Ora Marchionne è spregiativamente “apolide”

Giuliano Ferrara

La solita stupenda lettera scritta nella verità stilistica dell’Ottocento. Sottoscrivo dubbi, ricerca del fumus, ironie, attesa psicologica dell’evento prossimo ovvero la sabatina vocatio. Una sola glossa. Profitto privato, loisirs a parte, non è che la capacità di investimento da tutti esorcisticamente predicata (“mettetevi le mani in tasca!”, dice Della Valle; “basta conculcare diritti, ora investiamo, se necessario anche nel carbone!”, dice Bersani). Altrimenti la “privatizzazione dei profitti” è una tiritera moralistica. No profitti no party.

    Al direttore - Sui contenuti della pur “magnifica” intervista – come Ella la ha definita ridimensionando altre più forti aggettivazioni – di Sergio Marchionne con Ezio Mauro sospenderei il giudizio in attesa di conoscere che cosa si celi sotto la per ora criptica espressione dell’ad sull’insufficienza della sola sua opera per mantenere l’insediamento Fiat negli stabilimenti italiani, da cui ha fatto discendere la “vocatio” del governo in aiuto.
    Può essere che questa chiamata si riferisca all’ambiente esterno: l’amministrazione pubblica, la giustizia, la legalità e la sicurezza, le relazioni sindacali e una nuova e organica politica industriale. Se così fosse, nulla quaestio. Tutt’altra cosa sarebbe se si trattasse di sostegni specifici più o meno nobilitati con il nome ovvero di una riforma della riforma del mercato del lavoro. Allora saremmo, soprattutto per la prima ipotesi, alle solite: lo stato può essere interventista se deve pubblicizzare le perdite, rispettando tuttavia i profitti privati o, nel caso, consentendo almeno l’annullamento delle perdite. In questa evenienza, anche i liberisti puri e duri dimenticano la loro consueta citazione di Adam Smith per non dire di Milton Friedman. Poi dimenticano pure, a proposito delle vicende della grande impresa torinese e multinazionale al tempo stesso, che a salvarla nel 2002-2004 fu il prestito convertendo erogato dalle banche, anche su impulso della Banca d’Italia, con il risultato che si fece allora l’interesse della Fiat, delle stesse banche, che vi guadagnarono, e del paese.
    Non credo, tuttavia, che di una richiesta assistenzialistica si dovrebbe trattare, essendo essa, per di più, in contrasto con la normativa europea, a meno che non sia l’Unione stessa a darsi carico della crisi dell’auto con provvedimenti straordinari, da stato di eccezione. Comunque, attenderei almeno l’incontro di sabato prossimo con il governo per un giudizio definitivo. Con i più cordiali saluti.

    Angelo De Mattia

    La solita stupenda lettera scritta nella verità stilistica dell’Ottocento. Sottoscrivo dubbi, ricerca del fumus, ironie, attesa psicologica dell’evento prossimo ovvero la sabatina vocatio. Una sola glossa. Profitto privato, loisirs a parte, non è che la capacità di investimento da tutti esorcisticamente predicata (“mettetevi le mani in tasca!”, dice Della Valle; “basta conculcare diritti, ora investiamo, se necessario anche nel carbone!”, dice Bersani). Altrimenti la “privatizzazione dei profitti” è una tiritera moralistica. No profitti no party. Quanto alla “socializzazione delle perdite”, lì sì che va fatta la distinzione tra la protezione del lavoro nelle crisi (una socializzazione sacrosanta cui il pubblico è tenuto) e l’assistenzialismo che vizia e uccide le imprese.
    Ha visto, a proposito di Marchionne, che questa seconda via non ha praticato, come cambia nella sinistra ideologica il paradigma esorcistico del padrone? Una volta era il feroce Saladino torinese Valletta, un carceriere di operai comunisti nutrito alla scuola sabauda degli Agnelli, un uomo tutto territorio, aziendalismo provinciale, anziani Fiat. Uomo da dannare e poi, naturalmente, da buttare (ma non per gli operai comunisti vecchia guardia, che volevano collaborare con l’impresa ed emulare la sua dirigenza, rovesciare il rapporto di sfruttamento e non sconfiggere l’oppressione). Ora l’odio fresco per Sergio Marchionne porta un Marco Revelli sul Manifesto, e molti altri per ogni dove, a bollarlo perché è “apolide” (chiamo in causa il bastardo Lerner!); a sottostimarlo perché uomo di finanza che non sa come fare le macchine e sa solo fare i soldi, come se il problema non fosse, in regime capitalistico, investire soldi nelle macchine ma per fare i soldi con le macchine; fascisti originari come culturalmente sono, totalitari nell’animo, fanno dell’amministratore detestato, in segno di nostalgia per il mondo classista che fu, una caricatura da uomo del banco dei pegni. Che pena. Meglio CasaPound.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.