“Libertà religiosa minacciata”. I vescovi americani votano contro Obama

Paolo Rodari

A poche ore dalle elezioni americane la Conferenza episcopale statunitense prende a tutti gli effetti la sua posizione. Ad altro non lascia pensare il nuovo sito Internet lanciato in rete con perfetto tempismo: “firstamericanfreedom.com” è il nome di battesimo. Il sito suona sostanzialmente come una chiamata alle armi in vista delle elezioni: “Negli Stati Uniti” si legge a tutta pagina, “la libertà religiosa è gravemente minacciata”.

    Roma. A poche ore dalle elezioni americane la Conferenza episcopale statunitense prende a tutti gli effetti la sua posizione. Ad altro non lascia pensare il nuovo sito Internet lanciato in rete con perfetto tempismo: “firstamericanfreedom.com” è il nome di battesimo. Il sito suona sostanzialmente come una chiamata alle armi in vista delle elezioni: “Negli Stati Uniti” si legge a tutta pagina, “la libertà religiosa è gravemente minacciata”. E ancora “Recentemente il dipartimento della Salute e dei Servizi umani ha varato una legge che impone a tutti i datori di lavoro (con poche e limitate eccezioni per quanto concerne gli istituti religiosi) di offrire ai propri dipendenti piani assicurativi privati che includano anche la sterilizzazione, la contraccezione e la distribuzione di farmaci abortivi”. Il messaggio è chiaro ed è diretto dai vescovi a “chiunque vincerà le elezioni”. Chiunque avrà la meglio deve risolvere questo annoso problema. E gli elettori si adeguino di conseguenza.

    La battaglia giocata contro l’Amministrazione Obama sui temi eticamente sensibili non è di ieri. Negli Stati Uniti è principalmente l’arcivescovo conservatore di Baltimora, William E. Lori – è anche presidente del Comitato per la libertà religiosa della Conferenza episcopale –, a portarla avanti. Recentemente a Roma per presentare l’Osservatorio della libertà religiosa, Lori ha detto che “negli Stati Uniti c’è una vecchia tradizione di anticattolicesimo, storicamente superata con grandi sforzi grazie in particolare a un mio predecessore come arcivescovo di Baltimora, il cardinale James Gibbons (1834-1921). Ma ora questo anticattolicesimo ritorna. La chiesa dà fastidio per il suo continuo richiamo al bene comune e ai diritti inviolabili della vita e della famiglia”. E giù critiche a Obama e alla riforma sanitaria voluta dal suo governo “che impone anche a istituzioni della chiesa di finanziare l’aborto e la contraccezione dei loro dipendenti”. E ancora: “Con questo si vogliono espellere le chiese da vasti campi della sanità e dell’assistenza. Ci stanno imponendo la scelta fra restare nelle sagrestie e fare qualcosa di contrario alla nostra coscienza. La riforma sanitaria Obama è solo la punta di un iceberg. Stiamo perdendo qualche cosa di fondamentale, la passione americana per la libertà religiosa. E questo succede anche in altri paesi”.

    La posizione di Lori e dei vescovi americani è condivisa in Vaticano dove il fronte dei monsignori pro life è ad ampio raggio. L’ambasciatore statunitense di origine cubana presso la Santa Sede Miguel Díaz, teologo amico di Obama col debole per Karl Rahner, molto ha fatto per mostrare alle gerarchie d’oltre Tevere il volto migliore del suo presidente. Ma le diffidenze per le politiche inerenti la vita dell’attuale Amministrazione di Washington non hanno aiutato a dovere il suo lavoro. Ieri Díaz è stato anche ricevuto dal Papa in visita di congedo. Egli, infatti, lascia dopo tre anni l’incarico di ambasciatore proprio nell’imminenza delle elezioni. Tornerà a lavorare in università. Il successore verrà designato dal nuovo presidente, ma è evidente che lo stato dei rapporti col Vaticano dipenderà più dalle politiche di Washington che dal suo tatto diplomatico.