Alfio, er bello de Roma

Stefano Di Michele

Forse fu la profezia di Fidel, roba di venti anni fa. Forse fu la rassicurazione di Gianni Letta, al solito con solide fondamenta. O gli incontri mattutini con Massimo D’Alema, nella bella casa in pieno centro (“Un giorno fui chiamato da Massimo D’Alema che mi voleva parlare. Ci incontrammo, in modo segreto, in casa di Alfio Marchini, un appartamento nel quale si entrava da via Condotti e si usciva da via Frattina”, dal racconto di Francesco Cossiga). O i rimpianti della Moratti (do you remember Moratti, Letizia?) quando stava in Rai: “Alfio, torna con noi”.

    “… Vedo la maestà der Colosseo, vedo la santità der Cupolone, e so’ più vivo e so’ più bbono… ”. (“Roma Capoccia”, Antonello Venditti)

    Forse fu la profezia di Fidel, roba di venti anni fa. Forse fu la rassicurazione di Gianni Letta, al solito con solide fondamenta. O gli incontri mattutini con Massimo D’Alema, nella bella casa in pieno centro (“Un giorno fui chiamato da Massimo D’Alema che mi voleva parlare. Ci incontrammo, in modo segreto, in casa di Alfio Marchini, un appartamento nel quale si entrava da via Condotti e si usciva da via Frattina”, dal racconto di Francesco Cossiga). O i rimpianti della Moratti (do you remember Moratti, Letizia?) quando stava in Rai: “Alfio, torna con noi”. O la celeste (ormai) assistenza del Giuss. Oppure gli amabili conversari con il presidente Ciampi. Qualche ammirata tonaca (non sotto la dignità della porpora, comunque, e sempre e in ogni modo reciproca ammirazione). Chissà, magari le antiche cravatte donate da Cossiga. La silente considerazione di Enrico Cuccia. Costanzo e Santoro, si dice, che lo volevano per Telesogno. La scelta della Pivetti (do you remember Pivetti, Irene?). La calda amicizia con Walter Veltroni. Il filosofeggiare ardito con Rocco Buttiglione. Forse un’ombra, che sempre in sostanza si muta, di consolante simpatia per l’Opus Dei. La coppa (vera) donata dalla regina Elizabeth (quella vera, la Windsor di persona). La battute argute scambiate con Giuliano Amato. Il sodalizio con Shimon Peres. Gli “esperti di comunicazione di Obama”, gente capace di acchiappare, con una sola occhiata, il Quarticciolo manco fosse l’Ohio. O forse forse, e anzi più di ogni altra cosa – persino sopra Buckingham Palace e il Cupolone e il sempre, e sempre trionfalmente risolto, campionato di polo – Francesco Gaetano Caltagirone, verso cui con accorta saggezza lo indirizzò, quando aveva appena vent’anni, il mitico nonno Alfio (di suo in buonissimi rapporti con i comunisti, come in eccellenti rapporti con il Vaticano: per dire, di quanta saggezza): “Caltagirone è l’unica persona di livello. Quando hai bisogno chiedi a lui”. E consigli deve aver chiesto, e ottimi consigli deve aver ricevuto e accortamente messo in pratica, Alfio Marchini – così che sul Messaggero si poteva leggere questo titolo: “Gli industriali su Marchini: ‘E’ una novità per Roma’” – con bellissima foto d’accompagno, atta a creare turbamento non meno che convincimento in ogni assennata futura elettrice (non escluso qualche sensibile elettore) capitolina.

    Che Alfio Marchini arrivi o no in Campidoglio – e del resto ha fatto notare che potrebbe benissimo andarci a piedi, “fare il sindaco amministratore delegato”, essendo al momento accasato nei paraggi – un effetto lo ha già ottenuto: far improvvisamente sfiorire (s’intende: esteticamente sfiorire) il cosiddetto “partito dei carini” a caratura montezemoliana e a crozziana definizione: è il debutto del “partito dei belloni”, altro che l’evanescente seppur raffinato impianto strutturale di Luca, il pettorale di Alfio, piuttosto, di fisicata muscolatura, sorta di “Caio Gregorio, er guardiano der Pretorio… c’ho du’ metri de torace”, bisognevole nel caso di un XXL di fascia tricolore, un po’ Ridge e un po’ Ken e un po’ soprattutto gladiatore Massimo Decimo Meridio: che tra il Colosseo e il Circo Massimo fa sempre la sua mejo figura e mostra intera la sua vocazione. Ha dentatura smagliante, capigliatura abbondante, statura rilevante – messo in foto (come saggiamente il Messaggero mette) in doppiopetto, pare di vedere avanzare, scala uno a uno, una riproduzione dell’intera piazza san Giovanni – eloquio corretto, abbronzatura in perfetto equilibrio, falcata guizzante. Basta cercare qua e là alcune sue foto: eccolo al mare con bellissimo labrador accosciato vicino (labrador che dicono imparentato con altri mejo labrador de Roma), eccolo praticare lo sci d’acqua, eccolo a cavallo che gioca a polo – capace pure, se arriva un’altra alluvione nella capitale, di stappare tutti i tombini con una soffiata direttamente dalla groppa del marmoreo destriero al posto di Marc’Aurelio, dopo qualche vigoroso pugno (a mo’ di Tarzan) sul solido torace. Senza che questo possa minimamente velare né la capacità, volendo, di sfiorare la patristica, né la profondità, accertata, di dibattere dello sviluppo economico cittadino. Ora, è risaputo che la narrazione dell’epica dei palazzinari romani è roba buona per campagne stampa e raccolte di firme di illustrissimi urbanisti, o per film alla Ettore Scola come “C’eravamo tanto amati”, dove il palazzinaro Aldo Fabrizi – grasso e asmatico e cinico – tagliava la porchetta tra gli applausi di edili miserabili e piazzava il tricolore sul tetto di orrendi fabbricati. Ma non il sospetto di un mattone fuoriposto, non lo sconcio di una “cofana” di calce di troppo, accompagna il debutto di Alfio il Bello, bello non meno dell’imperiale storico Filippo IV, sulla scena politica – così che persino uno dei suoi primi antipatizzanti, Gad Lerner, oltre a omaggiarlo come “formidabile paraculo”, a dettagliarlo quale “bello gentile simpatico e ricco”, a sottostimarlo quale “Montezemolo de noantri”, ha infine sentenziato: “Ha troppi amici per piacermi”.

    E di amici, appunto, Alfio ne ha. Già a metà degli anni Novanta, un suo lungo ritratto sull’Espresso aveva per titolo “Piacere, sono Alfio il Prezzemolo”, e l’anno prima, quando fu proposto dai presidenti di Camera e Senato per il consiglio d’amministrazione della Rai (“Ingegnere, trent’anni, mascella quadrata, una vaga somiglianza con il Ridge di “Beautiful”, una leggera balbuzie” – balbuzie che con l’andare degli anni ha lasciato spazio a un fluido discorrere), il Corriere della Sera così titolò: “Alfio Marchini Jr, l’amico di tutti da ‘calce e martello’ al ‘Sabato’”, essendosi peraltro impegnato tanto nell’Unità a caratura dalemiana quanto nel settimanale a vocazione sbardelliana. E’ un sorriso inclusivo, il sorriso quasi hollywoodiano del nipote del mitico costruttore comunista – colui che al Pci togliattiano del Dopoguerra fece, secondo leggenda, dono del palazzone di Botteghe Oscure, per quarant’anni e passa Cremlino capitolino, e seppure adesso nel dopopranzo domenicale dall’Annunziata viene la donazione derubricata a “ristrutturazione”, il mito, a storia ormai conclusa e archiviata, resiste e persiste e intriga. Sorriso odontoiatricamente e mediaticamente a sicuro impatto, non certo sfoderato per mostrare brechtianamente i denti – ché quello fu l’avvio della nera favola del Caimano – piuttosto per recar sollievo e speranza a qualche milione di aspiranti suocere, oltre che, sospettano alcuni maligni, a Caltagirone – che lui, e anzi, a spiegar che a farsi sindaco proprio a Caltagirone farebbe dispetto e dispiacere. E così ebbe certo buon occhio – ché quasi sempre ha buon occhio, si sa – Fidel Confalonieri quando lo vide entrare (“dal fisico da cestista e soprattutto dal patrimonio genetico-politico tutto rosso”, registrarono ammirate le cronache) nello studio di un programma di Michele Santoro: “Eccolo il leader ideale!”. E Gianni Letta, di fronte al dubbio berlusconiano – di fronte a certe incognite il Cav. sempre all’erta sta, sentinella si fa – pazientemente spiegò e rassicurò: “Alfio è una persona seria… Non è comunista, lo conosco bene”. Ecco, Alfio lo conosce bene Letta – e Letta conosce tutti, e Alfio, che da Letta è conosciuto e fu garantito, pure ha un pazzesco giro di conoscenze, tutte di eccelso livello: né smandrappate da mandria televisiva né sottoprodotti da residuale accattonaggio – piuttosto preti e liberali, giornalisti e imprenditori, “comunisti” e “democristiani”, tanto post come pre. Mentre ancora era calda la salma della cara vecchia Prima Repubblica, fu l’Espresso a osannare e innalzare con rapida approvazione l’icona di Alfio il Bello: “E’ la prima faccia giovane e inedita della neonata Seconda Repubblica, affollata di finti nuovisti”.

    Non c’è alcuno che, politicamente, su di lui un pensiero non abbia fatto: Dini lo voleva ministro, la Pivetti quando voleva incontrare Veltroni a lui faceva chiedere, Ruini che lo portava in palmo di mano, D’Alema che presso un suo fabbricato gli ItalianiEuropei degnamente accasò… E forse, nonostante il suo esemplare rifarsi e saggio riflettere sulle “Confessioni” di Agostino, così da poter pubblicamente annotare: “Devo ringraziare innanzi tutto Dio, perché niente si compie senza la Sua volontà”, è magari dalla passione per il polo (sport che nei pub del Tufello non attruppa folle, ma pazienza) che trae ispirati insegnamenti per la più prosaica futura azione politica, quasi come il suo amico D’Alema dalla lettura degli aforismi guerreschi di Sun Tzu. E dunque: “Uno sport straordinario. C’è l’amore per il cavallo, lo swing del golf, la rapidità dell’hockey, la durezza del rugby e il fair play delle discipline di matrice anglosassone”. Amore, swing, rapidità, durezza, fair play: c’è di che scendere in campo, o almeno di che salire in Campidoglio – e a supporto nel suo sito si legge: “Con la sua squadra di polo ha vinto, anche come capitano della Nazionale italiana, i maggiori tornei a livello mondiale”. Del resto, dalemianamente si potrebbe dire, ha fatto notare proprio il neocandidato: “Si impara solo in battaglia”.
    Avendo tutto – soldi e bellezza e altezza, cioè ben oltre l’essenziale: per dire, il Cav. ha solo i primi – “il giovane ingegnere” (come ancora lo chiamano i giornali a 47 anni: deve probabilmente aver già allineato le prospettive pensionistiche agli auspici della Fornero) è riuscito con intelligenza e scaltrezza a sfuggire quasi tutte le trappole giornalistiche che mutano rapidamente un danaroso rampollo in un coglione da rotocalco smutandato in Costa Smeralda – pur se il Corriere, in questi giorni, doverosamente segnalava che “fa battere il cuore alle donne”. Così, a cercare con attenzione tra i ritagli di stampa e le voci perse nella tramontana romana, a parte le sortite in Argentina per l’acquisto di cavalli da polo, c’è da accontentarsi solo di un piccolo episodio di colore di tanti anni fa, quando, narrano le cronache, da ragazzo subì il furto di “una Porsche d’antiquariato” (mah… ), certo deplorevole fatto di cronaca, pur tra i meno adatti a sollecitare vasta solidarietà popolare.

    Per il resto, da quando, ad appena ventitré anni, assume la guida delle società di famiglia dopo la morte di nonno Alfio, è solo un mesto e soddisfacente susseguirsi di consigli di amministrazione, project financing, business emergenti, amministratore delegato, Ferrovie dello stato, Capitalia, Giubileo, Società per il Risanamento di Napoli, banche, membro di comitati esecutivi… Rassicurante buonsenso, un certo buongusto, un benefico sottrarsi dalla vita sociale capitolina più sgangherata e rumorosa, le pubbliche abbuffate da cafonal dagospiesco, insomma dal “troppo commercio con la gente” – sommando con astuzia alla riflessione su Agostino l’esortazione di Kavafis: pur se sul campo di polo molto ammirare si fa, pur se in accappatoio in palestra (da danarosi) lo narrano. Chi lo conosce racconta che Alfio Marchini ha l’ansia e l’intelligenza di frequentare quasi ossessivamente quelli da cui imparare – piuttosto che i salotti dove esibirsi. Nel suo sito, parlando di sé in terza persona, racconta che “il nonno lo sottopone a un’utile gavetta che, unita al privilegio di partecipare a incontri e conversazioni con personalità di spicco dell’epoca, si è rivelata come una vera e propria scuola di vita, lasciandogli il piacere di trarre insegnamento dall’esperienza di persone più grandi” – e non è pratica nuova, pare, né generata dal clima di sobrietà oggidì richiesto. “Marchini il giovane, il bel trentenne che tutti si contendono – narrava l’Espresso dell’allora giovanotto – preferisce passare le sue serate con i Grandi Vecchi della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, per esempio” – anche perché stremato, pare, da giovani e faticosi intellettuali più che altro impegnati a chiedere soldi per cervellotiche loro iniziative. Così, a parte le solide soddisfazioni professionali, rammenta Marchini le vere benemerenze che gli hanno creato intorno quell’aurea di “bella riserva” della Repubblica di cui ha fatto sfoggio dall’Annunziata, che di suo già lo consegna, se non alla storia, almeno alla cronaca patria: “E’ entrato a far parte del Pantheon della politica”. Ecco il testuale, suggestivo elenco: “E’ tra i soci fondatori, nonché membro del Board internazionale e Presidente del Board italiano, dello Shimon Peres Center for Peace, per conto del quale ha svolto delicati ruoli nel processo di pace in medio oriente. E’ tra l’altro promotore del progetto della Casa della pace nel 1997, fortemente voluta da Yasser Arafat e dallo stesso Shimon Peres e progettato dall’architetto Massimiliano Fuksas… E’ membro del Non Governmental Peace Strategies Project (insieme a George Bush Senior, Kofi Annan, Javier Solana, Michail Gorbaciov). E’ socio fondatore dell’Associazione Italia Decide per la qualità delle politiche pubbliche, presieduta da Luciano Violante e il cui presidente onorario è Carlo Azeglio Ciampi. E’ socio fondatore della Fondazione ItalianiEuropei, inizialmente presieduta da Giuliano Amato e attualmente da Massimo D’Alema, che è tra i principali centri di analisi e studio delle politiche europee… ” – e scusate se è poco, senza contare il club del polo…

    E’ un cedere a un’antica tentazione, quella di Alfio il Bello? Un vanitoso gettarsi sotto i riflettori dopo tanto sottrarsi? Lo vuole Caltagirone? Lo vuole la sinistra? Lo vuole la destra (molto più difficile)? Ha da far sentire il suo respiro misterioso il fantomatico centro? Cosa sia di esteticamente visibile, quanto di politicamente indecifrabile Alfio Marchini, si può facilmente capire. Primarie del Pd? “Non ho votato, il mio candidato ideale sarebbe stato una sintesi dei cinque contendenti”. Il Corriere: “L’imprenditore viene dalla sinistra, ma guarda al centro e in parte al centrodestra” – praticamente il periscopio di un sommergibile, più che un candidato. Su Internet: “Negli ambienti giornalistici si è discusso molto sullapossibilità che Marchini divenisse il candidato del centrodestra o del centrosinistra” – così, qua e là. Un paraculo, come dice Gad? Del Pantheon degno, come assicura Lucia? “Io di Alfio conosco solo quello di ‘Cavalleria rusticana’… ”, come scrivono sui forum? Lui che dice che avrebbe voluto che Alemanno fosse “un Petroselli di destra”, e figurarsi!, così da sommare il sindaco più di sinistra della capitale a quello più radicalmente opposto. O forse c’è qualcosa, a parte l’inevitabile accortezza, la furba indeterminatezza, che permane – nei modi, nella complessità dei rapporti, piuttosto che nella fedeltà politica – di quell’antico mondo dei comunisti romani, fedeli alla causa e spesso anche in ottima intesa con Santa Madre Chiesa, intrecci di vite e di storie altrove quasi inspiegabili. “Partigiano gappista con Antonello Trombadori, il vecchio Alfio Marchini era figlio di quel che chiamano ‘il generone’ rosso, modeste origini, cuore in mano, un misto di furbizia e di generosità, fede comunista e fede cattolica, rapporti d’affari con il Vaticano, chiese e cliniche, messe e pugno chiuso, li chiamavano quelli di ‘calce e martello’… ” – a leggere di certe rimembranze sul Corriere.
    Sposato (poi separato) con Allegra Giuliana Ricci, figlia di Franca Ferruzzi, al suo matrimonio, nel luglio del 1993 presso la tenuta di Barbialla, raffigurata quale “possedimento di rango reale”, Repubblica dedicò un lungo articolo – erano giorni faticosi e cupi per l’impero Ferruzzi, e il giornale scalfariano, parlando dello sposo scriveva maliziosamente che era il “rappresentante di un’altra dinastia che ha conosciuto il declino”. E invece oggi eccolo che mira al Campidoglio – tra lo stupore del Pd e l’irritazione, pure un po’ cafona, ad alto tono, del Pdl locale (tutta salute, comunque). Si vedrà quanto il miracoloso equilibrio di Alfio il Bello, costruito frequentando Vecchi Saggi e meditando scritti di Padri Santi e soprattutto scansando la peste mondana capitolina, riuscirà a resistere ai colpi che arriveranno – lui, già quasi cinquantenne giudizioso a vent’anni, è sempre stato, tra i poteri romani, un po’ come la goccia di angostura in un cocktail: dà equilibrio alla mescita e passa (solo a incerto palato, però) inosservata. Ma tipo da happy hour, a suo onore, Alfio il Bello però non pare.