Guarda come tramonta l'astro di Gazprom, lo dice pure Putin

Luigi De Biase

Per Gazprom sembrano finiti i tempi del dominio sul mercato dell’energia: la società russa attraversa un periodo di crisi in patria e in Europa, nei paesi che sono stati il suo punto di forza per almeno dieci anni. Le notizie peggiori arrivano da Bruxelles: la Commissione europea ha aperto un’inchiesta per stabilire se il gruppo ha violato le regole sulla concorrenza, a Mosca sanno che la posizione di Gazprom è delicata e preparano la difesa.

    Mosca. Per Gazprom sembrano finiti i tempi del dominio sul mercato dell’energia: la società russa attraversa un periodo di crisi in patria e in Europa, nei paesi che sono stati il suo punto di forza per almeno dieci anni. Le notizie peggiori arrivano da Bruxelles: la Commissione europea ha aperto un’inchiesta per stabilire se il gruppo ha violato le regole sulla concorrenza, a Mosca sanno che la posizione di Gazprom è delicata e preparano la difesa. Giovedì s’è fatto avanti un tipo pacato e giovane come Arkady Dvorkovich, vicepremier ed esperto di economia, il più riformista fra gli uomini che siedono al governo: “Se ci saranno problemi per noi, vorrà dire che tutti avranno problemi”, ha detto ai giornalisti, mostrando una fermezza che in pochi gli avevano attribuito. Gazprom controlla una quota importante del gas che circola in Europa (in Italia il 30 per cento dell’oro blu arriva dai giacimenti russi) e punta a crescere ancora nei prossimi anni. La scorsa settimana gli inviati del Cremlino hanno chiuso gli accordi per costruire South Stream, il gasdotto lungo 2.430 chilometri che rifornirà l’Europa attraverso il mar Nero e i Balcani: è normale che l’inchiesta avviata dall’Ue sia avvertita come un atto estremamente ostile dal governo di Mosca.

    Ma questo non è l’unico guaio di Gazprom. I russi sono stati costretti a compiere una serie di mosse senza precedenti nelle ultime settimane: all’inizio di novembre si sono seduti al tavolo con i loro clienti polacchi e hanno dovuto abbassare il prezzo delle forniture del 15 per cento, in pochi credevano che sarebbe accaduto davvero. Il governo di Varsavia si sta smarcando rapidamente dalle forniture russe, ha chiuso accordi importanti con alcune società tedesche e ha dato il via libera allo sfruttamento dei giacimenti shale che si trovano nel nord del paese pur di ridurre la dipendenza dalla Russia (due major globali, ConocoPhilips e Chevron, stanno spostando a Varsavia i loro tecnici migliori per cominciare i lavori sul campo). Quelli di Gazprom hanno detto che lo sconto è “una concessione ragionevole”, ma lo strappo avrà un peso notevole sui prossimi bilanci del gruppo e sulle trattative con gli altri partner europei. I risultati già si vedono: i russi puntano su accordi rigidi, su contratti lunghi a prezzo fisso per coprire i costi delle infrastrutture (South Stream sarà pronto soltanto nel 2018, ma si parla di una cifra vicina ai 20 miliardi di euro per i lavori). I concorrenti europei stanno cambiando strategia per aumentare i profitti, propongono patti a breve termine, sono in grado di bilanciare l’offerta sulle esigenze del momento, si possono permettere soluzioni elastiche e meno costose. Grazie a questa tattica, i norvegesi di Statoil si stanno facendo largo in un mercato vantaggioso come quello tedesco. Gli analisti di Reuters non hanno molti dubbi: Gazprom deve trovare una soluzione, oppure saranno guai.

    Gli attacchi dalla Russia
    E poi ci sono i problemi interni. Il capo dell’agenzia russa per i monopoli, Igor Artemiyev, ha lanciato un attacco raro e violento contro i manager del gruppo dei mesi scorsi, definendo Gazprom “una società inefficiente”. Ma il colpo più duro è venuto da Vladimir Putin: il presidente ha incontrato un centinaio di economisti stranieri all’inizio di ottobre e ha usato alcuni termini abbastanza duri nei confronti della compagnia. “Abbiamo sempre più notizie su Gazprom, su come conduce gli affari e su quanto siano corrotti certi dipartimenti – ha attaccato Putin – La polizia dovrebbe trovare queste persone e arrestarle. Certo, penso che sarebbe un’azione decisiva, ma forse non sufficiente. Dovremmo cambiare le regole della società e assicurare a tutti l’accesso ai sistemi di trasporto dell’energia, a partire dai gasdotti”. Dal punto di vista politico, insomma, neppure una potenza come Gazprom è esclusa dalla campagna anticorruzione che Putin ha lanciato nelle ultime settimane e che è già costata la poltrona al ministro della Difesa Anatoly Serdyukov, a tre dei suoi vice, al capo di stato maggiore e a una decina di funzionari e dirigenti dello stesso palazzo.

    Oltre all’aspetto legale c’è quello tecnico. Sinora Gazprom ha avuto il monopolio delle esportazioni verso l’Europa, è una licenza grandiosa che ha permesso al gruppo di piazzare in occidente qualcosa come 150 miliardi di metri cubi di gas ogni anno. Pare, però, che questo periodo sia destinato a finire: così la pensa il ministro dell’Energia, Alexander Novak, che è stato a rapporto da Putin dieci giorni fa e ha chiesto il suo parere su un paio di aspetti delicati. Questi incontri sono trasmessi ogni sera dai telegiornali russi, il presidente sta seduto alla scrivania e accoglie l’ospite con una frase di rito: “Caro ministro, avete molte deleghe importanti, da dove volete cominciare?”. Novak è partito proprio dal monopolio di Gazprom, ha detto che il settore del gas liquefatto (lng) offre nuove possibilità e che il governo deve essere pronto a rivedere gli accordi. Putin non è parso per nulla sorpreso, da buon presidente ha fatto capire di conoscere la questione e ha augurato al ministro di portare a termine il lavoro nel migliore dei modi. I rivali di Gazprom si sono fatti avanti immediatamente: Novatek, la seconda società russa nel mercato del gas naturale, ha fatto sapere di essere già pronta all’export e ha presentato un piano che coinvolge i tedeschi di Energie Baden Württemberg. Le indiscrezioni hanno avuto conseguenze rapide sugli indici di Borsa, gli analisti di Merrill Lynch hanno inserito le azioni di Novatek nella loro lista della spesa e il titolo della società è salito dell’otto per cento in pochi giorni.

    L’ascesa di Rosneft (interessa anche a Eni)
    Per un campione che precipita, ce n’è uno che cresce rapidamente. Così, la società Rosneft sta acquisendo grande importanza negli equilibri del petrolio russo: alla guida della compagnia c’è Igor Sechin, che è stato a lungo al fianco di Putin come ministro dell’Energia. L’anno scorso è stato costretto a scegliere fra la carica di ministro e quella di petroliere, ha scelto la seconda e le fortune di Rosneft sono salite velocemente. Basta prendere in considerazione l’accordo miliardario che ha firmato il mese scorso con i britannici di Bp, un patto che ha permesso alla sua compagnia di diventare la più grande società petrolifera del pianeta: dai giacimenti russi escono ogni giorno 10,3 milioni di barili, è il livello massimo raggiunto dalla fine dell’Unione sovietica e 4 milioni di quei barili hanno il marchio Rosneft. Sechin pare molto serio nel suo sforzo. Da poco ha annunciato che il gruppo non si fermerà all’energia ma allargherà gli interessi alla finanza, già si parla di una banca collegata alla società petrolifera che avrà come capo Walid Chammah, un volto noto del panorama internazionale dopo gli anni passati alla guida di Morgan Stanley. Gli uomini di Rosneft si muovono bene nei palazzi del governo russo, e dopo il maxi accordo con Bp sono riusciti ad aggiudicarsi un contratto per la fornitura del gas da 31 miliardi di dollari: alcuni hanno visto in quell’affare un dispetto ai vecchi gestori della commessa, che sono – guarda caso – i colleghi di Gazprom.

    Che influenza possono avere questi giochi di potere sull’Italia? I rapporti fra Roma e Mosca sono solidi nel settore dell’energia, hanno superato la Guerra fredda e le privatizzazioni degli anni Novanta e si sono rafforzati nell’epoca di Putin. Eni è partner di Gazprom nella costruzione di South Stream – controlla il 15 per cento della sezione che attraverserà il mar Nero, la parte più complicata e strategica dell’intero tracciato – ma si è avvicinata notevolmente a Rosneft negli ultimi mesi e lo ha fatto ben prima che Sechin chiudesse il patto con Bp. L’ad del gruppo, Paolo Scaroni, è volato a Mosca in primavera e si è aggiudicato un pacchetto di licenze che vanno dal mar Nero al mare di Barents. Nessuno ha mai esplorato quelle acque prima di oggi, ma è proprio sui nuovi giacimenti che Rosneft punta per aumentare la propria potenza da qui al 2030.