Il mito “più poveri, più crimini” attende la prova empirica

Alberto Brambilla

Quando la crisi economica bussava alle porte delle nazioni occidentali, scienziati sociali e criminologi avvertivano di un imminente aumento della criminalità. Si era diffusa l’opinione che con il diffondersi della povertà tra la popolazione sarebbe cresciuto di pari passo il numero dei reati, in particolare quelli violenti. Il mito sociologico negli anni recenti è stato in parte smentito dai fatti. Nel gennaio 2010 era un articolo del Wall Street Journal a evidenziare il tema per criticare le politiche assistenzialiste messe in campo dai governi democratici degli Stati Uniti, il quotidiano americano al contempo contribuiva a mettere ordine nel dibattito pubblico e a frenare l’allarmismo che si stava impossessando della società americana. Lo stesso si può dire dell’Italia?

    Quando la crisi economica bussava alle porte delle nazioni occidentali, scienziati sociali e criminologi avvertivano di un imminente aumento della criminalità. Si era diffusa l’opinione che con il diffondersi della povertà tra la popolazione sarebbe cresciuto di pari passo il numero dei reati, in particolare quelli violenti. Il mito sociologico negli anni recenti è stato in parte smentito dai fatti. Nel gennaio 2010 era un articolo del Wall Street Journal a evidenziare il tema per criticare le politiche assistenzialiste messe in campo dai governi democratici degli Stati Uniti, il quotidiano americano al contempo contribuiva a mettere ordine nel dibattito pubblico e a frenare l’allarmismo che si stava impossessando della società americana. Lo stesso si può dire dell’Italia?
    Dai dati Istat pubblicati nel bollettino “Italia in cifre 2012” si ha la conferma che un aumento della violenza non può essere giustificato da una crisi economica, un tempo forse (ancora) troppo breve per innescare un tale mutamento nella mentalità collettiva. In Italia la recessione è cominciata ufficialmente nel 2007 e, nonostante la crisi stia consumando sempre più velocemente le certezze dei cittadini, gli omicidi volontari, ad esempio, sono scesi costantemente: da 627 nel 2007 a 526 nel 2010. Lo stesso è accaduto con i tentati omicidi e gli omicidi colposi calati rispettivamente del 17 e del 13 per cento. Allo stesso modo le rapine sono diminuite in tre anni del 34 per cento. A conferma che sono diminuiti alcuni reati di strada. La criminologa Roberta Bruzzone invita a non prendere i numeri come sintesi dello specchio del paese dal momento che le persone potrebbero essere spinte a denunciare di meno reati per una sostanziale e sempre più pronunciata sfiducia nelle istituzioni. Si evidenzia poi, spiega Bruzzone al Foglio, un aumento degli omicidi in famiglia, pari al 10,8 per cento nell’ultimo biennio: “Un trasferimento della violenza, maturato magari per questioni economiche, dall’esterno all’interno della cerchia dei propri intimi”.

    I sociologi spiegano però che una crisi economica può essere considerata un periodo troppo limitato nel tempo perché si verifichino simili tendenze, cioè correlazioni evidenti tra più povertà e più delitti, piuttosto palesi invece nel caso di eventi considerati più traumatici come per esempio le migrazioni. Ma cosa succede se gli effetti di una crisi economica persistono in maniera tale da diventare strutturali? E’ vero che i dati Istat fotografano solo un quadro quinquennale, ed è altrettanto vero che recenti stime del ministero dell’Interno vedono crescere il numero dei reati: più 5,4 per cento nel 2011, in particolare quelli “predatori” come i furti e le rapine. Secondo Bruzzone è nel 2012 che le teorie verranno messe alla prova pratica perché la crisi economica sta diventando più pervasiva e persistente. “Il problema si pone quest’anno – afferma Bruzzone, presidente dell’Accademia internazionale delle scienze forensi – perché molte persone che fino a un anno fa potevano permettersi di vivere sopra i limiti della sussistenza, oggi, con il perdurare della crisi economica, potrebbero essere spinti per motivi di sopravvivenza a fare scelte criminali”.
    Potrebbe verificarsi dunque un ulteriore ribaltamento delle ipotesi sociologiche e tornare in auge la conferma del mito “più poveri, più reati”, ma resta ferma la considerazione che, a rigore di logica, meno denaro circola, meno possibilità ci sono che i delinquenti possano tentare di rubarne una fetta. E’ per questo che in momenti di espansione economica si è verificato un aumento costante dei reati, come teneva a sottolineare il Wsj riferendosi al boom degli anni Cinquanta. Se la teoria, in quanto tale, rimane materia di discussione la prova empirica deve insomma ancora arrivare.

    • Alberto Brambilla
    • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.