Tra i due contendenti la Cgil gode

Giuliano Ferrara

Ora va di moda dargliele a Monti oppure, a parti rovesciate, dargliele a Berlusco­ni. I due si picchiano di santa ragione, dopo la lunga stagione dell’idillio, e Bersani si agita o finge di agitarsi nei meandri della sua Ita­lia giusta, con capitale a Rocca Salimbeni, Siena. Vabbè. Ma la Camusso? La leader della Cgil ri­schia di essere il vincitore delle elezioni. Vendo­la, lo si è visto, non serve a niente e conterà poco, disturba, fa casino, vuole un marito e un figlio, sa­rà accontentato come Elton John in Inghilterra, ma a sinistra c’è sempre uno più puro che ti epu­ra.

    Pubblichiamo l'editoriale di Giuliano Ferrara apparso ieri sul Giornale

    Ora va di moda dargliele a Monti oppure, a parti rovesciate, dargliele a Berlusco­ni. I due si picchiano di santa ragione, dopo la lunga stagione dell’idillio, e Bersani si agita o finge di agitarsi nei meandri della sua Ita­lia giusta, con capitale a Rocca Salimbeni, Siena. Vabbè. Ma la Camusso? La leader della Cgil ri­schia di essere il vincitore delle elezioni. Vendo­la, lo si è visto, non serve a niente e conterà poco, disturba, fa casino, vuole un marito e un figlio, sa­rà accontentato come Elton John in Inghilterra, ma a sinistra c’è sempre uno più puro che ti epu­ra, cioè un partitino abborracciato che ti toglie i voti con la bandiera di inchieste farlocche, con la demagogia anti­mafia, con un programma addirittura di rivoluzione civile del tipo «va’ avan­ti tu che a me scappa da ridere». Susan­na Camusso è affare serio, invece. Ha in mano molti iscritti ope legis , molto denaro che ne deriva, i concerti del 1˚ maggio, uno sterminato mare di pen­sionati che sono sempre demografica­mente in crescita, ha una tradizione autorevole, un sistema di alleanze, so­pra tutto un reticolo di poteri sociali e di patronage cui corrisponde il potere dei poteri, quello di veto dei tribuni della plebe, l’interdizione classista e la vocazione classista. Una volta i sin­dacati facevano almeno finta di fare il loro mestiere.

    Ora il maggiore dei sin­dacati agisce come un sottopartito o un superpartito, e il posto della Cgil nell’Italia giusta fondata sul lavoro di Bersani è molto chiaro. Camusso, che viene dai socialisti, è una tipica massi­ma­lista con la tendenza a non chiude­re accordi, alla lotta intesa come ginna­stica aerobica, ma dice di ispirarsi a Giuseppe Di Vittorio, mitica figura di sindacalista comunista del dopoguer­ra, uno che con il suo famoso «piano del lavoro» disse chiaro chiaro nei tor­mentati anni Quaranta e Cinquanta: con questa carta, che è la nostra pa­zienza e la nostra fatica e la nostra fan­tasia nell’inventare soluzioni produt­tive, noi che rappresentiamo i lavora­tori partecipiamo alla ricostruzione del Paese, e chiediamo di essere ascol­tati e premiati nei limiti compatibili con il forte sviluppo economico del ca­pitalismo modernizzato al quale aspi­riamo.

    La Cgil di Camusso non ha firmato l’accordo sulla produttività, non ha ac­cetta­to la riforma del mercato del lavo­ro limitandosi a svuotarla, ha fatto del­la pura demagogia televisiva sul regi­stro della lotta alla povertà e del solida­rismo statalista e dirigista, ha seguito la Fiom nella sciocca crociata contro la ristrutturazione produttiva della Fiat divenuta Chrysler-Fiat nel crogio­lo della grande crisi a mercati aperti, non può dire di aver conseguito risul­tati significativi su salari e condizioni di lavoro e livelli di occupazione, né confederali e contrattuali nazionali né territoriali né aziendali, anzi; l’Ita­lia, al contrario della Germania dove i sindacati cogestiscono le imprese e si considerano una variante dello svilup­po basato sul mercato e sul suo «orien­tamento sociale», è la patria dei salari bassi e della depressione occupazio­nale. Con quale credibilità, con quale autorità menzionano il nome di Giu­seppe Di Vittorio? Su questo almeno il Cav dovrebbe convergere con Monti, non dico in modo troppo scoperto, il che elettoralmente non è più possibi­le, ma insomma, alla fine tutto si può fare: qualcuno dovrà pur battersi per non consegnare il governo del Paese ai veti della Cgil, alla sua idea tribuni­zia e proibizionista della cosiddetta concertazione, a questa impostazio­ne del «piano» secondo cui come sem­pre il problema è quello della redistri­buzione fiscale di una torta piccolissi­ma e che si sgonfia sempre di più inve­ce che la creazione di ricchezza socia­le attraverso il funzionamento di un’economia di mercato aperta, sor­retta dalla capacità dello stato moder­no di sostenere redditi e periodi di inoccupazione flessibile con un siste­ma di ammortizzatori a tempo compa­tibile con un’economia sana.

    Susan­na Camusso non ha ancora risposto al­l’obiezione, che non è liberismo sfre­nato ma semplice buonsenso, secon­do cui bisogna difendere il lavoro e non i posti improduttivi esistenti, non ha saputo trasformare la faccenda cru­dele dell’Ilva in una grande battaglia per restituire alle parti sociali e politi­che l’­autonomia confiscata dagli ideo­logismi della magistratura combatten­te, segue con pietrificato immobili­smo mascherato da sindacalismo giu­diziario la linea dura della Fiom con­tro il tentativo di Marchionne di ristrut­turare gli impianti e riorganizzarli in modo da renderli appunto produttivi di reddito e di investimenti. Di Vitto­rio non andava in barca a vela come la Camusso, era comunista dalla fonda­zione del partito di Gramsci e Togliat­ti, fu un dissidente libertario ed era sta­to temprato nello stalinismo delle ori­gini, ma era un italiano grande e signi­ficativo perché stava nella storia di questo Paese, non tentava di ostaco­larla come fanno oggi sindacalisti ai quali Bersani consegnerà inevitabil­mente un potere di interdizione che non meritiamo. Altro che Bilderberg e poteri forti, quello è il partito dei veti.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.