Don Georg sarà “promoveatur”, ma non “amoveatur”, per via di Vatileaks

Paolo Rodari

Sono passati ormai diversi mesi dal deflagrare del ciclone Vatileaks e coloro che ritenevano che i traditori del Papa fossero da cercare nella sua stretta cerchia di collaboratori (maggiordomo a parte) sono stati smentiti. Tarcisio Bertone, cardinale segretario di stato, è oggi saldamente in sella a un “ministero” che a giugno ha in programma di convocare a Roma tutti i rappresentanti pontifici in giro per il mondo per una sorta di “corso di aggiornamento”.

    Sono passati ormai diversi mesi dal deflagrare del ciclone Vatileaks e coloro che ritenevano che i traditori del Papa fossero da cercare nella sua stretta cerchia di collaboratori (maggiordomo a parte) sono stati smentiti. Tarcisio Bertone, cardinale segretario di stato, è oggi saldamente in sella a un “ministero” che a giugno ha in programma di convocare a Roma tutti i rappresentanti pontifici in giro per il mondo per una sorta di “corso di aggiornamento”.

    Il segretario particolare del Papa, Georg Gänswein, potrebbe presto accettare l’incarico di prefetto della Casa pontifica o, nel caso il Papa porti un diplomatico in questo ruolo, di prefetto aggiunto della stessa Casa, rimanendo contestualmente in appartamento. Al secondo segretario particolare, il maltese Alfred Xuereb, potrebbe eventualmente aggiungersene un altro (c’è chi fa il nome del tedesco Hermann Geissler, responsabile dell’ufficio “dottrinale” dell’ex Sant’Uffizio), ma il lavoro dei due sarebbe comunque visionato da Gänswein. Si tratterebbe, insomma, a tutti gli effetti di una attestato di stima per il segretario, un po’ come fece nel 2003 Giovanni Paolo II con il suo segretario Stanislaw Dziwisz. Allora Wojtyla comunicò la decisione di nominare “don Stanislao” prefetto aggiunto della Casa pontificia. Dziwisz, fra l’altro, era già stato nominato vescovo nel 1998 ma nonostante i due importanti riconoscimenti rimase al fianco del Papa fino alla fine. Infine, Ingrid Stampa: l’ex governante di Ratzinger, citata dai giornali come possibile corvo, ha curato la traduzione dell’ultima fatica letteraria del Papa a conferma che di lei nei piani alti ancora si fidano.

    Se c’è un effetto che invece si può attribuire a Vatileaks è la volontà del Papa di internazionalizzare di più la curia, in modo da dare maggiore respiro al Vaticano e insieme soddisfare le varie richieste degli episcopati mondiali scottati dai recenti concistori giudicati troppo romani centrici. Non a caso oggi il Papa crea sei nuovi cardinali, tutti non italiani. I neoporporati provengono da Stati Uniti, Libano, India, Nigeria e Colombia. Si tratta del 63enne James Harvey, del patriarca di Antiochia dei maroniti, il libanese Boutros Rai, 72 anni; dell’arcivescovo di Trivandrum dei siromalabaresi, il 53enne indiano Baselios Cleemis Thottunkal; dell’arcivescovo di Abuja, il 68enne nigeriano John Olorunfemi Onaiyekan; dell’arcivescovo di Bogotà in Colombia, Ruben Salazar Gomez, 70 anni; dell’arcivescovo di Manila nelle Filippine, Luis Antonio Tagle, 55 anni.

    Da oggi, dunque, i cardinali elettori tornano a essere 120, il tetto massimo previsto da Paolo VI per un eventuale conclave. Gli ultraottantenni diventano invece 91 e il collegio cardinalizio è in tutto composto da 211 membri, con 117 europei, di cui 62 elettori, 22 americani del Nord, di cui 14 elettori; 30 latinoamericani, di cui 21 elettori; 18 africani, di cui 11 elettori; 20 asiatici, di cui 11 elettori, quattro dall’Oceania, di cui uno elettore. Le località di provenienza esprimono anche le priorità e le preoccupazioni di Benedetto XVI in questo momento del suo pontificato. Un concistoro senza italiani è raro, ma non unico: il 24 marzo 1924 Pio XI diede la porpora a due statunitensi, e il 19 dicembre del ’27 a due francesi, un canadese, uno spagnolo e un ungherese. Da Pio XI ad oggi, in 85 anni e sei papi, in ogni concistoro c’è sempre stato almeno un italiano.