della chiesa cattolica la richiesta non ha senso, perché la chiesa romana ha le fondamenta saldamente piantate anche nella sua tradizione,  deposito di verità e di fede superiore a quella lettura diretta della Bibbia che è invece fulcro della dottrina o delle dottrine protestanti. Sarà interessante vedere come verrà loro risposto dal Papa. Comunque il laico potrà rallegrarsi ancora una volta che il terreno sul quale riti e parole, nel loro intreccio, trovano la via della verità (“veritas filia temporis” secondo Vico) è quello della laicità. Semplicemente, si tratta di immergere il rito nel flusso del tempo, dell’accadimento, del relativo.