Arriva finalmente il governo dei padroni

Giuliano Ferrara

Che cosa cambia con Mario Monti in corsa per le politiche, alla testa di una lista centrista? Parecchio. Intanto la prevedibile affermazione del Pd e dei suoi alleati trova in teoria un argine politico serio; c’è ora un interlocutore difficile, un “estraneo” molto diverso dai tecnici puri del prodismo-d’alemismo come Ciampi e Padoa-Schioppa, con cui trattare la formazione del governo, la sua guida, il suo programma, e la carica di capo dello stato: di questo parla il fastidio di Massimo D’Alema, il suo strambo veto “morale” alla investitura democratica di Monti e dei suoi.

    Che cosa cambia con Mario Monti in corsa per le politiche, alla testa di una lista centrista? Parecchio. Intanto la prevedibile affermazione del Pd e dei suoi alleati trova in teoria un argine politico serio; c’è ora un interlocutore difficile, un “estraneo” molto diverso dai tecnici puri del prodismo-d’alemismo come Ciampi e Padoa-Schioppa, con cui trattare la formazione del governo, la sua guida, il suo programma, e la carica di capo dello stato: di questo parla il fastidio di Massimo D’Alema, il suo strambo veto “morale” alla investitura democratica di Monti e dei suoi. Berlusconi, Grillo e la Lega avranno campo libero in quella che si annuncia come una disgraziata rincorsa demagogica antifiscale e antieuropea, sempre suscettibile di trovare qualche robusto consenso ma oggi sulla carta anacronistica. Vedremo. Dipenderà tutto dalla capacità di persuasione dal basso di una proposta politica e di programma che fino a ora è stata convincente (con riserve) ma solo dall’alto, formalizzata come una necessità imposta dalle circostanze e da “color che sanno e possono”. Bisogna anche vedere la ricettività popolare della faccenda: gli italiani, dopo le lezioni del ventennio che ha chiuso con una transizione incompiuta la storia della Prima Repubblica, vogliono essere governati con acribia e una punta di arida solerzia professionale o intendono continuare a giocare?

    Monti in politica che cerca voti è comunque una nuova anomalia. Era anomalo, è anomalo, il governo del presidente della Repubblica, composto di ministri non designati dai partiti, arrivato quando nel novembre del 2011 la coalizione eletta nel 2008 si è dissolta nei numeri e nella credibilità internazionale, e nel pieno di una spettacolare crisi finanziaria da debito, con conseguenze destabilizzanti nella battaglia dei mercati internazionali: si decise con un accordo di unità nazionale di non votare, caso unico al mondo, perché l’offerta politica di maggioranza e opposizione non era considerata all’altezza della crisi (votarono sotto la neve i greci, gli spagnoli, i portoghesi, gli irlandesi, gli italiani no). Con Monti ora a capo di una coalizione l’anomalia raddoppia, e non solo o non tanto per la questione della non candidabilità diretta di un senatore a vita. Raddoppia, l’anomalia, perché oltre ai partiti nazionali (il Pd) e territoriali (la Lega), oltre al movimento carismatico personale (il Pdl di Berlusconi), ora è in campo un gruppo di ottimati e di tecnocrati che prendono il posto da tempo in esaurimento del vecchio centro politico post democristiano, e tentano da posizioni di potere e di governo non democraticamente legittimate, fondate su una maggioranza coatta a ricasco dell’Europa e dei mercati finanziari e delle alte burocrazie dell’Unione, la scalata al potere democratico, quello legittimato dagli elettori, con una scelta di blocco sociale (il sostegno di Fiat e sindacati non classisti) e un programma riformatore che Mario Monti dovrà esporre tra qualche giorno ed è in parte implicito nel suo anno di governo tra decreti, leggi e dossier, nelle cose fatte e in quelle rinviate. Come noi, sono tutti presi di sorpresa da questa decisione di Monti, che entra in gioco pur cercando di mantenere una distanza di sicurezza di tipo istituzionale: Scalfari e la sua lobby avrebbero fatto carte false, come ha scritto il Fondatore, per evitarlo, e anche il presidente della Repubblica non è un sostenitore della scelta azzardata e a rischio fatta dal premier.

    Insomma, l’anomalia è in questo: il sistema dei partiti non è rinato a tanti anni dalla sua morte nei primi anni Novanta, quello bipolare e di alternativa fondato sulle coalizioni costruite intorno alla funzione carismatica dei leader si è impantanato e dissolto, e ora un uomo che sembrava destinato alla terzietà, alla cultura di governo e alla prefigurazione ideologica europea, una specie di Jean Monnet, di cattolico liberale aperto al mercato e al marchio sociale dell’economia capitalistica, fa una scelta di coalizione, dunque si schiera, e prova a rilanciare dal basso quel che era nato dall’alto. Osserviamo qui da quasi vent’anni, ora con ironia e ora con malinconia, le convulsioni tipiche della formazione di una nuova classe dirigente, e tutte le atipicità del caso sono state passate in rassegna e analizzate da noi senza boria e sopracciò, con un coinvolgimento tormentato ma anche ironico nel fenomeno rivoluzionario costituito per anni, e nelle premesse, dal privato Berlusconi che irrompeva nella politica pubblica con le sue grandi e celebri mattane. Ora c’è una novità assoluta da osservare: un centro un po’ più robusto del solito è una cosa tutto sommato minore, un progetto di consenso e di coalizione sociale guidato da un portavoce della borghesia industriale e finanziaria ostile alla concertazione, e sostenuto da Sergio Marchionne, è un’altra cosa, forse anche più interessante.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.