Il padre dell'atomica d'Israele

“L'Iran potrebbe fare un test nucleare anche oggi”

Giulio Meotti

“L’Iran è uno stato già nuclearizzato, anche senza aver preso la decisione di assemblare la bomba”, dice al Foglio in questo colloquio esclusivo lo scienziato nucleare Uzi Even. Il professore custodisce uno dei segreti più noti d’Israele: la bomba atomica di Dimona. Pioniere della chimica israeliana, Even è uno dei padri del Kirya-le-Mehekar Gariny, la fortezza di palme e sabbia nel deserto del Negev dove Gerusalemme ha realizzato il suo programma atomico.

     “L’Iran è uno stato già nuclearizzato, anche senza aver preso la decisione di assemblare la bomba”, dice al Foglio in questo colloquio esclusivo lo scienziato nucleare Uzi Even. Il professore custodisce uno dei segreti più noti d’Israele: la bomba atomica di Dimona. Pioniere della chimica israeliana, Even è uno dei padri del Kirya-le-Mehekar Gariny, la fortezza di palme e sabbia nel deserto del Negev dove Gerusalemme ha realizzato il suo programma atomico. E’ lì che lo scienziato, che per ragioni di segretezza non può parlare di Dimona, ha lavorato alla difesa dello stato ebraico (“sapevamo di dover fare qualcosa per prevenire un nuovo Olocausto”) dal 1962 al 1968, al culmine del processo nucleare. E proprio Dimona l’Iran sarebbe riuscito a fotografare con lo speciale drone abbattuto da Israele nei giorni scorsi.  Primo omosessuale dichiarato eletto alla Knesset nel partito Meretz, Even ha alle spalle una storia di successo nel predire la nuclearizzazione dei paesi in via di sviluppo. Nel 1969 il nostro interlocutore annunciò che l’India era pronta a eseguire un test atomico – sbagliò di tre settimane.

    Even fu poi decisivo nello stabilire l’avanzamento del programma nucleare di Saddam Hussein, colpito da Israele nel 1981. Sorta di “Oppenheimer israeliano”, lo scienziato israeliano ha sostenuto il bombardamento del reattore siriano di Dir a-Zur: “Andava distrutto e sono lieto che ciò sia avvenuto”. Oggi lo scienziato ha gli occhi puntati sull’Iran. E la sua affermazione a Times of Israel secondo cui gli ayatollah hanno completato il ciclo atomico lascia allibiti non pochi osservatori. Even crede che il regime iraniano abbia già creato i 20-25 chilogrammi di uranio necessari per un test militare. In altre parole, “l’Iran è già uno stato nucleare”, un cosiddetto “nuclear threshold state”, un paese capace di costruire un ordigno in ogni momento. A confermare le stime del nostro interlocutore c’è un rapporto del maggiore centro studi americano sul nucleare, l’Isis di Washington: “L’Iran è a due-quattro mesi da un ordigno”. I numeri di Even sono tanto più importanti perché lo scienziato è contrario a uno strike di Israele da solo contro l’Iran.

    Lo stadio critico
    La decisione è ora nelle mani dell’ayatollah Khamenei, ma Even non ha dubbi: “Non c’è altra ragione per arricchire tanto uranio se non per costruire un arsenale atomico. Gli iraniani potrebbero far esplodere una testata atomica sotto terra anche oggi”. Il problema del programma iraniano, dice lo scienziato di Gerusalemme, è la terza fase, a cui Teheran è prossima. “Il primo stadio di arricchimento al tre per cento da quello naturale dello 0,7 richiede migliaia di centrifughe”, ci dice Even. “Gli iraniani l’hanno già realizzato in cinque anni a Natanz. Il secondo stadio al venti per cento richiede duemila centrifughe, un quinto di quelle usate nel primo stadio. E’ stato realizzato negli ultimi due anni a Fordo, vicino a Qom. Il terzo stadio, dal venti al 90 per cento, richiede ancora meno centrifughe, appena 500 unità e può essere nascosto in strutture sotto terra, impossibili da individuare con i satelliti e realizzabili ovunque sul territorio iraniano”. Secondo Even però l’Iran non è ancora in grado di produrre missili di lunga gittata in grado di montare una bomba atomica, perché “troppo pesante”. Il problema per gli iraniani è infatti l’uso dell’uranio anziché il plutonio, “cinque volte più pesante per una testata”. Presto però potrebbero arrivarci, visti gli immensi progressi in campo militare e le misteriose esplosioni nel sito di Parchin.

    Citando i casi di Corea del nord, Pakistan, Cina e India, Even non crede nella capacità israeliana o americana di individuare un punto di rottura nel programma iraniano: “Lo ‘stadio critico’ possono realizzarlo nel sottosuolo, in un luogo non più grande di un magazzino e nessuno verrebbe a saperlo. Gli iraniani hanno la motivazione, la conoscenza e penso che abbiamo perso la possibilità di fermarli per un test”. Per ribadire il concetto, Even dice: “It’s too late”, “la porta è stata aperta ed è troppo tardi per chiuderla”. Intanto, però, in un articolo su Foreign Policy, David Rothkopf, analista di questioni internazionali e già sottosegretario dell’Amministrazione Clinton, rivela che Stati Uniti e Israele starebbero coordinando un “attacco chirurgico” in Iran, della verosimile durata di poche ore, in cui gli impianti nucleari verrebbero colpiti da bombardieri e droni.

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    • Giulio Meotti
    • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.