Presenze invisibili ma ingombranti al tavolo delle parti sociali

Alberto Brambilla

C’erano due presenze invisibili e diversamente ingombranti ieri sera alla foresteria di Confindustria, dove i rappresentanti di sindacati e imprese hanno tenuto il secondo tavolo per la produttività. La prima è quella del governo che vuole convincere le parti sociali a trovare un’intesa comune verso la contrattazione aziendale con la proposta, decisa alla vigilia del tavolo, di fornire 1,6 miliardi per detassare il salario di produttività.

    Roma. C’erano due presenze invisibili e diversamente ingombranti ieri sera alla foresteria di Confindustria, dove i rappresentanti di sindacati e imprese hanno tenuto il secondo tavolo per la produttività. La prima è quella del governo che vuole convincere le parti sociali a trovare un’intesa comune verso la contrattazione aziendale con la proposta, decisa alla vigilia del tavolo, di fornire 1,6 miliardi per detassare il salario di produttività. Soldi, dice un funzionario del governo, reperibili dalla spending review e dal recupero dell’evasione fiscale. La seconda presenza “spiritica” è sopra le spalle di Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria: sono gli imprenditori di Piccole e medie imprese (Pmi) che fuori dall’Associazione chiedono sgravi fiscali per chi ha fatto della manifattura la sua professione. E si stupiscono che Squinzi abbia denunciato solo ora che le tasse stanno soffocando le imprese; la pressione fiscale per le Pmi, la stragrande maggioranza delle aziende italiane, è al 60-70 per cento.
    Per quanto si apprende dal sindacato Uil, poche ore prima dell’appuntamento, ancora in corso quando questo giornale va in stampa, sigle sindacali (Cgil, Cisl, Uil) e parti datoriali (Abi, Confindustria, Confcommercio, Ania, Rete imprese e cooperative) convergeranno per chiedere al governo che la detassazione del salario di produttività diventi uno strumento strutturale e che non venga dunque deciso di anno in anno per dare ai contratti aziendali la stessa certezza di quelli nazionali, che vengono rinegoziati ogni tre anni. Tranquillizzerebbe sia gli imprenditori, che devono predisporre i bilanci, sia i lavoratori.

    Se fossero al tavolo, le piccole aziende darebbero un contributo. In Francia l’hanno fatto. Si sono soprannominati “Piccioni” i 60 mila imprenditori che sono stati ricevuti al ministero dell’Economia, scavalcando la Confindustria francese, per modificare la legge finanziaria del governo Hollande. Organizzati sui social network, senza un leader, hanno creato un movimento. In Italia esistono? Sì, ma faticano a farsi sentire un po’ per il difetto nazionale per cui ciascuno agisce in solitaria non riuscendo, come accade per le imprese, a “fare sistema”. E un po’ perché sono costretti a volare basso per la presenza di Confindustria che, in alcuni casi, sembra appropriarsi delle loro idee e difende il suo monopolio. Uno snobismo del lobbismo, evidenzia la critica che ne fa al Foglio Luca Peotta, fondatore del movimento “Imprese che resistono” (Icr), 4 mila iscritti, quando racconta che i confindustriali hanno respinto l’idea di partecipare alla manifestazione torinese di Icr del 24 ottobre. Peotta è presidente della siderurgica Unireforn. Spiega che da quattro anni Icr chiede di tagliare l’Irap e vorrebbe una detassazione ad hoc per le Pmi (anche identificando le più virtuose), ma non è stato ricevuto dal governo, e aggiunge: “Dobbiamo capire che prima o poi il disastro toccherà tutti, i francesi hanno fatto squadra con successo”, dice con un misto di invidia e scoramento. Potrebbe trovare un alleato in Gabriele Centazzo, fondatore di Valcucine, che a settembre ha comprato tre pagine su Corriere della Sera per demolire il “carrozzone” confindustriale e proporre un Rinascimento economico italiano. Dice al Foglio: “Ho ricevuto centinaia di e-mail di sostegno da imprenditori che vorrebbero un leader, forse non è il mio caso”. Poi riflette: “Però qualcosa dobbiamo fare”. Comincerà con dei video su YouTube.

    • Alberto Brambilla
    • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.