Dopo lo schianto Alitalia-Wind Jet, ecco i piani del governo

Alberto Brambilla

Doveva essere una fusione. E’ stato un bluff. L’acquisizione di Wind Jet da parte di Alitalia doveva essere l’unica, ma importante, operazione di fusione-acquisizione nel settore aereo italiano del 2012. E’ finita invece con un fallimento che evidenzia le difficoltà di un mercato così asfittico da rischiare la paralisi sotto diversi punti di vista. Una storia istruttiva. Nei giorni precedenti al fallimento dell’operazione, all’interno di Alitalia si respirava ottimismo sulla buona riuscita dell’acquisizione.

    Roma. Doveva essere una fusione. E’ stato un bluff. L’acquisizione di Wind Jet da parte di Alitalia doveva essere l’unica, ma importante, operazione di fusione-acquisizione nel settore aereo italiano del 2012. E’ finita invece con un fallimento che evidenzia le difficoltà di un mercato così asfittico da rischiare la paralisi sotto diversi punti di vista. Una storia istruttiva. Nei giorni precedenti al fallimento dell’operazione, all’interno di Alitalia si respirava ottimismo sulla buona riuscita dell’acquisizione. Dovevano però essere ancora definiti degli essenziali “dettagli” tecnici, dopo avere recepito i vincoli dell’Antitrust. Alitalia voleva capire quanto debito avesse deciso di incamerare il 13 aprile scorso, quando si era impegnata ad andare fino in fondo, ricevendo l’avallo dell’azionista di maggioranza Air France. Wind Jet, amministrata da Antonino Pulvirenti, che è anche presidente del Catania calcio, si era comportata da low cost per cercare un’efficace concorrenza su quella che nel 2011 è diventata la prima rotta d’Italia, la Roma-Catania. Aveva così mantenuto i prezzi eccessivamente bassi, e anche per questo sul vettore etneo pesavano almeno 150 milioni di euro di debiti. Sull’altro versante della fusione, il debito di Alitalia cresce con costanza dal 2008 (con l’operazione Cai) e ha toccato gli 862 milioni nel primo semestre di quest’anno.

    Nessuno lo ammette tra chi è stato vicino al dossier. Lo dicono gli analisti, come Andrea Giuricin, dell’Istituto Bruno Leoni: “Alitalia stava comprando un ‘buco’, e non le conveniva”. Fatto sta che in pochi si aspettavano, in quei giorni di agosto – perché è a fine mese che Alitalia aveva posticipato la chiusura dell’accordo –, che tutto sarebbe crollato: alle 19,13 di venerdì 10 Alitalia comunica il “fallimento della trattativa”, 540 dipendenti di colpo rischiano il posto, migliaia di passeggeri non hanno più un volo. Wind Jet non aveva esposto alla controparte bilanci e dati societari sufficienti per capire quanto valesse l’operazione e quanti debiti pendenti (compresa la manutenzione degli aerei in flotta) avrebbe incamerato l’acquirente. Solo in quei giorni che Alitalia sostiene di avere scoperto che il vettore siciliano non aveva la licenza (da anni) per operare su Linate, anche se, dice al Foglio una persona che ha seguito la trattativa, “è difficile credere che non fossero informati”. Lo sapeva anche l’ente per il controllo dell’aviazione civile, Enac: il suo presidente, Vito Riggio, ne aveva parlato nel 2005 (“Wind Jet vola in maniera non legittima”). Su questo si era aperto un contenzioso tra Wind Jet e Assoclearance, la società che assegna e gestisce gli slot, fasce orarie di decollo e atterraggio.
    Pochi giorni più tardi, prima di confrontarsi col governo, l’amministratore delegato di Alitalia, Andrea Ragnetti – che l’operazione se l’è ritrovata tra le mani in quanto decisa dal suo predecessore Rocco Sabelli – dichiara che le trattative non possono proseguire. Tant’è che il tavolo imbastito al ministero dei Trasporti il giorno di Ferragosto ha un esito disastroso: in quelle condizioni Pulvirenti non vuole ricucire lo strappo, il ministro Corrado Passera non trova margine di mediazione e la situazione risulta irrecuperabile. Lo stato dell’arte è che Wind Jet rischia il commissariamento, i vacanzieri hanno trovato posto  – pagando – su altre compagnie come Blue Panorama, Livingston, Easy Jet e la stessa Alitalia, e una cordata di imprenditori siciliani inizialmente intenzionata a rilevarla (Pulvirenti non stava comunque trattando con loro) si è ritirata.

    La fine della storia racconta di un mercato italiano in grave stato di crisi. Per più motivi. I margini sono bassi a livello globale, le compagnie aeree guadagnano al massimo il 3 per cento dalle operazioni di volo. Il profitto è soprattutto per l’indotto (servizi, agenzie on line, biglietti). Basta uno sciopero, un evento climatico o il caro carburante per accumulare perdite. Ciò non toglie che, per usare le parole dell’amministratore unico di Livingston, Riccardo Toto, “il trasporto aereo in Italia è vecchio e antiquato”. “Credo – dice Toto al Foglio – che una riorganizzazione del settore sia necessaria. Ad oggi manca un leader di mercato e questo vuoto pesa molto: nessuno difende il settore nel suo insieme, mentre come singoli è difficile cambiare le regole”. Il problema è che forse si è aspettato troppo: tanto che, secondo Riggio dell’Enac, l’intero settore è “a rischio scomparsa”. Un fattore preoccupante, segnalato proprio dall’Enac, deriva dalla carenza degli ispettori di volo, dice al Foglio Alessio Quaranta, direttore generale dell’ente. “Questo comporta il ridimensionamento dei controlli sulle strutture tecniche, infrastrutturali e industriali. L’anno prossimo rimarremo con quattro persone”. Troppo poche, ad esempio, anche solo per approvare i nuovi modelli di elicotteri Agusta Westland, il secondo produttore mondiale. In una lettera privata spedita il 5 settembre dai sindacati al ministro Passera si disegna un quadro preciso: “Lo stato di crisi dell’intera industria del trasporto aereo italiano peggiora quotidianamente, dando luogo a un reiterarsi di crisi aziendali irreversibili, che non solo genera disservizi ma produce anche emergenze occupazionali e disagio sociale. […] In mancanza di rapidi interventi correttivi raggiungerà a breve un punto di non ritorno”.

    Al ministero dei Trasporti la riorganizzazione conta sull’esperienza maturata in Alitalia dal sottosegretario Guido Improta che, al Foglio, spiega le quattro mosse congiunte per riorganizzare il settore in sei mesi, e cita Keynes: “Questo è un settore fragile per sua natura, che deve rivedere la distribuzione del valore nella filiera e per questo non può essere lasciato agli spiriti animali del libero mercato ma deve essere guidato da una visione politica attraverso un ruolo attivo e strategico del governo”. La prima mossa è accomodare una fusione tra Alitalia e Meridiana fly, che nel 2011 ha integrato la Air Italy, amministrata da Giuseppe Gentile, un ex comandate, ed è di proprietà del principe Aga Khan. Le altre riguardano le compagnie low cost, il sistema aeroportuale e l’Antitrust.

    Fusioni e regolamentazioni low cost
    Improta considera una “premessa per l’aumento dei voli di medio e lungo raggio” una “concentrazione” del settore aereo come accaduto in passato in Francia, con Air France, e in Germania, con Lufthansa. Questi vettori hanno una quota nel mercato domestico nettamente maggioritaria, contro Alitalia che ha il 48 per cento. “Abbiamo bisogno – spiega Improta – di adottare una politica industriale rafforzativa. Penso che Alitalia e Meridiana, insieme a Intesa Sanpaolo, che è stato il regista dell’operazione Cai, debbano sedersi a un tavolo mettendo le proprie forze a ‘fattor comune’ cercando di condividere una prospettiva in cui l’Italia sia dotata di un vettore unico di riferimento senza correre il rischio, alla luce dell’evoluzione che in questi anni ha interessato il business del trasporto aereo, di replicare vecchie situazioni di monopolio a danno dei consumatori”.
    Si tratta poi di regolare i contributi alle compagnie low cost. “Bisogna gestire la presenza delle low cost, che in Italia hanno un tasso di penetrazione molto alto rispetto alla media europea, facendo in modo che non ci siano vantaggi competitivi illegittimi, risolvendo innanzitutto il problema del finanziamento pubblico a compagnie come Ryanair, che dalla regione Puglia prende oltre 12 milioni di euro. C’è bisogno di regolare il tutto con gare a evidenza pubblica che creino una reale concorrenza ma che culminino nella migliore scelta per il territorio e per i cittadini”.

    Piano aeroporti e relazione con l’Antitrust
    Le intenzioni del governo su questo punto sono già state tratteggiate in passato e entro fine anno il ministro Passera presenterà la sua proposta. “Un’idea che tiene anche conto di un precedente documento dell’Enac e intende coinvolgere anche le comunità territoriali e i loro progetti di sviluppo” in quanto, ad esempio, nel caso dell’aeroporto di Cuneo, viene chiesto al governo di poter gestire in proprio lo scalo ma ciò potrà avvenire con una chiara assunzione di responsabilità “senza tenere in piedi cattedrali nel deserto e strutture economicamente non sostenibili”. Poi bisogna dare “certezza e garanzia che le regole del gioco non cambino”, come nel caso dell’aeroporto di Fiumicino, dove non sono avvenuti gli adeguamenti tariffari previsti in sede di privatizzazione e 2 miliardi di investimenti sono tuttora bloccati. Nelle intenzioni di Improta “i grandi miglioramenti arriveranno soprattutto dalle connessioni infrastrutturali per collegare meglio gli scali anziché crearne di nuovi”. Su Malpensa l’obiettivo è quello di ridurre il traffico su Linate a favore dello scalo varesino, una transizione che sarebbe meno traumatica con una fusione Alitalia-Meridiana.
    Bisogna poi “fare in modo che l’Antitrust sposi un disegno di politica industriale. Nel senso che quando il garante dice che Alitalia deve ridurre gli slot tra Roma e Milano, innanzitutto valuti bene la concorrenza del traffico intermodale (il treno, ndr). Si stimava infatti che potesse arrivare al  20 per cento, siamo arrivati al 50. E soprattutto occorre rendersi conto che la cessione degli slot deve essere fatta in maniera ragionata e cioè non frammentandoli tra diverse compagnie ma dandoli in larga parte a un unico soggetto che realmente sia in grado di fare massa critica”. Le misure della “road map”, secondo Improta, devono “entrare in azione contemporaneamente o in uno stretto lasso di tempo ” e potranno essere verificate prima della conclusione dell’esecutivo tecnico. Il piano degli aeroporti è già stato indicato come una priorità dal Consiglio dei ministri del 24 agosto scorso e Improta auspica “un dibattito pubblico e una discussione trasparente”.

    • Alberto Brambilla
    • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.