Ma cosa ci ha fatto questo Monti?

Giuliano Ferrara

Evocato e intervistato da Marco Valerio Lo Prete nella nostra lunga inchiesta sulla democrazia “a trazione elitaria” ovvero sul montismo, fino a ieri per noi Nathan Gardels era un guru californiano liberal, ma assalito dalla realtà, ripescato e rilanciato da Mario Monti e dall’eurodeputata liberale Sylvie Goulard in sapide note al testo di un loro pamphlet sulla democrazia in Europa. Una voce interessante, un americano conoscitore dell’Italia, uno controcorrente.

Leggi Il mistero non è Monti, ma gli italiani di Nathan Gardels

    Evocato e intervistato da Marco Valerio Lo Prete nella nostra lunga inchiesta sulla democrazia “a trazione elitaria” ovvero sul montismo, fino a ieri per noi Nathan Gardels era un guru californiano liberal, ma assalito dalla realtà, ripescato e rilanciato da Mario Monti e dall’eurodeputata liberale Sylvie Goulard in sapide note al testo di un loro pamphlet sulla democrazia in Europa. Una voce interessante, un americano conoscitore dell’Italia, uno controcorrente.

    Da ieri Gardels è un’anima gemella. Non per altro, ma per la semplice ragione che noi, pluralis majestatis, siamo riflessi, in questo suo contributo per il Foglio che pubblichiamo qui sotto, come il prototipo dell’italiano panciafichista e cazzone che vota Berlusconi e rigetta Monti per timore delle riforme, delle liberalizzazioni, della lotta tecnocratica contro i veti e i paradossi di una democrazia concertativa in cui alla fine la produttività sta a zero, la spesa e le tasse stanno a mille, e il welfare con la sua coca light culture ci frega, illudendoci e servendoci, dalla culla alla tomba.
    Epperò siamo anche, contraddittoriamente, l’unico giornale italiano su cui avete potuto leggere, potete e potrete leggere fino al voto (e oltre) il tenace, ossessivo mantra: tienimi da conto Monti. E pubblichiamo Gardels con completa soddisfazione intellettuale e politica, e il direttore perfino lo sottoscrive, dall’a alla zeta, e non avrebbe mai pensato che le cose da lui stesso sospirate in redazione la mattina sul fatale errore del Cav. e sulle conseguenze tragiche erano contemporaneamente elaborate, in altro contesto ma con gli stessi contenuti, da un guru del pensiero politico tra le palme di Santa Barbara (leggete sotto).

    Infatti siamo non già stupiti, ma letteralmente basiti, nel constatare che tutti, dico tutti gli italiani che si lasciano interpellare e hanno voce in capitolo elettorale e civile, dall’accademico liberale all’opinionista di establishment, dal gommista al commerciante, dalla utente di un bus al giovanotto proletario alla ragazzetta, fino alla farmacista e alla partita Iva e all’imprenditore e ad altre figure sociali di massa, tutti, dico e ripeto tutti, sembrano detestare Monti e sembrano pronti a garantirgli il più cordiale, vasto e travolgente insuccesso elettorale. L’intesa universale a dannarlo comprende, salvo rare eccezioni, tutti i settori che contano dell’establishment, e le poche aperture di un Montezemolo o di un Riccardi o del Vaticano stesso sono poi contraddette da clamorose ritirate personali, da scommesse dall’esterno, da interpretazioni al ribasso, da corse verso il vincitore Bersani cosiddetto e verso la rimonta berlusconiana, leggendaria in ogni senso, con puntate e ammiccamenti sul tour di Grillo e l’attivismo giudiziario-politico di un’estrema sinistra da ubriachi. Monti però no.

    Ma che cosa ci ha fatto Mario Monti? Sono d’accordo con Gardels. Niente di male e parecchio di buono. Ci ha posto di fronte a problemi nati dal caos e dal disordine finanziario nei conti pubblici che abbiamo scrupolosamente creato noi, come sistema e circuito politico e sindacale e mediatico e giudiziario, nei decenni, a partire dalla Prima Repubblica e dalla sua crisi e lungo tutto l’arco della Seconda Repubblica. In quei decenni il prof. predicava dal Corriere le cose che si sanno: rigore, riforme, equità intergenerazionale per la crescita dell’economia e del lavoro, taglio delle ali e fine di un bipolarismo imbizzarrito. A un certo punto il Cav. lo scelse per Bruxelles, dove si fece onore e lo confermò D’Alema premier. Poi Napolitano lo scelse per la nota bisogna col consenso di Cav. e Pd. Si fece di nuovo onore. Mediò con successo il nostro rapporto con l’Europa. Tenne a bada la maggioranza paradossale. Non insultò Berlusconi, che mal lo ricambia ora, anzi lo beatificò come un venerabile predecessore. Non fu stampella della sinistra né delle banche né di Confindustria né del gruppo Espresso, anzi, colpì vasti interessi e consolidati e sempre difesi dalla concertazione per riformare definitivamente le pensioni (attesa: mezzo secolo), per attuare il pareggio di bilancio con un inasprimento fiscale dovuto alla radicalità della crisi finanziaria, checché ne dica il keynesiano Wolfgang Münchau sul Financial Times. Certo non è un leader nel senso che si è imposto da vent’anni, non promuove referendum personali, non agita un fascino che non ha, fa morire di noia chi vuole dalla politica il teatro e l’avanspettacolo (noi siamo stati così e in parte lo siamo ancora). Ma non è quel Dracula insopportabile che la coca light culture vuole spacciare a ogni angolo di strada. L’Italia è così fatta: uno lo smuovono, gli dicono fa’ questo per noi, lui lo fa e bene, all’inizio tutti lo applaudono, e chissenefrega della democrazia, poi quando quello fa sul serio, scatta immediata la rivolta del benpensantismo farlocco, e lo dannano. La famosa situazione grave, ma non seria.

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    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.