“Ma è il governo a decidere”

Perché militari e 007 israeliani sono sempre più ostili a Netanyahu

Giulio Meotti

La massima di Douglas Mac-Arthur secondo cui “i vecchi soldati non muoiono, semplicemente appassiscono” non vale per Israele. Negli oltre sessant’anni di vita dello stato ebraico centoventi generali sono divenuti ministri e almeno dieci capi di stato maggiore sono entrati in politica. In questo quadro le lotte fra la leadership civile e militare non sono nuove. Ma durante il mandato del premier Benjamin Netanyahu questo scontro ha raggiunto livelli senza precedenti.

    Roma. La massima di Douglas Mac-Arthur secondo cui “i vecchi soldati non muoiono, semplicemente appassiscono” non vale per Israele. Negli oltre sessant’anni di vita dello stato ebraico centoventi generali sono divenuti ministri e almeno dieci capi di stato maggiore sono entrati in politica. In questo quadro le lotte fra la leadership civile e militare non sono nuove. Ma durante il mandato del premier Benjamin Netanyahu questo scontro ha raggiunto livelli senza precedenti. Il primo ministro israeliano arriva domani a New York, dove parlerà all’Assemblea generale dell’Onu, in un inusuale clima di disistima nel rapporto tra Israele e l’Amministrazione Obama, che secondo Netanyahu anziché porre una “line rossa” a Teheran ha posto una “luce rossa” a Gerusalemme. Parlando all’Onu ieri il presidente americano ha ribadito che un Iran nucleare non può essere contenuto: è necessario impedire che Teheran si doti di armi atomiche. Il tempo della diplomazia non è illimitato, ma ogni azione deve rispettare la legge internazionale. Così le regole dettate da Washington si sommano alla dura opposizione dei vertici militari.

    A schierarsi contro Netanyahu mancava soltanto Amos Yadlin, l’ex capo dell’intelligence militare. “Netanyahu e Barak sono andati troppo oltre”, ha detto Yadlin. “Dicono che il tempo è quasi scaduto, io dico che ce n’è ancora. L’anno decisivo non è il 2012, ma il 2013”. La critica di Yadlin è pesante, visto che è l’uomo che ha bombardato il reattore di Saddam, che ha supervisionato l’attacco contro il reattore di Damasco e che fino al 2010 ha preso parte alla campagna clandestina contro i siti iraniani. “L’opinione di questi militari ha un ruolo molto importante in Israele”, ci dice Ron Ben Yishai, decano dei corrispondenti militari. “In Israele c’è sempre stata una disputa fra civili e militari”, ribadisce Ely Karmon, docente all’Institute for Counter-Terrorism di Herzliya. “A Camp David il primo ministro Menachem Begin fu tradito dal generale Dayan. Oggi il dissidio fra il governo e i militari non è se fermare l’Iran, è sul calendario. I militari ritengono che ci sia più tempo di quanto dica Netanyahu e che serva l’accordo con Washington”.

    A raccontare lo scontro fra il primo ministro Netanyahu e l’apparato di sicurezza israeliano è un libro di Patrick Tyler, ex inviato del New York Times e del Washington Post a Gerusalemme, “Fortress Israel”, pubblicato da Farrar, Straus and Giroux. In particolare il capitolo “Bibi contro l’élite militare” racconta le battaglie, gli odi e le rivalse che da anni intercorrono fra il premier e la Difesa. “Fin dall’inizio, Netanyahu è stato isolato più che mai e la fedeltà dell’esercito era per i laburisti”, scrive Tyler. Netanyahu, forse con un po’ troppa enfasi, è definito “avversario dell’establishment militare”. Tyler elenca i numerosi scontri fra Netanyahu e i generali.

    Si inizia nel 1996 con l’apertura da parte di Netanyahu di un tunnel sotto il Monte del Tempio, a Gerusalemme, che causò numerosi morti. Poi Netanyahu si inimica il Mossad, con la fallita operazione che doveva portare all’uccisione del capo di Hamas, Khaled Meshaal. Fu la caduta dell’onnipresente servizio segreto, che si fece scoprire mentre cercava di uccidere Meshaal. L’allora capo del Mossad, Dani Yatom, non era favorevole all’operazione, fortemente voluta da Netanyahu. Al servizio segreto non piaceva il luogo dove compierla (Amman, capitale di un paese arabo amico di Israele) né l’obiettivo (un capo politico, non un militare). “Netanyahu ha perso il rispetto dei capi militari”, scrive Tyler. Molti altri gli episodi, come la strage di un commando l’8 settembre 1997 per mano di Hezbollah e la decisione di Netanyahu di intavolare un dialogo segreto con la Siria tramite un amico americano, il filantropo ebreo Ronald Lauder. Nel marzo 1998 poi ottanta ex generali scrivono una lettera aperta a Netanyahu contro la politica degli insediamenti del Likud in Cisgiordania. “Più di ogni altra cosa, è stato l’establishment militare a rovesciare Netanyahu”, scrive Tyler.

    Non crede invece ai dissidi fra il primo ministro e i militari Naftali Bennett, l’ex testa di cuoio della Sayeret Matkal, l’unità di commando detta “la miracolosa” in Israele, nonché ex “delfino” di Netanyahu e per due anni suo chief of staff. “Anche nel 1981, quando Israele bombardò il reattore di Saddam Hussein, i militari e il Mossad erano contrari”, ci dice Bennett. “Oggi su Netanyahu si scagliano soprattutto gli ex militari e capi d’intelligence. Ma so per certo che l’establishment della Difesa ha grande rispetto per Netanyahu, perché durante i suoi esecutivi Israele ha conosciuto periodi di grande sicurezza e di deterrenza. L’Iran è il più pericoloso regime al mondo e nella democrazia israeliana funziona così: il governo decide, l’esercito esegue”.

    • Giulio Meotti
    • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.