Il Papa va in Libano, ma dalla Siria alla Libia cova l'incendio religioso

Paolo Rodari

Per il Vaticano la sicurezza del Papa in Libano non è un problema. Benedetto XVI, nonostante l’escalation di violenza in Siria e l’attentato in Libia, non ha mostrato tentennamenti. Nel paese dei Cedri (da domani a domenica, terzo viaggio di un Pontefice in Libano dopo Paolo VI nel 1964 e Giovanni Paolo II nel 1993) vuole andarci, perché ha una missione da compiere: sostenere la minoranza cristiana, e sostenerla soprattutto nel medio oriente e nel nord Africa.

    Per il Vaticano la sicurezza del Papa in Libano non è un problema. Benedetto XVI, nonostante l’escalation di violenza in Siria e l’attentato in Libia, non ha mostrato tentennamenti. Nel paese dei Cedri (da domani a domenica, terzo viaggio di un Pontefice in Libano dopo Paolo VI nel 1964 e Giovanni Paolo II nel 1993) vuole andarci, perché ha una missione da compiere: sostenere la minoranza cristiana, e sostenerla soprattutto nel medio oriente e nel nord Africa. Il risveglio del mondo arabo dopo la caduta dei dittatori non è stata giudicata negativamente dal Vaticano, seppure molto ancora da fare resti. Il Libano è l’unico paese mediorientale dove i cristiani fanno parte del governo. Altrove, i cristiani soffrono e spesso sono costretti alla diaspora. Tanto che l’esortazione apostolica “Ecclesia in Medio Oriente” (il testo che riassume il Sinodo dei vescovi svoltosi a Roma lo scorso ottobre) che Ratzinger consegnerà loro, è anche simbolo della necessità di “resistere”. Il testo è il vero motivo del viaggio. Dicono oltre il Tevere non a caso che come il Concilio Vaticano II anticipò di pochi anni il vento di rinnovamento che investì il mondo nel ’68 così l’esortazione alle chiese d’Oriente ha anticipato di diversi mesi la primavera araba. Ma oggi come allora il nodo resta uno: incanalare la rivoluzione sui giusti canali, far sì che non diventi un boomerang, costringendo a dare ragione a chi, soprattutto tra i cristiani del medioriente già dice “si stava meglio quando si stava peggio”.

    La linea che la diplomazia vaticana chiede che i cristiani presenti sul territorio facciano propria è chiara: restare uniti e nello stesso tempo non schierarsi. Non ripetere, insomma, l’errore commesso in Iraq quando i cristiani si schierarono con Saddam. Questo “spettro” come lo chiama Miguel Angel Ayuso Guixot, segretario del “ministero” per il dialogo interreligioso, va evitato. Ovunque, e soprattutto nella vicina Siria, dove pure i cristiani hanno goduto di buone garanzie con il regime alawita, i cristiani devono tenersi fuori dalla “politica delle fazioni”. E questo non per “codardia” ma per essere, con “coraggio”, un “ponte” tra le diverse comunità. Restare e lavorare per la pace, dunque. “Il Pontefice e la chiesa hanno sottolineato che i cristiani di questa regione non devono abbandonare questi luoghi perché ‘abbiamo una missione qui”, dice padre Samir Khalil Samir, insigne conoscitore dell’islam. La ricerca dell’equilibrio del Vaticano è totale. Non è un caso, infatti, che gli organi ufficiali comunichino che il Papa parta come leader religioso e non come capo politico. Come leader religioso a uso di tutta la cristianità. E’ una posizione super partes che investe anche quanto accaduto ieri in Libia. Non a caso padre Federico Lombardi si premura di condannare le “violenze” ma anche le “offese”, e cioè anzitutto il film sul profeta Maometto che avrebbe scatenato l’attacco islamista di Bengasi. Come a dire: certi atteggiamenti sono provocatori e non è questa la strada da seguire: “Le conseguenze gravissime delle ingiustificate offese e provocazioni alla sensibilità dei credenti musulmani sono ancora una volta evidenti, per le reazioni che suscitano, anche con risultati tragici, che a loro volta approfondiscono tensione e odio, scatenando una violenza del tutto inaccettabile”.

    Escluso il pellegrinaggio in Terra Santa, è la terza volta che il Papa lascia Roma per un paese mediorientale e ogni volta gli auspici prima della partenza non sono dei migliori. Prima del viaggio in Turchia (autunno 2006) scoppiò il “caso Ratisbona”. Nel 2010 poco prima della visita a Cipro vi fu l’uccisione in Turchia del vescovo cattolico Luigi Padovese. Ora l’attentato di Bengasi, relativamente lontano dal Libano certo, ma del tutto attuale per un Papa pronto a parlare di libertà religiosa.