Glencore pensa prima di tutto a salvare se stessa e non l'Alcoa

Ugo Bertone

Una scena così non l'avrebbe immaginata nemmeno lo scrittore Ken Follett. Aeroporto di Luton, periferia londinese, giovedì 6 settembre, 15,53 (ora italiana), ovvero sette minuti prima delle 3 di pomeriggio dalle parti di Greenwich. In palio una fusione da 90 miliardi di dollari, quella tra Glencore e Xstrata: la più importante operazione corporate dell'anno da cui potrebbe nascere la quarta potenza nel mondo di tutte le materie prime, comprese quelle alimentari.

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    Milano. Una scena così non l’avrebbe immaginata nemmeno lo scrittore Ken Follett. Aeroporto di Luton, periferia londinese, giovedì 6 settembre, 15,53 (ora italiana), ovvero sette minuti prima delle 3 di pomeriggio dalle parti di Greenwich. In palio una fusione da 90 miliardi di dollari, quella tra Glencore e Xstrata: la più importante operazione corporate dell’anno da cui potrebbe nascere la quarta potenza nel mondo di tutte le materie prime, comprese quelle alimentari. E forse ne beneficerà anche l’alluminio di Portovesme di cui, per certo, non hanno parlato i giocatori della roulette più ricca dell’anno. Perché la società svizzera Glencore sta pensando innanzitutto a salvare se stessa.

    Così da una parte c’è Ivan Glasenberg, sudafricano che ha gareggiato in atletica anche sotto le insegne di Israele, numero uno di Glencore, il colosso delle materie prime minerarie e alimentari, balzato agli onori delle cronache italiane per l’interesse manifestato per lo stabilimento sardo di Alcoa. Dall’altra, lo sceicco Al Thani, numero uno del potente fondo sovrano del Qatar, grande azionista di Xstrata, gigante del carbone, vanadio e altre preziose materie prime, che fino all’ultimo si è opposto alle nozze. In mezzo, a far da arbitro, l’ex primo ministro inglese Tony Blair, passato dalla diplomazia al più lucroso mestiere di mediatore d’affari. Per niente facile: per mesi Glasenberg ha ripetuto che non avrebbe alzato il prezzo, così come chiedeva lo sceicco. Per mesi, Al Thani ha risposto picche. Glasenberg ha sparato la carta dell’ultimatum: l’offerta di Glencore valeva fino alle tre del pomeriggio, ora di Londra. Poi Ivan il terribile, miliardario dopo la quotazione alla City nel 2011 del colosso fondato da Marc Rich, sarebbe volato in Cina per l’assemblea dei soci. Al Thani non ha fatto una piega: il Qatar può permettersi di perdere una manciata di miliardi. Glasenberg no. E così, sette minuti prima dell’ora X, il ceo sudafricano ha alzato l’offerta e rinviato l’assemblea. Ieri, secondo Bloomberg, avrebbe fatto sapere che non intende migliorare i termini finanziari dell’offerta di fusione, attualmente pari a 36 miliardi di dollari. Ora la parola passa a soci e manager di Xstrata che decideranno il giorno 24. Prima di allora, poco ma sicuro, ci saranno altri colpi di scena. Perché tutti, da Mick Davis, numero uno di Xstrata, ai trader che in tutto il mondo trattano affari per conto dei due gruppi, praticano con coerenza la legge del denaro, senza alcuna preferenza politica, a ogni latitudine del globo. Glencore e Xstrata, entrambe domiciliate nel cuore della Svizzera, nel cantone di Zug, operano quasi ovunque. Glencore è leader nel business del rame, zinco, commercio di gas e petrolio ma anche dei cereali. Mentre Xstrata è prima nel carbone. Glencore è di casa in Africa così come in Sudamerica, mentre la base privilegiata di Xstrata è l’Australia.

    Le ragioni della fusione sono evidenti. Dopo anni di vacche grasse il trading di materie prime arranca, al punto che i profitti di Glencore nel primo semestre sono calati del 44 per cento pur toccando la cifra di 1,8 miliardi di dollari, cosa che aveva fatto dire a Glasenberg che “la fusione per noi non è una necessità”. Forse. Ma il fatto che al momento decisivo lo zar di Glencore abbia chinato per la prima volta il capo dimostra che i problemi non mancano. I “cugini” svizzeri, entrambi nati per volontà di Rich, il finanziere cui Bill Clinton concesse la grazia il giorno prima dell’uscita dalla Casa Bianca, sono abituate a navigare tra le polemiche. Rich, che all’inizio degli anni 70 inventò il mercato spot del petrolio, è al centro di intrighi di ogni tipo, compresi i traffici con l’Iran. Una volta ottenuto il perdono di Clinton, si è ritirato in Svizzera cedendo il bastone del comando ai suoi luogotenenti, spesso dalla vita (quasi) altrettanto avventurosa. A proposito, in caso di fusione, il presidente di Glencore-Xstrata sarà John (alias James) Bond. E chissà se Mr. Bond sbarcherà in Sardegna.

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