Unità dei cristiani separati

Marco Burini

Il modo con cui Francesco si è presentato, le parole e i gesti di questi primi giorni hanno subito riaperto la questione del rapporto con gli altri cristiani. Affacciato alla Loggia delle benedizioni di San Pietro, la sera dell’elezione, Jorge Mario Bergoglio ha parlato di sé come il “vescovo di Roma” e ha voluto al suo fianco il vicario della diocesi, il cardinale Agostino Vallini. Da molti osservatori questa scelta è stata letta come l’inizio di una svolta nel ministero petrino: non più il sovrano Pontefice ma il vescovo “della chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità tutte le chiese” come ha ricordato Bergoglio stesso citando la celebre formula di Ignazio di Antiochia.

Da Assisi ad Allah, passando per Ratisbona. Il nuovo Pontefice e l’islam - Matzuzzi Nella Pasqua di magro di Bergoglio anche “i riti durano meno”

    Il modo con cui Francesco si è presentato, le parole e i gesti di questi primi giorni hanno subito riaperto la questione del rapporto con gli altri cristiani. Affacciato alla Loggia delle benedizioni di San Pietro, la sera dell’elezione, Jorge Mario Bergoglio ha parlato di sé come il “vescovo di Roma” e ha voluto al suo fianco il vicario della diocesi, il cardinale Agostino Vallini. Da molti osservatori questa scelta è stata letta come l’inizio di una svolta nel ministero petrino: non più il sovrano Pontefice ma il vescovo “della chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità tutte le chiese” come ha ricordato Bergoglio stesso citando la celebre formula di Ignazio di Antiochia. Anche i suoi gesti sono significativi: dall’inchino per invocare la benedizione dei fedeli in piazza San Pietro allo stile affabile nelle varie occasioni d’incontro. Stile fatto anche di omissioni come la mancata benedizione al termine dell’incontro con i giornalisti “dato che molti di voi non appartengono alla chiesa cattolica, altri non sono credenti”. Ne abbiamo parlato con due teologi di vaglia, un cattolico e un valdese, da sempre impegnati nell’impresa ecumenica.

    Secondo Peter Walter, docente di Dogmatica alla facoltà Teologica dell’Università di Friburgo, lo stile di Francesco può segnare una svolta. “Nei giorni scorsi sono stato a un convegno ecumenico con teologi protestanti e cattolici. Pure i protestanti sono rimasti molto impressionati dai gesti del nuovo Papa, dalla sua semplicità e cordialità. La sua insistenza sull’essere il vescovo di Roma, però, era più significativa per i cattolici che per i protestanti. Comunque penso che questo cambiamento di stile possa veramente dare il via a una svolta, non solo per la chiesa cattolica ma anche per la relazione del Papa con le chiese riformate. I protestanti però, si aspettano di più: non solo gesti ma anche parole chiare e teologicamente approfondite”.
    In realtà, nel discorso di mercoledì con i rappresentanti delle chiese e di altre religioni, Papa Francesco non pare abbia detto cose particolarmente innovative sul tema. Ha fatto un inevitabile richiamo al concilio, poi ha detto che “il migliore servizio alla causa dell’unità dei cristiani” è “vivere in pienezza quella fede che abbiamo ricevuto in dono nel giorno del nostro battesimo” e testimoniare il Padre misericordioso. “Più saremo fedeli alla sua volontà, nei pensieri, nelle parole e nelle opere, e più cammineremo realmente e sostanzialmente verso l’unità”, ha aggiunto. E’ come se lui stesso non credesse più di tanto all’ecumenismo di vertice, fatto di incontri e di delegazioni ad alto livello, e confidasse invece nella prassi quotidiana, quella convivenza che si sperimenta in molte terre fuori dall’Europa, quando spesso i cristiani sono pochi e poveri. E’ una lettura plausibile? “E’ un luogo comune dell’ecumenismo dire: più ci avviciniamo a Dio più ci avviciniamo l’uno all’altro – risponde Walter – Non so se il Papa avesse in mente davvero di contrapporre la convivenza quotidiana dei credenti di varie confessioni all’ecumenismo ‘ufficiale’. Secondo me questo sarebbe un’abdicazione non solo della teologia ma anche del governo della chiesa. L’attuale situazione deludente dell’ecumenismo è la conseguenza della mancata ricezione dei risultati del dialogo ecumenico da parte delle chiese, soprattutto da parte del magistero supremo della chiesa cattolica”.

    A proposito, dal suo punto di osservazione, la Germania, in cui i cristiani da sempre sono divisi a metà, qual è la situazione dell’ecumenismo dopo gli anni del pontificato di Ratzinger? quali sono i problemi di fondo ancora non risolti? “E’ una situazione molto difficile – riconosce Walter – I protestanti, ma non solo loro, sono rimasti delusi dall’ultima visita pastorale di Papa Benedetto XVI in Germania, specialmente dall’incontro con i rappresentanti della chiesa evangelica a Erfurt (il 23 settembre 2011, dove pure Ratzinger pronunciò parole di aperto elogio per Lutero, ndr). Non si aspettavano regali ma un vero dialogo e ragioni teologiche. La dichiarazione ‘Dominus Iesus’ dell’anno 2000 è il punto di partenza di un irrigidimento crescente da parte di molti protestanti che vedono come un affronto grave il rifiuto del magistero cattolico di chiamarli ‘chiesa’. Nel suo discorso di mercoledì anche Papa Francesco ha ripreso la distinzione tra ‘chiese’ per ortodossi e orientali e ‘comunità ecclesiali’ per i protestanti. La distinzione è tradizionale, si trova anche nel decreto sull’ecumenismo del Concilio Vaticano II, l’Unitatis redintegratio, ma è un’altra cosa ripeterla tale e quale tanti anni dopo. Il cardinale Walter Kasper (dal 2001 al 2010 presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, ndr) ha suggerito di parlare di ‘chiese di diverso tipo’, ma questa proposta non è stata accettata né da Papa Benedetto né, per ora, da Francesco. Non so se il nuovo Papa conosca già le sfumature del dialogo ecumenico, forse no, ma io spero che la sua ricca esperienza pastorale lo aiuterà a incoraggiare i tentativi ecumenici e ad accoglierne i risultati. Per noi, qui in Germania, un’apertura in questa direzione sarebbe un grande segno di speranza”, conclude il teologo tedesco.

    A due passi da San Pietro, invece, vive e lavora Fulvio Ferrario, teologo della facoltà valdese di Teologia, gioiellino della piccola e vivace comunità di piazza Cavour. Sull’esordio di Papa Francesco è cauto. “Non posso sapere se l’impressione di viva simpatia suscitata dalle sue prime uscite sia espressione di un programma di rinnovamento. Mi pare che molte valutazioni di questi giorni siano un po’ affrettate. In ogni caso, credo che potremo presto farci un’idea più precisa”. Il discorso ai rappresentanti delle chiese e delle comunità ecclesiali (e di altre religioni) qualche prima indicazione forse può darla. “Non posso fare a meno di osservare che rimane la distinzione romana tra ‘chiese’, quella cattolica e ortodossa, e ‘comunità ecclesiali’, quelle protestanti che al di là della retorica ecumenica significa: chiese di serie B. Questo non può rallegrare un cristiano evangelico. Ma non sono abituato ad aspettarmi strappi da Roma”.
    La valanga di letture, quasi tutte positive, riversate sul nuovo Papa tradisce la voglia di cambiamento oppure è il solito giochetto di accodarsi al vincitore? “Può essere che parte dell’opinione pubblica desideri un rinnovamento della chiesa cattolica e che si senta incoraggiata in questo dalla semplicità evangelica mostrata da Francesco nelle sue prime uscite. Certo che quando un autorevole esponente del cattolicesimo italiano più avvertito (aizzato, bisogna dire, da un cantore radiofonico delle gesta di tutti i papi recenti), prima ancora che Francesco si affacciasse al balcone, ha parlato, in base al nome scelto, di rinnovamento evangelico, di nuova fioritura, ecc., mi è venuto spontaneo osservare che nessuno di costoro ci aveva avvertiti che, con Benedetto XVI, la chiesa di Roma fosse invecchiata e l’evangelo, in essa, appassito…”.
    In ogni caso l’esordio di Francesco è promettente. “Certo – riconosce Ferrario – si ha un’impressione di freschezza evangelica; semplicità senza sciatteria, cordialità senza istrionismo. Detto questo, vorrei rilevare che la qualità personale di un vescovo di Roma non significa necessariamente che egli corrisponda alle attese di questo o di quello. I due pontefici precedenti, ad esempio, sulle opinioni dei quali mi è capitato spesso di esprimermi in termini estremamente critici, erano entrambi figure tali da suscitare il massimo rispetto. Basti pensare all’abdicazione di Benedetto XVI e alle parole con le quali l’ha motivata”.

    Ma quali sono i veri nodi dell’ecumenismo oggi? “Ne menzionerei due. Anzitutto il modo di concepire l’unità dei cristiani. Il modello di unità della chiesa espresso da un’operazione come quella dell’‘Anglicanorum coetibus’ di Benedetto XVI, e che il cardinale Kurt Koch (attuale presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, ndr) ha ipotizzato anche nei confronti dei luterani che a ciò fossero disponibili – in sostanza: una forma di annessione –, è esattamente ciò di cui non abbiamo bisogno. Se invece fosse privilegiata l’idea della comunione tra chiese diverse, che si riconoscono reciprocamente, si tratterebbe di un passo nella giusta direzione. Un secondo punto riguarda le questioni etiche. Più volte Benedetto XVI e i cardinali Kasper e Koch hanno accusato le chiese evangeliche di lassismo morale. Esse sarebbero subalterne al laicismo, colpevoli di conformismo nei confronti dello spirito di questo tempo. Se invece si riconoscesse che le nostre posizioni, condivise o meno dall’interlocutore cattolico, sono frutto di un tentativo di fedeltà a Cristo, ciò renderebbe più fecondo il dialogo. Non mi aspetto che il Papa plauda ai matrimoni gay. Desidererei però che, sulle questioni etiche, la ricerca delle chiese evangeliche venisse interpretata come un’interrogazione sulla base dell’evangelo, condotta, questo sì, lungo sentieri che, finora, le chiese non hanno percorso. A volte si ha l’impressione che Roma preferisca, in questo ambito, una santa alleanza, che ad alcuni appare piuttosto regressiva, con le chiese ortodosse e, recentemente, anche con ambienti evagelici di tipo soprattutto pentecostale”, sottolinea Ferrario.
    In ogni caso, la scelta di Bergoglio di presentarsi solo come vescovo di Roma e non come Papa è emblematica. “Se, come è possibile, il linguaggio di Francesco vuole indicare un nuovo modo di esercitare il primato di Roma all’interno della chiesa cattolica, si tratterebbe di un fatto interessante. Ciò non modificherebbe necessariamente i termini del dissenso con il protestantesimo: la nostra obiezione riguarda il ministero papale come tale e la dottrina a esso legata, non solo le forme del suo esercizio. Ogni novità nello stile del vescovo di Roma, però, sarebbe intanto positiva per la chiesa cattolica e, in secondo luogo, anche tale da migliorare il clima ecumenico”.

    E se la via d’uscita dallo stallo fosse la prassi, la pratica quotidiana delle comunità invece che le elaborazioni teoriche di gerarchie e delegati? “Può darsi – ammette Ferrario – In effetti il movimento ecumenico deve rivedere le sue priorità, alcuni vecchi paradigmi sono esauriti. Naturalmente, parlare di problemi come la custodia del creato non deve essere uno stratagemma per aggirare lo stallo sulle questioni dottrinali. Ma è vero che l’ecumenismo deve uscire da questa concentrazione quasi ossessiva sulle questioni relative alla chiesa e ai suoi ministeri”.

    Da Assisi ad Allah, passando per Ratisbona. Il nuovo Pontefice e l’islam - Matzuzzi Nella Pasqua di magro di Bergoglio anche “i riti durano meno”