L'Aia sorride ai falchi d'Europa

David Carretta

Dovevano essere le elezioni della disfatta dell’Europa e della sua gestione della crisi, una ripetizione del referendum del 2005 nel quale il 61,54 per cento degli olandesi aveva detto “no” al progetto di trattato costituzionale europeo. Il voto del 12 settembre era stato annunciato come precursore di quel che avrebbe subito il resto di un continente incapace di uscire dalla crisi della zona euro: un’ondata di populismo di destra e di sinistra, contrario all’austerità in patria e alla solidarietà all’estero. E invece, “a Bruxelles stanno festeggiando”, come ha detto Geert Wilders.

    Bruxelles. Dovevano essere le elezioni della disfatta dell’Europa e della sua gestione della crisi, una ripetizione del referendum del 2005 nel quale il 61,54 per cento degli olandesi aveva detto “no” al progetto di trattato costituzionale europeo. Il voto del 12 settembre era stato annunciato come precursore di quel che avrebbe subito il resto di un continente incapace di uscire dalla crisi della zona euro: un’ondata di populismo di destra e di sinistra, contrario all’austerità in patria e alla solidarietà all’estero. E invece, “a Bruxelles stanno festeggiando”, come ha detto Geert Wilders.

    I risultati del 12 settembre hanno sorpreso tutti perché – a prima vista – sembrano segnare il ritorno dell’Olanda alla normalità politica e al consesso europeista. Il partito del premier uscente, il liberale di destra Mark Rutte, si è imposto con il 26,6 per cento dei voti. I laburisti di Diederik Samsom hanno realizzato un grande recupero, ottenendo il 24,8 per cento. Il Partito socialista ha preso gli stessi voti di sempre (9 per cento). Wilders, responsabile della caduta del governo Rutte in primavera, ha perso il 5 per cento e 10 parlamentari. Con 41 e 39 seggi ciascuno, in un Parlamento di 150 membri, i liberali e i laburisti sono in grado di formare un governo stabile e duraturo, anche se di grande coalizione. Resiste anche l’ipotesi di imbarcare i cristiano-democratici della Cda o i liberali di sinistra dei D66, per consolidare la maggioranza al Senato. In ogni caso, sono tutti partiti che non intendono mettere in discussione l’impegno europeista dell’Olanda. In caso di probabile riconferma, Rutte sarà il primo leader della vecchia Europa a non essere stato cacciato dalla crisi.

    Non è però detto che la partnership tra Rutte e Samsom sarà facile. Rutte ha escluso la possibilità di fare concessioni alla Grecia, mentre Samson vuole dare più tempo ad Atene per realizzare il suo programma di risanamento. Quanto alla situazione dei conti dell’Olanda – la Commissione minaccia una multa per i ritardi nel riportare il deficit sotto il 3 per cento – il leader liberale insiste che “la politica dell’austerità deve proseguire”, mentre quello laburista dice che “le politiche di destra degli ultimi due anni non possono continuare”. Ma chi crede che l’Olanda possa abbandonare la coalizione dei falchi capitanata dalla Germania, approdando nel campo delle colombe che vogliono più generosità nella gestione della crisi della zona euro, si sbaglia. Rutte “ha una posizione dura e il partito laburista l’ha sempre sostenuta”, ha avvertito martedì il ministro delle Finanze uscente, il cristiano-democratico Jan Kees de Jager: “Ci sono buone chance che il nuovo governo continui su quella linea”.