I perché della strategia flemmatica di Palazzo Chigi su Fiat

Alberto Brambilla

Ieri alla fine è stato il presidente del Consiglio, Mario Monti, a chiamare l’amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne. E un governo che secondo i critici sembrava assopito ha avuto un sussulto. Si sono accordati per un incontro a Palazzo Chigi nel pomeriggio di sabato, al quale parteciperanno anche il presidente di Fiat, John Elkann, il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, e quello dello Sviluppo, Corrado Passera, di ritorno da una missione istituzionale in Brasile. Obiettivo del vertice: discutere “il quadro informativo sulle prospettive strategiche” del Gruppo in Italia.

    Roma. Ieri alla fine è stato il presidente del Consiglio, Mario Monti, a chiamare l’amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne. E un governo che secondo i critici sembrava assopito ha avuto un sussulto. Si sono accordati per un incontro a Palazzo Chigi nel pomeriggio di sabato, al quale parteciperanno anche il presidente di Fiat, John Elkann, il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, e quello dello Sviluppo, Corrado Passera, di ritorno da una missione istituzionale in Brasile. Obiettivo del vertice: discutere “il quadro informativo sulle prospettive strategiche” del Gruppo in Italia. Finora Fornero si era limitata ad attendere una telefonata, Passera a chiedere chiarimenti a mezzo stampa al manager. Una calcolata inazione, a prescindere dal clima mediatico, è sembrata appunto la politica governativa preferita per fare fronte all’intenzione del Lingotto di frenare i piani di investimento in Italia che originariamente dovevano ammontare a 20 miliardi di euro. Una decisione, quella di non interferire, che non ha precedenti per gli standard italiani. Marchionne, intervistato ieri da Repubblica, di ritorno in Italia, ha chiarito che in effetti non ci sarà una iniezione di capitali freschi e non ha accennato a tagli della forza lavoro, ribadendo l’impegno a restare nel paese. “Investire in un mercato tramortito dalla crisi”, ha detto però Marchionne, “sarebbe micidiale”. Un discorso giudicato nel complesso “molto interessante”, ma senza spiegare perché, da Fornero.

    La linea di Monti, però, è stata chiara fino dal marzo scorso, quando il premier disse che “Fiat è una multinazionale e ha il diritto-dovere di investire dove crede”, e questo è rimasto il mantra che echeggia tuttora al ministero dello Sviluppo, dove, tra un sospiro e l’altro, non si vede uno sbocco per una trattativa che Passera è deputato a condurre, ma per ora operando così sommessamente da far dimenticare l’interventismo di quando, appena assunto l’incarico, convocò un tavolo per gestire la cessione dello stabilimento siciliano Fiat di Termini Imerese. “E’ una strategia desolante dal punto di vista della politica industriale”, commenta una voce dissenziente nell’esecutivo: “La logica attuale è che non si debba intervenire perché è un’azienda privata”. Il ministro, impegnato su più tavoli di crisi, chiede comunque delucidazioni a Fiat dall’agosto scorso in occasione del Meeting ciellino di Rimini, quando già il mercato dell’auto dava segnali preoccupanti. Intanto, la Casa automobilistica non solo scivola dalle mani dei ministri, ma perde colpi anche nelle classifiche dei costruttori europei. Secondo i dati rilasciati ieri dall’Associazione dei costruttori europei dell’auto (Acea), il Gruppo Fiat in agosto è sceso dal sesto all’ottavo posto per vendite dietro a Bmw e Daimler, penalizzato dal calo delle vendite in Italia, a sigillo di un’estate da dimenticare da questa parte dell’Oceano (mentre negli Stati Uniti, Fiat-Chrysler cresce a doppia cifra).

    L’incontro dunque ci sarà. “Ma poi?”, s’è chiesto anche Marchionne. Sono pochi i possibili fronti d’intervento per il governo. Il primo è quello europeo, anche se Marchionne non deve avere dimenticato l’accordo Ue-Corea del sud che ha concesso l’ingresso di un concorrente asiatico sul segmento delle utilitarie, uno dei pochi appannaggio di Fiat. Il secondo è di “contesto” interno, lo stesso “contesto” sul quale Monti intende operare per convincere gli imprenditori a metterci del proprio e aumentare la produttività. Si parla in questo senso, cercando strade praticabili, di allungare la cassa integrazione finché la crisi non allenterà la presa (per Marchionne almeno fino al 2014). Pare lontana l’ipotesi incentivi, gli stessi che Fiat in passato ha usato non per migliorare la tecnologia (come Francia e Germania) ma per riassorbire l’invenduto. “Fu una questione tattica e anche allora non si è mai passati alla strategia”, dice al Foglio un funzionario del governo.

    • Alberto Brambilla
    • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.