Le ragioni della “svolta” anti fiscalista di Confindustria

Alberto Brambilla

Il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, ha deciso di sfidare il governo sul suo stesso campo, quello dei tagli e del rigore? Per alcuni osservatori lo scambio proposto da Squinzi all'esecutivo – “meno incentivi alle imprese per meno tasse” – è rivoluzionario, una sfida all'austerity contabile che rischia di far avvitare l'economia italiana.

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    Roma. Il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, ha deciso di sfidare il governo sul suo stesso campo, quello dei tagli e del rigore? Per alcuni osservatori lo scambio proposto da Squinzi all’esecutivo – “meno incentivi alle imprese per meno tasse” – è rivoluzionario, una sfida all’austerity contabile che rischia di far avvitare l’economia italiana. Per i suoi critici, anche dentro Confindustria, si tratta soltanto di un riposizionamento tattico per blandire la base sofferente degli industriali. Rinunciare agli incentivi statali per trasferire i risparmi che ne derivano nella riduzione delle tasse: non è la prima volta che Squinzi parla in questi termini, in passato l’ha già fatto almeno quattro volte – ci tengono a ricordare dal suo entourage –, ma resta il fatto che è soltanto dal palco degli stati generali della Lega, l’evento della rifondazione leghista trainata da Roberto Maroni, sabato scorso al Lingotto di Torino, che i cronisti ne hanno registrato il potenziale politico e mediatico. “Stiamo morendo di tasse”, è il messaggio arrivato forte e chiaro. Il discrimine, rispetto ad annunci di altri leader confindustriali del passato, sta nel sostegno dei numeri e dei dati che Squinzi può rivendicare a suo favore.

    Dopo gli iniziali dissapori con l’esecutivo, che nel colloquio con le parti sociali ha fatto capire di non essere disposto a scucire risorse a fondo perduto per le imprese, il patron della Mapei sembra aver cambiato strategia. Il suo ragionamento ruota infatti intorno al rapporto Giavazzi, uno dei documenti principali che dal luglio scorso il governo Monti si propone di utilizzare come base per una riforma della spesa pubblica e della tassazione. “Secondo il rapporto Giavazzi, su trenta miliardi di incentivi ne arrivano solo tre alle imprese private”, ha dichiarato Squinzi in un’intervista al Messaggero, “e intanto stiamo morendo di tasse”. “L’incidenza della pressione fiscale sulle imprese è del 57 per cento se si sottrae il pil sommerso”. “Io dico”, aggiunge Squinzi, “toglieteci qualunque incentivo ma tagliate anche le tasse e fateci competere come sappiamo sul mercato globale”. Secondo Francesco Giavazzi, professore dell’Università Bocconi, azzerando gli incentivi si recupererebbero almeno 10 miliardi per ridurre il cuneo fiscale e aumentare così la retribuzione dei lavoratori. Una priorità, questa, evidenziata ieri anche dal Fondo monetario internazionale. Squinzi rinuncerebbe anche ai 3 miliardi che – secondo le stime confindustriali – le aziende ricevono dallo stato, e che vengono devoluti per 370 milioni alla ricerca e sviluppo, pur di ottenere una graduale riduzione dell’Irap, l’imposta regionale sulle attività produttive. Il pensiero di Squinzi è però quello di tagliare l’ammontare totale degli incentivi a tutti i settori (30 miliardi di euro) a fronte di una riduzione dell’Irap che genera un gettito di 40 miliardi per le casse pubbliche. Altrimenti, dicono i critici, è facile rinunciare a soli tre miliardi con l’obiettivo di spingere lo stato a fare a meno della principale fonte di introiti per il settore sanitario, qual è l’Irap.

    Per Lodovico Festa, editorialista del Giornale, l’idea di Squinzi è da considerarsi una svolta a tutto campo: “Una proposta insieme sacrosanta e coraggiosa”. Sacrosanta perché punta a “ridare fiato agli investimenti produttivi partendo dal luogo dove questi si determinano: cioè l’impresa”. Coraggiosa perché “incidendo su risorse già distribuite – e tra l’altro terreno di nuove promesse da parte di Corrado Passera – apre qualche contraddizione nella propria base”. Gli incentivi vengono, infatti, programmati su base quinquennale in accordo con le banche. Una brusca e rapida interruzione delle linee di credito avrebbe di conseguenza effetti critici per le imprese che su questi fanno affidamento. La critica più netta arriva da alcuni tra coloro che si erano riconosciuti nell’ala di riferimento di Alberto Bombassei, concorrente di Squinzi per la presidenza di Confindustria. E’ una linea ancora tutta “difensiva” quella scelta da Squinzi – dicono – perché non fornirebbe alcuna proposta innovativa e concreta su come ridurre effettivamente l’Irap. Gli si riconosce la coerenza dimostrata nel tenere alta l’attenzione sulla riforma del lavoro del ministro Elsa Fornero: “Va rivista entro due mesi”, ha detto ieri Squinzi rispondendo al ministro. Ma l’idea di non prendere incentivi per ridurre le tasse è vista per ora soprattutto come una “captatio benevolentiae” nei confronti della base degli imprenditori.

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    • Alberto Brambilla
    • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.