Appello a Michele Serra

Giuliano Ferrara

Vale la pena di leggerla, l’Amaca di Michele Serra. Perché è ben scritta, spesso gli argomenti polemici sembrano obbligati, lineari, e sono espressivi di un mondo che esiste, con i suoi buoni sentimenti e le sue ansie e rabbie, e non sarebbe sensato negarlo. E’ il perfetto contrappunto della nostra sedia a dondolo dalla quale spencolandosi stordito l’autore della Versione di Andrea sputazza mozziconi di sigaro, memorie invalidate dalla corrosione neurologica delle facoltà e dal consumo dell’alcol, amarezze e buffonerie di genio e di suprema poesia corsivistica.

    Vale la pena di leggerla, l’Amaca di Michele Serra. Perché è ben scritta, spesso gli argomenti polemici sembrano obbligati, lineari, e sono espressivi di un mondo che esiste, con i suoi buoni sentimenti e le sue ansie e rabbie, e non sarebbe sensato negarlo. E’ il perfetto contrappunto della nostra sedia a dondolo dalla quale spencolandosi stordito l’autore della Versione di Andrea sputazza mozziconi di sigaro, memorie invalidate dalla corrosione neurologica delle facoltà e dal consumo dell’alcol, amarezze e buffonerie di genio e di suprema poesia corsivistica. Due antropologie letterarie, come si dice. Ma negli ultimi tempi, tempi duri, tempi che si dovrebbe poter attraversare in sonno, Serra stupisce. Stupisce come l’arresto sommario, a furor di popolo, di un povero ladro di provincia che merita dieci processi e una ordinaria retribuzione penale ma non una sola gogna. Come la lapidazione dei festaioli da parte di gente che non si domanda mai se avrebbe risposto di sì oppure no a un cortese invito. Come il tribunismo demagogico corrotto che porta i talk show a eccitarsi ossessivamente, ogni sera, contro i bagni in Sardegna di un amministratore lombardo in nome addirittura delle sofferenze sociali dei disoccupati e dei cassintegrati, senza mai domandarsi come sia gestita la Regione di cui l’amministratore è presidente. Insomma, immondizia che brilla di luce umanitaria e di solidarietà sociale a sfondo forcaiolo, la solita storia. E’ certo che se la star polemistica di Repubblica avesse mai la bontà di rileggersi stupirebbe prima di tutto sé stesso. E questo è il nostro appello: si rilegga. E vedrà che gli può accadere, tradendo la sua bella buona fede, di trattare malamente il mondo sul quale Dio fa piovere indistintamente tra i buoni e i cattivi.

    Un corsivo recente già ci aveva stupito. Il Serra scriveva che gli islamisti devono piantarla di odiare tribalmente gli occidentali, perché tra gli occidentali ci sono islamofobi e islamofili, gente che respinge e gente che accoglie, e ciascuno deve rispondere individualmente del suo comportamento. Se ne concludeva agevolmente: colpite altrove, lasciatemi in pace, prendetevela a modo vostro con le vignette o i filmetti che offendono la vostra idea del divino e della sharia, e non disturbate noi gran signori del multiculturalismo che vi aspettiamo tranquilli, in pantofole, nel cuore della civiltà europea. Ieri poi il massimo. Lele Mora e altri peccatori di Berlusconia devono rieducarsi come succedeva nei campi della Rivoluzione culturale, con il lavoro manuale, il santificante sudore della fronte che riscatta la loro virtualità e immoralità con un bagno di realtà. Un bagno penale per un povero disgraziato che magari ha vissuto male, che forse è nato per dispiacere i beautiful people per via dei suoi casting televisivi, ma che qui si preferirebbe giudicato secondo canoni di morale laica e di stato di diritto. Non con le sulfuree idee di Chiang Ching e di Lin Piao.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.