Concita e i suoi fratelli

Guido Vitiello

Bentornata, realtà. Non ci eravamo accorti che te ne fossi andata, ma bentornata lo stesso: ti uccideremo il vitello grasso. Fortuna che le grandi correnti spirituali del nostro tempo si diano convegno sulle colonne di Repubblica, e che lo Zeitgeist, pur soffiando dove vuole, abbia sempre la cortesia di inviare un suo refolo diplomatico dalle parti di via Cristoforo Colombo. E così, nella stessa congiuntura storico-destinale in cui Maurizio Ferraris riscopriva (o ribolliva) il realismo filosofico sotto il coperchio del “New Realism”, Concita De Gregorio dava nuovo lustro letterario al neorealismo, caduto in desuetudine dagli anni del boom economico e riconsacrato con il suo ultimo libro “Io vi maledico”.

    Bentornata, realtà. Non ci eravamo accorti che te ne fossi andata, ma bentornata lo stesso: ti uccideremo il vitello grasso. Fortuna che le grandi correnti spirituali del nostro tempo si diano convegno sulle colonne di Repubblica, e che lo Zeitgeist, pur soffiando dove vuole, abbia sempre la cortesia di inviare un suo refolo diplomatico dalle parti di via Cristoforo Colombo. E così, nella stessa congiuntura storico-destinale in cui Maurizio Ferraris riscopriva (o ribolliva) il realismo filosofico sotto il coperchio del “New Realism”, Concita De Gregorio dava nuovo lustro letterario al neorealismo, caduto in desuetudine dagli anni del boom economico e riconsacrato con il suo ultimo libro “Io vi maledico”. Il revival non riguarda lei sola, e anzi si può dire che – dal “Corpo delle donne” in poi – l’estetica neorealista è tornata in auge come strumento ideologico ed esorcistico.

    New Realism e neo-neorealismo: si tratta, in entrambi i casi, di disporsi al salutare cozzo con la pietra d’inciampo della realtà, aggirata dai populismi mediatici. Che s’incanali per vie giornalistico-filosofiche o giornalistico-letterarie, la corrente profonda è una sola. Soltanto così si spiega come De Gregorio abbia potuto inaugurare un articolo sul rogo dei due senzatetto nel sottopasso di Roma, alla fine di gennaio, col monito sibillino: “Dimenticate per un momento Corona”. Il lettore candido si sarà chiesto: “Cosa diamine c’entra Corona? E soprattutto, chi ci stava pensando?”. Ma il lettore candido è candido proprio per questo: perché non capisce. Dimenticate Corona sta per pensate all’elefante, e una volta che ci avete pensato comparate quel mondo di apparenze mediatiche e mollezze sibaritiche con la sofferenza silenziosa che si consuma nei sottopassi della Realtà.

    “Io vi maledico” è tutto giocato su questo cortocircuito retorico, e i casi che racconta sono già impacchettati come sceneggiature del primo Visconti: “La storia del minatore del Sulcis che voleva andare a ‘X Factor’”, quella “della figlia dell’operaio di Pomigliano che ha scritto a Marchionne due volte”, quella delle donne sindaco in Calabria e in Sicilia che combattono per due lire le mafie mentre “milioni di soldi pubblici corrono per i festini e le crociere dei politici corrotti”. Lo schema è ben noto, e leggendo “Io vi maledico” tornano alla mente le critiche lanciate al vecchio neorealismo: esaltazione dell’“umile Italia”, dignitosa e solidale, contro il mondo artificioso che si leva al di là del “quartiere”; abbondanza di cliché patetico-ottocenteschi; un atteggiamento di rivolta moralistico-sentimentale nel nome di una generica Umanità offesa. Ma se i limiti del vecchio neorealismo nascevano dallo sforzo sincero di accostarsi alla realtà, questo neo-neorealismo è, al contrario, un tentativo deliberato di non conoscerla. E’ una cecità autoimposta, un’impuntatura.

    Potremmo pescare altri cento esempi tra le pagine di “Io vi maledico” in cui l’Italia ricca e volgare appare come un bestiario ripugnante, ma già che siamo (pare) nella civiltà delle immagini, a quelle affidiamoci. E cerchiamo di decifrare quello strano sguardo che Concita De Gregorio mette su ogni volta che, in un dibattito, si parla di qualcosa che desta la sua ripulsa morale. E’ uno sguardo che riesce a essere, miracolosamente, severo e imbambolato a un tempo; lo sguardo tutt’altro che stupido, ma deliberatamente istupidito per ripicca morale, di una persona intelligente che abbia preferito estromettere una parte poco onorevole della realtà dalla propria immagine del mondo. Come il monito paradossale di Kant, che quando dovette congedarsi dal suo servitore annotò, secondo un aneddoto in odore di leggenda, la prescrizione “Dimenticare Lampe”, così quello sguardo sembra ripetersi a ogni momento, e con tutte le forze: “Dimenticare Corona”.