Letterina di Natale

Perché al Foglio siamo cattivi

Giuliano Ferrara

Mi sono sempre domandato perché mai a noi del Foglio e a me personalmente risulti tanto difficile parlare bene del bene, esercitare la commozione come forma comune, sistematica, di commento a quel che accade; è un po’ il nostro stile. Io per esempio credo che le stragi dei bambini nella società ricca e pacificata siano diretta conseguenza della sordità morale con cui abbiamo ratificato l’aborto di massa, la facoltà di scegliere tra la vita e la morte è la compagna segreta della violenza dei tempi, e dell’insicurezza, riguardo l’essere e il principio di realtà che ne deriva; e ritengo anche utile l’idea di armare i maestri o volontari scuola per scuola, altro che ridurre a sudditi incapacitati a portare armi i cittadini americani.

    Mi sono sempre domandato perché mai a noi del Foglio e a me personalmente risulti tanto difficile parlare bene del bene, esercitare la commozione come forma comune, sistematica, di commento a quel che accade; è un po’ il nostro stile, o anche il nostro vizio, in virtù del quale abbiamo pochi amici e parecchi detrattori, questo rifiuto pudico di prendere la via di una convenzionale devozione verso ciò che tutti ammiriamo istintivamente, come la probità di vita, specie nelle responsabilità pubbliche o sociali, la autenticità dei sentimenti e del discorso nella bocca dei facitori di opinione diffusa, la solidarietà, la pace, il romanticismo dei diritti eguali per situazioni e identità diverse, l’autodeterminazione libera dell’esistenza umana nel rispetto della fede come fatto privato.

    Io per esempio credo che le stragi dei bambini nella società ricca e pacificata siano diretta conseguenza della sordità morale con cui abbiamo ratificato l’aborto di massa, la facoltà di scegliere tra la vita e la morte è la compagna segreta della violenza dei tempi, e dell’insicurezza, riguardo l’essere e il principio di realtà che ne deriva; e ritengo anche utile l’idea di armare i maestri o volontari scuola per scuola, altro che ridurre a sudditi incapacitati a portare armi i cittadini americani governati dalla costituzione liberale più longeva e più forte del mondo, che prevede quel diritto in forma tassativa. Oso scrivere queste cose, perché mi inoltro nella vecchiaia e dell’approvazione sociale non so che farci, ma sono consapevole che è tecnicamente un errore pensare e dire quel che si può arrivare a ipotizzare in certi casi estremi, è la chiusura del discorso in un giro necessariamente ristretto di persone che sono in grado di mettere in causa tutto, proprio tutto, senza cinismo, non in modo sconsiderato, non senza amore, ma evitando ogni affettazione di buona coscienza, questo sì.

    Trilling, Lionel Trilling (1905-1975), fu un grande critico letterario e civile del Novecento americano, una figura che con riverenza mi viene di accostare al magnifico Alfonso Berardinelli, per il suo stare discosto, per il suo essere centrale, curioso e appassionato ma osservatore non banalmente coinvolto. Scriveva nella Partisan Review, roba di sinistra elegante e radicale, e si dedicò al celebre critico britannico Matthew Arnold (1822-1888), censore del filisteismo vittoriano e di molte altre correttezze civili e politiche, e a E. M. Forster (1879-1970), famoso per i suoi saggi e romanzi e racconti, per le sue amicizie e il suo ironico disincanto, una specie di Proust o di Joyce degli inglesi ma quanto diverso da loro (lo sostiene Adam Kirsch, che a Trilling ha dedicato un bel saggio appena uscito per i tipi della Yale University Press).

    Il libro importante dal nostro punto di vista Trilling lo pubblicò nel 1950 con il titolo "The Liberal Imagination", traducibile con qualcosa come l’immaginario o l’immaginazione progressista, non stiamo a farla tanto lunga. Il critico, che era un solido moderato della via del mezzo ed era stato un giovane radicale, naturalmente evoluto in un anticomunismo serio, rigoroso e non fanatico nel tempo della guerra fredda, scrive in diversi saggi, su Kipling e sull’arte, cose che a me sembrano memorabili per la precisione e la persistenza, e perché spiegano la difficoltà di essere troppo univocamente buoni, non tanto nella vita (lì ci si possono dare bacini quanti se ne voglia con Umberto Eco e i suoi sodali dell’azione cattolica convertita in azionismo laico e puritano), quanto nell’arte della comunicazione civile e culturale.

    La prima cosa memorabile riguarda Kipling. Con il suo imperialismo militarista e la sua manliness o virilità ostentata, lo scrittore era criticabile non in sé quanto per il fatto di presentare ai liberal un obiettivo facile per la loro condiscendenza. Citando un passaggio del molto liberal John Stuart Mill a proposito del molto conservatore Samuel Coleridge, insigne poeta, Trilling ricorda che il filosofo progressista lodava il conservatore e aggiungeva che “dovremmo pregare per il bene di avere dei nemici che ci rendano degni di noi stessi”.

    Definitivo, e una eco di questa saggezza meditativa c’è sempre nel lavoro diaristico di Berardinelli e Piergiorgio Bellocchio, e nella migliore saggistica inventiva e immaginativa, appunto una liberal imagination, quest’ultimo passaggio con cui vi saluto e vi auguro buon Natale, insieme a Lionel Trilling,  dal cattiverio del Foglio: “Vivere la vita dell’ideologia con la sua speciale inconsapevolezza vuol dire esporsi al rischio di diventare agenti di quello che Kant chiamava il Male Radicale, l’inclinazione dell’uomo a corrompere gli imperativi della morale fino a farli diventare lo schermo protettivo del suo amor proprio”.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.