L'arcivescovo di New York sta con i repubblicani, ma per i cattolici americani conta più l'aborto (Romney) o la povertà (Obama)?

Paolo Rodari

Timothy Dolan, cardinale, arcivescovo di New York e capo dei vescovi americani, il 18 ottobre a Sinodo dei vescovi in corso lascia il Vaticano per qualche ora. Destinazione New York, per incontrare Obama e Romney alla tradizionale cena di beneficenza della Alfred E. Smith foundation. Non una cena qualsiasi, scrivono diversi osservatori, bensì un termometro per valutare poco prima delle elezioni verso quale candidato pende il cuore del capo dell’episcopato americano.

    Roma. Timothy Dolan, cardinale, arcivescovo di New York e capo dei vescovi americani, il 18 ottobre a Sinodo dei vescovi in corso lascia il Vaticano per qualche ora. Destinazione New York, per incontrare Obama e Romney alla tradizionale cena di beneficenza della Alfred E. Smith foundation. Non una cena qualsiasi, scrivono diversi osservatori, bensì un termometro per valutare poco prima delle elezioni verso quale candidato pende il cuore del capo dell’episcopato americano. Davanti a ospiti importanti, da Michael R. Bloomberg ad Andrew Cuomo, da Henry Kissinger a Brian Moynihan, Dolan rimane fino all’ultimo prudente salvo una sbavatura nel finale piccola ma significativa. Al termine di un breve discorso nel quale riconosce elementi positivi in entrambi i candidati tanto che spiega che “bisogna stare sempre dalla parte dei più deboli, i bambini nascituri (Romney si dice alleato dei cattolici perché difende la vita), come i poveri senza assicurazione sanitaria (Obama punta di più sui temi sociali)”, affonda a sorpresa il coltello difendendo la libertà di religione offesa dalla riforma sanitaria di Obama, quella riforma che “obbliga i datori di lavoro a includere contraccezione, sterilizzazione e medicine che possono causare l’aborto nelle polizze di sicurezza che devono obbligatoriamente pagare ai loro dipendenti”. Parole dure che scuotono i presenti e provocano un lungo applauso.

    Troppo poco per dire che è verso Romney che batte il cuore di Dolan? Probabilmente no, anche se non è affatto scontato che ciò che pensano le gerarchie sia sulla stessa linea di ciò che pensa il popolo. Sono circa 77 milioni i cattolici negli Stati Uniti e a chi decidono di indirizzare il proprio consenso è sempre un grande enigma. Quattro anni fa, ad esempio, furono in 35 milioni a recarsi alle urne e il 54 per cento dei loro voti andò a Obama. E oggi è ancora l’incertezza a regnare. Secondo il recente sondaggio America values survey realizzato dal Public religion research institute, infatti, una leggera maggioranza di cattolici bianchi (54 per cento) dichiara di preferire Romney, mentre una netta maggioranza di ispanici (70 per cento) sostiene Obama. Tra i cattolici che vanno in chiesa una volta la settimana, sei su dieci dichiarano di votare per l’ex governatore del Massachusetts, mentre tra quelli che vanno in chiesa una volta al mese o anche meno, sei su dieci appoggiano Obama. Dati difficili da decifrare che sembrano suffragare la tesi esposta da uno degli autori del sondaggio, Robert P. Jones: “I dati confermano che non esiste il cosiddetto ‘voto cattolico’. Ci sono tante divisioni importanti tra i cattolici, compresa una divisione importante tra cattolici per la ‘giustizia sociale’ e quelli per il ‘diritto alla vita’”.

    Che ci siano divisioni fra l’elettorato cattolico è fuori di dubbio. Ma il punto è un altro: per i cattolici conta di più la difesa della vita che Romney promette di non disattendere oppure le aperture sociali già dimostrate da Obama? I vescovi è da tempo che hanno fatto la loro scelta. E non è poi così vero, come sono stati più volte accusati dalle migliaia di suore americane che a suo tempo appoggiarono la riforma dell’attuale Amministrazione, che non hanno dietro un popolo. L’asse anti Obama nasce dall’alto, è vero, dai vescovi spinti dal Vaticano e dal gruppo che anche oltre il Tevere vanta un certo potere: i Cavalieri di Colombo di Carl Anderson. Sono loro a premere oltre Tevere perché dal Papa in giù sia chiaro che certi valori non possono essere traditi in cabina elettorale. “E’ importante che i cattolici quando votano si accertino di non sostenere mali intrinseci come l’aborto, che è male in tutte le circostanze”, ha non a caso detto recentemente l’arcivescovo di Philadelphia Charles Chaput. Ma esiste un popolo che si riconosce nelle gerarchie e i Cavalieri di Colombo, coi loro milione e ottocentomila seguaci – una rete poderosa che lo scorso anno ha raccolto offerte per opere di carità stimabili in circa 158 milioni di dollari – non ne sono che una parte. Anche perché come spiega, citato da Avvenire, Mark Gray del Centro per la ricerca applicata sull’Apostolato della cattolica Georgetown University, “l’identificazione in massa dei cattolici con il partito dell’asinello si è verificata per l’ultima volta con l’elezione di John Kennedy ma non più dagli anni Sessanta”.

    Già, eppure sono in diversi che firmerebbero nero su bianco il bruciante commento che la presidente della Leadership Conference of Women Religious (Lcwr), suor Pat Farrell, ha fatto dopo che il Vaticano ha annunciato la volontà di commissariarle sostanzialmente a seguito del loro esplicito appoggio all’Obamacare: “Sostenere la vita, tutta la vita” ha detto “significa occuparsi anche di coloro che stanno ai margini della società: i disprezzati, i malati mentali cronici, gli anziani, i carcerati, quanti sono nel braccio della morte. Noi abbiamo alzato la voce nei confronti della pena di morte, della guerra, di chi soffre la fame anche qui. La chiesa parla a favore del feto, certo, ma tace su altrettante questioni vitali, ed è una distorsione”. Una posizione fatta propria anche dai gesuiti della rivista newyorchese America che hanno scritto più volte che “difendere la vita è una questione assai più ampia delle campagne contro l’aborto o l’eutanasia”.
    Poco tempo fa la Conferenza episcopale del paese ha pubblicato un duro documento, intitolato “Our first, most cherished liberty” (La prima e più cara delle libertà), firmato da monsignor William E. Lori, arcivescovo di Baltimora e presidente del Comitato per la libertà religiosa, in cui i cattolici e gli americani vengono invitati a “stare in guardia, perché la libertà religiosa è sotto attacco, sia in patria sia all’estero”. Come esempio di questo attacco, i vescovi citano la politica nei confronti di contraccezione e aborto di Obama. Il Pew Research Center, istituto di ricerca di Washington, ha provato a misurare il “gradimento” della Conferenza episcopale e di Obama proprio in base all’idea che la libertà di religione sia sotto attacco negli Usa. Le risposte dicono che non sono pochi coloro che la pensano come le suore. Alla domanda: “Quale dei due candidati riflette meglio le vostre idee sui problemi sociali, incluse questioni come aborto, diritti dei gay…?”. Il 51 per cento dei cattolici ha risposto Obama, il 36 per cento  Romney e il 14 per cento né l’uno né l’altro.