In Israele il “Biberman” arranca, ma i voti persi vanno a destra

Giulio Meotti

“Biberman”, il grande ibrido politico creato da Benjamin Netanyahu e Avigdor Lieberman, pare destinato a vincere le prossime elezioni israeliane di gennaio. Ma il golem è già entrato in crisi. La lista unitaria di destra tra il Likud del premier e l’Yisrael Beiteinu dell’ex ministro degli Affari esteri scenderebbe di sette seggi, passando dagli attuali 42 in Parlamento a 35. Ma la vera novità è che i seggi perduti dal listone non andranno, come in passato, verso il centro, bensì alla formazione ancora più a destra di Bibi, il Bait Yehudi, che salirebbe dai tre seggi di oggi a sedici, diventando addirittura il terzo partito d’Israele e quadruplicando gli scranni.

    “Biberman”, il grande ibrido politico creato da Benjamin Netanyahu e Avigdor Lieberman, pare destinato a vincere le prossime elezioni israeliane di gennaio. Ma il golem è già entrato in crisi. La lista unitaria di destra tra il Likud del premier e l’Yisrael Beiteinu dell’ex ministro degli Affari esteri scenderebbe di sette seggi, passando dagli attuali 42 in Parlamento a 35. Ma la vera novità è che i seggi perduti dal listone non andranno, come in passato, verso il centro, bensì alla formazione ancora più a destra di Bibi, il Bait Yehudi, che salirebbe dai tre seggi di oggi a sedici, diventando addirittura il terzo partito d’Israele e quadruplicando gli scranni. Un tempo la battaglia politica in Israele si giocava tutta al centro. Oggi si decide tutta a destra. Non è piaciuta alla base elettorale di Netanyahu la fusione con il partito di Lieberman, un falco su posizioni sociali laiche. Lieberman è mal visto non soltanto dal potente rabbino Ovadia Yosef (“chi vota Lieberman rafforza Satana”) e dai deputati ultraortodossi, che hanno apostrofato i russi come “gangster, puttane e mangiatori di maiale”. Il popolo di Lieberman è un mondo a parte anche rispetto al nuovo Likud, molti russi si rifiutano di parlare ebraico per tutta la vita e i loro spot elettorali neppure si degnano di avere i sottotitoli in ivrit. Il Likud che dovrebbe portare “Bibi” a vincere nuovamente le elezioni non è più quello laico liberale in cui è cresciuto il premier. Il partito fondato sui principi umanisti di Zeev Jabotinsky ha appena scelto la destra religiosa.

    Non entreranno alla Knesset Benny Begin, figlio del fondatore del partito, il “principe” Dan Meridor, il “baby face della politica moderata”, né Michael Eitan, altro estraneo ideologico al Likud, i tre simboli della vecchia guardia rispettosa del ruolo della Corte suprema, favorevoli a scambi territoriali con i palestinesi e contrari all’agenda religiosa. Quando, la scorsa estate, Begin votò contro la legalizzazione degli avamposti in Cisgiordania, dagli scranni della destra volarono grida contro “il sodomita Begin”, la peggior offesa secondo i religiosi. Alle recenti primarie interne del Likud ha vinto la fazione guidata da Moshe Feiglin, il colono che da anni accresce la propria influenza nel partito è odiatissimo da Netanyahu, che vede in lui “un parassita” e che finora era riuscito a sbarrargli la strada. Con Feiglin avanza Zeev Elkin, il deputato che vive in un avamposto in Cisgiordania illegale persino per Israele, e Danny Danon, autore di un recente libro in cui propone la “soluzione a tre stati”, in cui i palestinesi non ottengono alcuno stato ma si federano con Egitto o Giordania. Feiglin, che ha dato a Netanyahu dell’“antisemita” (“mi detesta per la mia papalina di ebreo osservante e la mia barba”) è riuscito a conquistare il quattordicesimo posto in lista. Sei dei prossimi dieci deputati del Likud saranno dichiaratamente contrari a ogni negoziato con l’Autorità palestinese, quattro ai primi posti sono ultra religiosi e tre vivono nelle colonie.

    A prima vista Feiglin è l’uomo più mansueto che si possa immaginare. Alla guida del gruppo “Zu Arzenu” fu lui a guidare, negli anni Novanta, accese manifestazioni di protesta contro il governo di Yitzhak Rabin che aveva firmato gli accordi di Oslo con l’Olp. Da un elicottero Feiglin guidava colonne di centinaia di migliaia di dimostranti, al fine di paralizzare il paese. Feiglin venne condannato a diciotto mesi di carcere per “attività sediziosa”, scontandone poi sei. Ma in quel periodo mise a punto un nuovo approccio. Basta scontro frontale col potere “post sionista”, bisogna infiltrarsi nella foggy bottom israeliana tramite l’iscrizione di migliaia di propri uomini nel Likud. Un progetto risultato vincente. Nel 2005 Feiglin contestò con fischietti il premier Ariel Sharon presentatosi al comitato del Likud per ottenere il via libera al ritiro unilaterale da Gaza. Sharon, furioso per le contestazioni, lasciò il partito per dar vita a Kadima, che alle successive elezioni non riuscì a ottenere deputati. Oggi è la volta di Netanyahu, e anche lui potrebbe “sharonizzarsi” e fondare un altro partito. 

    La lista dei “peccati”
    La lista dei “peccati” che la destra non perdona a Netanyahu è stata elencata su Yedioth Ahronoth dal veterano dei coloni, Elyakim Haetzni: “‘Due stati per due popoli’, l’essenza della dottrina di sinistra; il congelamento delle colonie per dieci mesi; la volontà di lanciare negoziati sulle alture del Golan; il comportamento freddo verso i coloni non ‘legalizzati’ e soprattutto aver trasferito la responsabilità delle colonie al ministro della Difesa, Ehud Barak”. Ma se non ci saranno intoppi, Bibi andrà a guidare la coalizione di governo più destrorsa della storia israeliana, con i partiti haredi, un Likud galvanizzato dalla destra e la probabile alleanza con Habayit Hayehudi, l’ex Partito nazionale religioso guidato da Naftali Bennett, un ex delfino e portavoce di Netanyahu odiatissimo dalla moglie Sara. Sarebbe stato proprio per tamponare l’emorragia di voti a destra che Netanyahu ha appena approvato l’edificazione nella area “E1”, il controverso progetto di colonie fra Gerusalemme e Maaleh Adumim che ha reso incandescente il rapporto fra Gerusalemme e gli alleati.

    La fortuna di Bennett, ex soldato delle teste di cuoio israeliane con un passaporto americano, inizia nel 1999, quando fonda la Cyota, una compagnia contro le frodi. Sette delle dieci maggiori banche negli Stati Uniti e Canada utilizzano oggi il suo sistema. Sei anni fa ha venduto la compagnia per 145 milioni di dollari, diventando uno degli uomini più ricchi d’Israele. “Uno stato palestinese nel cuore d’Israele? E’ un suicidio”, ha detto Bennett. Per questo promette che porterà “un milione di persone” a vivere nei Territori nei prossimi anni. “Se abbattiamo il nostro scudo, ci sarà una linea diretta da Teheran a Tel Aviv”. Il piano di Bennett prevede l’annessione degli insediamenti, una mera “autonomia” per i palestinesi e la cittadinanza israeliana a cinquantamila arabi che vivono a ridosso delle colonie. Ma nello strano mondo del “Biberman” potrebbe spuntare un’altra alternativa: Netanyahu sgancerebbe l’alleato naturale a destra per portare nella coalizione un partito “centrista”, Yesh Atid del giornalista televisivo Yair Lapid o la nuova formazione di Tzipi Livni, più vicina a Netanyahu sull’idea per cui Israele deve uscire dai territori in cui i palestinesi sono maggioranza, pena la perdita della propria moralità. Ma a quel punto si aprirebbe la grande resa dei conti fra Netanyahu e il suo stesso partito, in cui il primo ministro sembra essere rimasto “l’ultimo liberale”.

    • Giulio Meotti
    • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.