Parigi ammalata risveglia in Berlino la sindrome di Sedan

Giovanni Boggero

A circa sei mesi dall’insediamento del presidente François Hollande all’Eliseo, la stampa tedesca parla senza mezzi termini della Francia come nuovo malato d’Europa (“kranker Mann Europas”). In particolare, i media teutonici oscillano tra la preoccupazione e la speranza che Hollande sia presto costretto a imprimere una svolta alla sua politica economica per evitare che il paese sia risucchiato dalla spirale dei declassamenti a catena.

    Roma. A circa sei mesi dall’insediamento del presidente François Hollande all’Eliseo, la stampa tedesca parla senza mezzi termini della Francia come nuovo malato d’Europa (“kranker Mann Europas”). In particolare, i media teutonici oscillano tra la preoccupazione e la speranza che Hollande sia presto costretto a imprimere una svolta alla sua politica economica per evitare che il paese sia risucchiato dalla spirale dei declassamenti a catena. “Da quando Hollande è stato eletto, il differenziale tra i tassi di interesse di Francia e Germania si è ridotto. Si tratta di un piccolo trionfo per il socialista, che però ora non vuole giocarsi la fiducia dei mercati finanziari. Ecco perché teme le critiche del governo tedesco. Hollande sa che i giudizi di Berlino hanno un peso molto forte”, scriveva nel fine settimana Michaela Wiegel sulla Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung. Parigi starebbe quindi trattando direttamente con Berlino sulle riforme da fare. In particolare, i cinque saggi economici del governo tedesco sarebbero stati incaricati direttamente dalla cancelliera di indicare a Hollande il cammino da seguire per ridurre la spesa pubblica e ridare competitività al sistema economico. E questo perché, chiosa la Wiegel, “ormai neanche la Francia può sottrarsi alla pressione riformatrice che vige in tutti gli altri paesi europei”. Così, a poco a poco, “stanno cadendo tutte le barriere ideologiche che Hollande aveva eretto in campagna elettorale”. Stando ai media tedeschi, il merito di un simile cambio di prospettiva andrebbe attribuito al primo ministro Jean-Marc Ayrault, che in passato ha dimostrato di essere un ammiratore della Germania e del suo modello economico. E’ di questo avviso il quotidiano economico Handelsblatt che, nella sua edizione del fine settimana, ha dato grande credito alle parole con le quali Ayrault, in visita a Berlino, ha promesso che riduzione del debito e competitività saranno d’ora in poi il pane quotidiano dell’azione politica del governo francese: “Ayrault si fa portavoce di proposte che per una buona parte del suo partito sono ancora considerate eresie neoliberiste”, spiegava con compiacimento Thomas Hanke, corrispondente da Parigi. Non c’è però alcuna certezza che Ayrault riesca a convincere il presidente, “visto che il giudizio tedesco sulla Francia come malato d’Europa scatena nei francesi il sospetto maligno che i tedeschi vogliano parlar male della Francia per guidare l’Europa in solitaria”.

    E in effetti una tale impressione la si ha, se si sfoglia la Bild Zeitung, che, sulla sua versione telematica, ospitava ieri un articolo dal titolo eloquente: “Ecco perché i francesi sono pericolosi per l’euro”. All’interno, i cronisti del tabloid nazional-popolare, dopo aver snocciolato tutti i dati sui fattori che rendono la Francia un paese a rischio, rivelavano anche che la signora Merkel vorrebbe tenere ancora sulla corda Parigi, minacciando di “toccarne direttamente gli interessi principali (tra gli altri, le sovvenzioni europee per l’agricoltura)”, se Hollande non approverà presto le riforme promesse. A rincarare la dose sulla pericolosità prossima futura della Francia c’è un rapporto di Bank of America pubblicato ieri. Secondo la banca d’affari americana, nel 2013 non si parlerà di Spagna, Italia, Portogallo o Grecia, ma dei mali francesi: “Le prospettive di crescita in Francia rimangono più alte di quelle di Italia e Spagna. Ma, in ogni caso, il paese giace indietro sul fronte delle riforme strutturali rispetto a Spagna e Italia”. Il rischio insomma, secondo gli economisti americani, è che gli investitori non vedranno la Francia come un paese “semi-core”, cioè del nocciolo duro d’Europa, ma “semi-periferico”. Non ci sono più soltanto la Perfida Albione e l’Economist a dirlo.