Viale ci imputa vista corta su Marchionne, e noi replichiamo

Giuliano Ferrara

Marchionne si è messo in grado di pagare salari improduttivi, cercando di precostituire con una riforma delle relazioni sindacali le condizioni di una eventuale ripresa di mercato, invece che chiudere subito baracca e burattini. Ora, visto l’andamento delle vendite dell’auto, c’è qualche serio problema. I modelli? Quando a Torino c’era un movimento operaio degno del nome, lanciò la “vetturetta”. Ma era la Fiat di Valletta che doveva poi progettare, anche sulla base delle suggestioni di Egidio Sulotto. Non vedo vetturette, e disegni della Camusso.

    Al direttore - Il 18 giugno 2010, in risposta a un articolo del manifesto a mia firma che giudicava inattendibile il piano Fabbrica Italia e sosteneva di conseguenza l’urgenza di mettere in cantiere la riconversione ad altre produzioni di una parte almeno degli stabilimenti del gruppo Fiat per scongiurarne l’altrimenti inevitabile chiusura, il Foglio mi dedicò un’intera pagina (“Processo alla Fiat”), corredata dal pugno di Lotta continua per rimarcare la mia matrice culturale che non ho mai rinnegato. In quella pagina ben sette collaboratori di questo giornale si alternavano a tacciare di ideologismo le mie valutazioni e, con l’eccezione di due (Riccardo Ruggeri e Stefano Cingolani), ad accreditare la validità del piano Fabbrica Italia, pur esprimendo (con l’eccezione di Francesco Forte, che lo avallava senza tentennamenti) qualche perplessità sulle possibilità di una sua realizzazione integrale. Ora quel piano è stato ufficialmente dichiarato defunto, anzi, mai nato. Era solo fuffa, pagata a caro prezzo dagli operai della Fiat, costretti a un referendum che subordinava la sua realizzazione alla rinuncia a una parte sostanziale dei propri diritti; ma anche dal paese tutto, sprofondato dalla “cura Marchionne” in un nuovo Medioevo; e pagata con il ridicolo da chi come Renzi, Chiamparino o Fassino si era schierato con Marchionne “senza se e senza ma”. Nessuno, comunque, aveva dubitato delle intenzioni di Marchionne. Non mi aspetto dagli estensori di quella pagina le scuse per gli sfottò di cui era impregnata; ma un po’ di deontologia professionale dovrebbe indurli a chiedersi perché le mie (e non solo mie) valutazioni si siano dimostrate corrette e le loro completamente sbagliate. E, soprattutto, se il progetto di una riconversione degli stabilimenti è un’utopia, che cosa pensano di proporre alle decine di migliaia di lavoratori cancellati dall’azzeramento di quel piano?

    Guido Viale

    Le scuse? Ma è diventato pazzo? Sette meno due fa cinque, e se aggiungiamo la gradita e ricercata pubblicazione nel Foglio delle sue tesi sulla Fiat e sull’auto, sette meno tre fa quattro. Pluralismo. Il pugno di Lotta continua non ci faceva paura allora, figuriamoci se lo abbiamo ripubblicato per criminalizzare il suo passato, adesso. Ma via. Il titolo era “Processo alla Fiat”, non “Processo a Guido Viale”. E non dimentichi un particolare. La Fiat come fabbrica di auto è fallita da dieci o quindici anni e anche più. Lo abbiamo scritto. Marchionne si è messo in grado di pagare salari improduttivi, cercando di precostituire con una riforma delle relazioni sindacali le condizioni di una eventuale ripresa di mercato, invece che chiudere subito baracca e burattini. Ora, visto l’andamento delle vendite dell’auto, c’è qualche serio problema. I modelli? Quando a Torino c’era un movimento operaio degno del nome, lanciò la “vetturetta”. Ma era la Fiat di Valletta che doveva poi progettare, anche sulla base delle suggestioni di Egidio Sulotto. Non vedo vetturette, e disegni della Camusso. Per il resto, si legga il prezioso articolo di Alessandro Penati su Repubblica di ieri, e lo confronti con le opposte scemenze del Massimo Giannini. Vedrà che si può negare un futuro all’automobile, come anche lei fa, senza richiamare in servizio la pianificazione o l’utopia regressiva del nuovo modo di pedalare in bicicletta.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.