“No alla damnatio memoriae sulle crociate”. Parla lo storico Tyerman

Giulio Meotti

Per i crociati sembra non valere neppure il detto “de mortuis nihil nisi bonum”. Non è un caso che la magnifica trilogia di Sir Steven Runciman, la bibbia della storiografia crociata adottata dalle università di mezzo mondo, sia stata pubblicata negli anni della decolonizzazione del medio oriente. Fu allora che il senso di colpa divenne un ottimo combustibile anche nella scrittura sulle crociate. Da allora una letteratura ostile a tutta quell’epopea storica si radicò nell’immaginazione occidentale.

    Roma. Per i crociati sembra non valere neppure il detto “de mortuis nihil nisi bonum”. Non è un caso che la magnifica trilogia di Sir Steven Runciman, la bibbia della storiografia crociata adottata dalle università di mezzo mondo, sia stata pubblicata negli anni della decolonizzazione del medio oriente. Fu allora che il senso di colpa divenne un ottimo combustibile anche nella scrittura sulle crociate. Da allora una letteratura ostile a tutta quell’epopea storica si radicò nell’immaginazione occidentale. Riccardo Cuor di Leone, Tasso, i romanzi di Walter Scott e i drammi di Paul Claudel sono stati ridotti al rango di pizzi elisabettiani. Ma adesso arriva uno storico di Oxford, il medievista Christopher Tyerman, che in Italia esce per le edizioni Einaudi con “Le guerre di Dio”.

    Il libro è frutto del meglio della storiografia anglosassone: potenza stilistica e sintesi paziente delle fonti storiche. “Ogni tipo di storiografia è ‘postmoderna’ per definizione, costruita dagli osservatori anziché sulla realtà”, dice Tyerman al Foglio. “Tuttavia, sulle crociate ci sono stati quasi soltanto stereotipi come il binomio arabi civilizzati contro cristiani barbari. C’è stata una damnatio memoriae. I protestanti del XVI secolo condannarono le crociate come un esempio della corruzione della fede cattolica, gli illuministi le videro come esempio di ignoranza e di superstizione, mentre i materialisti del XIX secolo hanno visto le crociate come una forma di imperialismo occidentale ante litteram. Con questo studio ho voluto combattere i molti miti e pregiudizi”. Il mito prevalente, dice Tyerman, è che “le crociate fossero un assalto barbarico su un islam pacifico, superiore e sofisticato, una forza benigna rovinata da questi maligni di occidentali. E’ un non senso. Le guerre della croce sono divenute un cattivo odore persistente in una dimora di lusso appena restaurata”. In questo le crociate sono state svilite “come un fenomeno puramente distruttivo”, frutto di un modo di pensare post illuministico secondo Tyerman, che deriva “dall’incomprensione che ha fatto seguito all’illuminismo sul ruolo pubblico della religione”.

    Dietro alle crociate c’era “una visione idealizzata della chiesa, l’idea che la corruzione avesse consentito la conquista dei luoghi cristiani da parte dell’islam, la riconquista delle terre perse in Spagna, Sicilia e mediterraneo orientale e il rinnovamento attraverso la grazia”. Le crociate non furono “un’eccentrica barbarie”, dice lo storico, ma “un momento rivelativo per la fiducia della civiltà occidentale”. Tyerman non vuole certo esaltarle, ma riportarle al loro contesto originario. “E’ necessario tornare a valorizzare la dimensione religiosa e spirituale delle crociate senza appiattirle sul fenomeno puramente materiale”. Che significa? “Non c’era ragione strategica per i cavalieri occidentali di andare nelle colline della Giudea, erano là per ragioni ideologiche e religiose. Degli aristocratici un terzo morì in battaglia, altri dicono fino al settanta per cento. Il loro profitto, almeno così lo vedevano, erano l’indulgenza spirituale e la prospettiva del paradiso, non la terra. Se pensiamo alle crociate di Gerusalemme e a quelle sul Baltico, i principi non avevano alcun interesse economico per lanciarsi alla conquista di quelle terre, reclutare truppe, fondi e armi. Se volevano delle terre, i principi non avevano che da scegliere fra quelle vicine alla propria città. Molti dei finanziatori delle crociate persero intere fortune in guerra”. Non solo, ma secondo lo storico “le crociate, lungi dall’essere un anacronismo, furono uno stimolo all’epoca europea della scoperta”.
    Tyerman biasima dunque questo “multiculturalismo storiografico” che ha alimentato un senso di colpa. “E l’enfasi sulla colpa ha spinto i cristiani a un atteggiamento remissivo sul proprio passato, quando ci troviamo di fronte a un ideale che fu capace di ispirare sacrifici di portata e intensità a volte quasi inimmaginabili”.

    • Giulio Meotti
    • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.