L'arresto del regista “blasfemo” inquieta i sostenitori del Primo emendamento

Giulio Meotti

Chi avrebbe mai detto tre settimane fa, di fronte alle immagini dell’ambasciatore americano Chris Stevens ucciso a Bengasi, che i sostenitori del Primo emendamento avrebbero di lì a poco adottato come motto “I am Nakoula”? E’ il nome del produttore del controverso film su Maometto “The innocence of Muslims”. Ma in un paese come gli Stati Uniti, dove anche i neonazisti e gli islamisti sono protetti dalla Costituzione nell’esercizio della libertà di parola, ha scatenato non poche polemiche l’arresto di Nakoula Basseley Nakoula, il cristiano copto che ha prodotto il celebre video.

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    Roma. Chi avrebbe mai detto tre settimane fa, di fronte alle immagini dell’ambasciatore americano Chris Stevens ucciso a Bengasi, che i sostenitori del Primo emendamento avrebbero di lì a poco adottato come motto “I am Nakoula”? E’ il nome del produttore del controverso film su Maometto “The innocence of Muslims”. Ma in un paese come gli Stati Uniti, dove anche i neonazisti e gli islamisti sono protetti dalla Costituzione nell’esercizio della libertà di parola, ha scatenato non poche polemiche l’arresto di Nakoula Basseley Nakoula, il cristiano copto che ha prodotto il celebre video. Due giorni fa sono scattate le manette per l’autore del filmato, personaggio dal passato non proprio encomiabile e avvolto dal mistero (di lui si ha solo una fotografia mentre viene arrestato, a volto coperto). Il motivo formale della detenzione è legato alla condanna a due anni di carcere che Nakoula subì nel 2010 per frodi bancarie. Ma come ha scritto una nota penna della blogosfera conservatrice, Daniel Greenfield, “se il suo crimine ufficiale è aver violato la condizionale, il suo crimine ufficioso è aver girato un film”.

    Ieri il Wall Street Journal ha difeso Nakoula dall’arresto, con un editoriale eloquente fin dal titolo: “Attacco al Primo emendamento”. Il celebre quotidiano americano scrive che, nel suo intervento all’Onu, il presidente Barack Obama, oltre a difendere la libertà di espressione come valore statunitense ha condannato “il disgustoso video”. Quarantott’ore dopo, la polizia in California arresta l’autore del filmato e un giudice ordina che resti in carcere senza possibilità di cauzione. “La decisione di incriminarlo è stata una richiesta discrezionale del governo”, attacca il Wall Street Journal, che critica anche la richiesta dell’Amministrazione Obama a YouTube di rimuovere il video dal suo portale (YouTube si è rifiutata di farlo con questa motivazione: “Il video rientra nelle nostre linee guida e quindi resterà”). “Il Primo emendamento protegge anche la parola che causa i mal di testa alla Casa Bianca”, conclude il quotidiano di Wall Street.

    Numerosi giuristi si stanno esprimendo contro l’arresto. Lawrence Rosenthal, costituzionalista della Chapman University, interpellato dall’Associated Press dice che “è molto inusuale per un giudice ordinare l’immediata detenzione per un crimine non violento”. Roger Kimball, editor di libri e corsivista di National Review, dice che “la fotografia di Nakoula in manette dovrebbe costare la rielezione a Obama”. Forse con un po’ troppa enfasi, il celebre attivista antislamista Robert Spencer scrive che Nakoula è “un prigioniero politico”. Roger Simon, direttore di Pajames Media, attacca: “Hillary Clinton, deve arrestare anche me, sto pensando di fare un film su Maometto. Chiamate Eric Holder. E già che ci siete ditegli di accerchiare anche Salman Rushdie”. Ma non è soltanto la stampa conservatrice a criticare l’arresto del produttore.

    Salon, magazine della sinistra progressista, parla di “assaggio di tirannia”. “Quanti di voi, cari lettori, pensano che Nakoula sarebbe in carcere oggi se anziché un film che offende il profeta Maometto avesse fatto un film sulle Piramidi o sulla rielezione del presidente in carica?”, chiede il sito ultraliberal. A sorpresa, anche la maggiore associazione per i diritti civili, l’American Civil Liberties Union (Aclu), che era rimasta in silenzio sulla vicenda, getta dubbi sull’arresto. Il direttore esecutivo della Aclu, Ben Wizner, dice di essere “preoccupato” dal tentativo di “autocensura”. Fra le ragioni addotte all’arresto del produttore c’è il rischio di fuga. Dove, chiedono i detrattori? In Egitto?

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    • Giulio Meotti
    • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.