Sesso mattissimo

Angiolo Bandinelli

Come sottrarsi alla tentazione di una filosofia del porno? Dialogare con Bataille, discettare sulla “Psicopatia sexualis” di Krafft-Ebing, confutare la condanna del Pontificio consiglio delle comunicazioni sociali… Ebbene, una filosofia della pornografia – del porno – pare sia possibile. Lo sostiene, sulla scia del filosofo Franco Volpi, il professor Simone Regazzoni, per il quale lungo il percorso potremmo incontrare Heidegger, Derrida, Butler, Lévinas, Deleuze. Per aver studiato lo scabroso tema, addirittura in versione pop (formidabile, il lato B di Sasha Grey da lui evocato), Regazzoni è stato dismesso dall’Università Cattolica, dove insegnava.

    Come sottrarsi alla tentazione di una filosofia del porno? Dialogare con Bataille, discettare sulla “Psicopatia sexualis” di Krafft-Ebing, confutare la condanna del Pontificio consiglio delle comunicazioni sociali… Ebbene, una filosofia della pornografia – del porno – pare sia possibile. Lo sostiene, sulla scia del filosofo Franco Volpi, il professor Simone Regazzoni, per il quale lungo il percorso potremmo incontrare Heidegger, Derrida, Butler, Lévinas, Deleuze. Per aver studiato lo scabroso tema, addirittura in versione pop (formidabile, il lato B di Sasha Grey da lui evocato), Regazzoni è stato dismesso dall’Università Cattolica, dove insegnava. E se non in una filosofia, vorremo avventurarci in una antropologia, scienza sempre ambiziosa anche se in declino? Oppure ci contenteremo di una più modesta inchiesta sociologica, che tanto non si nega a nessuno? Comunque attenti, in un modo o nell’altro, il rischio è sempre lo stesso: cadere in scontatissimi luoghi comuni, tipo la mercificazione o la reificazione del corpo – impantananti categorie che non significano forse nulla – magari solo per soddisfare i moralisti, sempre portati a fustigare, dimentichi che il fustigare è una pratica del porno.
    Insomma, sarà possibile dare un’occhiata alla pornografia, al porno, pregiudizialmente evitando le banali definizioni – a partire da quelle in negativo, ipocritamente doverose? Anche solo mettere assieme Sade e Cicciolina, il filmetto hard e il vaso attico con il tiaso dei Satiri in calore, le dilaganti immagini su Facebook e i versi del veneziano Giorgio Baffo, può essere eccitante. Forse oggi più per la donna che per l’uomo: dopo la “Histoire d’O”, l’ultimo successo in chiave pornografica è “Cinquanta sfumature di grigio” con i suoi due sequel, opera di una altrimenti ignota scrittrice inglese.

    Il porno ha una lunga e probabilmente ininterrotta storia, quanto meno dai graffiti pompeiani alle odierne scritte delle latrine. Forse si tratta di una oscura pulsione, sempre in agguato nei meandri della psiche (ahimè, cercavo un punto di vista obiettivo ed eccoci finiti negli abissi delle patologie dell’inconscio). Le tecnologie però ne hanno dilatato confini e possessi: secondo una recente, affidabile ricerca, “le immagini di sesso esplicito, per lungo tempo vendute e consumate in maniera più o meno sotterranea e illegale, nel corso del decennio hanno invaso gli schermi domestici. Dal 1988 al 2005 i titoli a luci rosse negli Usa sono passati da circa 1.200 a più di 13.500 l’anno (la Hollywood ‘ufficiale’ ne produce circa 400). Dati attendibili sostengono che nel 2006 erano attivi almeno 4 milioni di siti porno, il 12 per cento di tutta la distribuzione on line (oggi saranno molti di più, visto che ne nascono circa 270 al giorno)”. In Italia, a Gorizia, da qualche anno si tengono convegni internazionali con titoli tipo “Economies, Politics, Discoursivities of Contemporary Pornographic Audiovisual”. Anche se ritengo si debba fare distinzione tra sesso esplicito e porno – con conseguente ridimensionamento delle cifre – l’occhio, che del porno è strumento privilegiato, avrà di che sentirsi abbondantemente soddisfatto.
    In una succosa panoramica giornalistica, Emiliano Morreale ci ha recentemente guidato ai confini di un underground insospettato, ma che sta venendo esplicitamente in superficie con suoi contenuti e linguaggi, saliti anche all’attenzione dei “cultural studies” forse sull’onda della rivoluzione femminista. E’ da poco uscito un ponderoso volume,“Il porno espanso. Dal cinema ai nuovi media”, a cura di Enrico Biasin, Giovanna Maina e Federico Zecca (edizioni Mimesis), seguito più o meno ideale di “Pornosofia”, il testo incriminato di Simone Regazzoni. Il libro di Biasin e compagni, di cui si occupa Morreale, ricapitola lo sviluppo della pornografia cinematografica, dai filmini mostrati nei bordelli o spediti per posta all’esplosione di “Mona, the Virgin Nymph” (1970) e del celeberrimo “Gola profonda” con Linda Lovelace (1972).

    Negli anni Ottanta, quando le sale cinematografiche, anche a luci rosse, cominciano a chiudere, l’avvento del video moltiplica la produzione. I Dvd sono sospinti dai “pornomani”, perché rendono più facile trovare le scene ghiotte. Escono fuori dati da capogiro, ma con un fondamento di credibilità: davanti alla stazione Termini di Roma ci sono file di bancarellari che vendono centinaia di Dvd “hot” e “dark”, nuovi e usati (“si fanno anche cambi”). Ma anche il Dvd è divenuto obsoleto. Chiunque sia in possesso di un computer può ora intrattenersi in questo genere di spettacolo, gli basterà cliccare su un motore di ricerca la parola “porno” e visionerà il più ampio campionario di pratiche sessuali. “La vera mutazione però – continua il recensore – è qualitativa, e non riguarda i singoli prodotti, ma la struttura del sistema. Il cinema, la televisione, la moda hanno un ‘doppio’ osceno, sotterraneo e rimosso, che sempre più viene a galla al tempo di Internet”. Stando a Regazzoni, il porno è “la nuova forma di totalitarismo”. Forse intendeva dire “globalizzazione”, e se è vero che un ragazzino su tre riceve e invia messaggi sessuali via Internet, ci siamo vicini.
     L’articolo-recensione aveva però un “occhiello” sbagliato, nel quale si parlava non di porno ma di eros: “Se l’eros viene studiato…”. Giro e rigiro i siti e alla fine, sollevato, concludo che il porno ha assai poco a che fare con l’eros. Non è una mia scoperta: l’eros ha avuto una quantità di interpreti, letterari o artistici, dal Platone del “Simposio” al biblico “Cantico dei Cantici”, dalle “Liaisons dangereuses” di Choderlos de Laclos a “Lolita” di Nabokov (anche tenendo conto della sua complessità non riesco invece a far entrare in classifica “Portnoy’s Complaint” di Philip Roth). Pur condannato dalla etica cristiana, eros ha dato luogo a interpretazioni mistiche, molti hanno trovato un rapporto, anche stretto, tra eros e misticismo. Alcuni aspetti della santità – specialmente femminile – rinviano senz’altro a una problematica erotica.

    Il porno no. Ma il porno ha una specificità sua, tra le tante che ruotano attorno al sesso e alle sue pratiche? Se il sesso è piacere e il piacere può essere sublimato nell’eros, il porno non è piacere, ma solo immaginazione: immaginazione di un piacere altrui, forse invidiato e che si cerca di riprodurre. Artificialmente. La prima cosa che colpisce, in qualunque spettacolino porno, è l’esibizionismo dei partner. I partecipanti (due o anche più) si mettono in posa perché lo spettatore – il “voyeur” – possa avere la vista più completa dell’atto in corso. Le posizioni sono standard, c’è una esperienza condivisa di posture diciamo così ottimali per la loro capacità di captare l’attenzione ed eccitare i sensi. Il porno è insomma essenzialmente spettacolo, si fa perché sia visto ed è porno in quanto è visto. Intervistata da Regazzoni, una attrice di film porno definisce i suoi film come “puro esibizionismo”.
    Da questa prima ed essenziale caratteristica del porno – la spettacolarità – discende l’atteggiamento che i partner hanno nei confronti l’uno dell’altro. Mentre eros esige un rapporto esclusivo, fino alla più gelosa passione (l’amante grida “tu sei mia e solo mia!”), il porno comporta l’indifferenza. L’attrice porno intervistata da Regazzoni è esplicita: “I film porno non sono video amatoriali in cui (…) sei libero di fare ciò che vuoi. Io devo essere sempre concentrata, tenere conto delle luci, delle indicazioni del regista, dell’espressione del mio volto, del modo in cui ansimo…”. Mentre i due partner dell’eros vivono momenti in perfetta, intollerante complicità – l’eros è compiuta donazione di sé – il porno può anche accettare la molteplicità dei partecipanti, ciascuno indifferente ai sentimenti degli altri: come si fa a essere gelosi di un partner sessuale multiplo? E ancora: mentre nell’eros l’intesa è spontanea in quanto fondata sui sentimenti, nel porno vi è non una intesa ma un accordo contrattato, anche attraverso estranei, mediatori, procacciatori, affittuari, ecc.: tutto un giro speciale e gergale, suppongo.
    Quello che nell’eros è profondità di partecipazione, nel porno è noia. L’eros può anche essere malinconico e disperato, il porno deve essere sempre “positivo”. Perfino il tempo è, nel porno, meccanizzato. Nell’eros il tempo è scandito dai sentimenti, gli amanti sentono come dolorosa perdita la fuga del tempo e vorrebbero che il tempo si prolungasse all’infinito, nell’infinità del desiderio che li brucia, nell’angoscia della fine temuta e indesiderata – cosicché per loro si ha il miracolo che un minuto possa avere la durata di un’ora e un’ora quella di un istante – nel porno il tempo è quello misurato dal tic tac dell’orologio. La durata dell’atto è calcolata nel suo tempo reale, viene scrupolosamente contrattata. Il porno non ammette l’attesa. Nel suo gioco sottile, l’eros è anche nei preliminari, può rinviare, ritardare, rallentare l’atto in sé. Addirittura la semplice ironica attesa fa parte della sua imprendibile bellezza: mia moglie era una fan di Frank Sinatra ma trovava erotica la voce di Dean Martin; eros può essere vivente nell’ironico desiderio. Non siamo, secondo Deleuze e Guattari, “macchine desideranti”, flussi di desideri? Il porno è invece tutto racchiuso nel suo compimento esplicito, semmai ritualizzato e ripetuto e soprattutto – ripeto – visibile.

    Ancora. Eros dà piacere, c’è scambio di piacere, il porno è senza piacere: essendo mera rappresentazione, il partner non guarda l’altro con l’occhio del desiderio, della passione, del richiamo, perfino della gratitudine; guarda verso la cinepresa, deve solamente esibire. Il suo volto – ma lui non se ne rende conto, perché non se ne interroga – non ha espressioni, si atteggia cercando di compiacere l’occhio del voyeur, per il quale viene montata l’operazione. Tra l’altro in forme banali, senza fantasia. La professionalità del porno è dilettantesca, ignora – o vuole ignorare – i principi stessi dell’eros.
    Regazzoni sostiene che “i due poli ideali della ‘immaginazione pornografica’ attuale sono la declinazione glamour, con le sue Madonna e Lady Gaga, e il suo opposto, la verosimiglianza bruta”. Anche il glamour, come la verosimiglianza, appartiene alla tipologia dello spettacolo. Non è certo casuale che la declinazione glamour prenda qui nome da due star del pop musicale, legato alla diffusione mediatica di massa (ma io avrei inserito anche Elvis Presley, gran “partner” del sesso spinto e porno, anche se solo in forme allusive).
    Martha C. Nussbaum ha recentemente pubblicato un saggio, “From disgust to humanity” (in versione italiana presso il Saggiatore, con il titolo “Disgusto e umanità”) che opera una distinzione tra almeno sette significati di “oggettivizzazione”, “sette modi di trattare una persona come una cosa”: così siamo nell’ambito della fenomenologia, l’analisi delle “forme” neutre in cui una pratica (una qualsiasi pratica) si manifesta. Le forme possono essere descritte evitando qualsiasi giudizio di valore, ma arriveremo anche noi a definire il porno come una “forma culturale” che oggi si esprime “attraverso molteplici piattaforme tecnologiche (cinema, televisione, Internet)”? E’ possibile: attorno all’endiade eros-porno si possono costruire splendidi esercizi di dialettica culturale, a partire dalla famosa distinzione (forse democritea) tra il concetto di “Alto” e “Basso”. Eros sarebbe la forma “alta” del sesso, il porno la forma “bassa”, infima, una perdizione legata all’abisso, che può suscitare persino il disgusto. La persona perbene in pubblico dichiara sempre di aborrire il porno e quanto a esso si lega. Poi magari quella stessa persona perbene viene colta in fallo su una via consolare o alla periferia della città ma, si sa, l’inibizione sociale attorno alle faccende di sesso è molto forte. Un qualsiasi ragazzino impara presto a mentire quando il confessore gli chiede: “Ti tocchi? Quante volte?”.

    Ci dicono che oggi il sesso è qualitativamente scaduto e banalizzato, mentre il porno va forte se non fortissimo. Perché? La buttiamo lì, da conformisti: forse il porno si sviluppa e si impone come impossibilità di ottenere l’eros, come gratificazione alla solitudine dei sentimenti, alla solitudine dell’uomo massa. Questa solitudine – ammoniscono i catastrofisti – può provocare tic, manie, follie e perversioni: di qui il porno. E non casualmente – penso – di solito il porno si svolge in un ambiente di tipo familiare, ben riconoscibile, quasi sempre di basso livello, sordido, da single di periferia. Nel porno mi sembra infine ci sia sempre uno dei soggetti sottomesso, tra i partner non c’è la parità che l’eros richiede, addirittura la sottomissione viene esibita, rappresentata. Violentare, sottomettere, è un piacere diffuso, ha origini legate alla frustrazione. In Sade la sottomissione di uno dei due (la donna) era una sfida, un gioco accettato e consenziente; nel porno anche questa forma di consapevolezza è assente. Così il porno mostra la donna “getting humiliated”, anche quando lei è la figura dominante, inguainata nella pelle nera e col frustino sadomaso in mano.
    La donna suscita sempre un senso di inquietudine; nel porno, per esorcizzarne la pericolosità viene degradata a puttana, anzi a “troia”, “slut”. Non siamo nemmeno in un universo sadiano. Sade predicava una sorta di religione, una “religione naturale” se non già naturista, vicina a Rousseau e al mito del buon selvaggio: ”Liberiamoci delle falsità della cultura e riscopriamo la nostra vera identità, la nostra natura”. Che in quanto tale è o si proclama innocente, non ha colpa. Nel porno non c’è questa consapevolezza, i suoi partner non sanno nemmeno cosa stanno facendo, il loro sesso è non innocente ma non-consapevole, manca di vissuto. Il porno è una voragine enorme, nella quale tutto può scomparire e ricomparire, a partire dalla coscienza.

    L’erotismo è desiderio, la pornografia è negazione di desiderio. La pornografia tende all’uccisione del desiderio: deve negarlo, non lo sopporta. L’erotismo non ha bisogno del compimento dell’atto sessuale, ha bisogno anzi della distanza dall’atto, nel momento del compimento si placa. Il compimento è altra cosa dall’erotismo. La pornografia interviene quando il sesso non è disponibile. La pornografia come indisponibilità del sesso, magari a causa della proibizione? La pornografia come proibizione del sesso? L’erotismo non teme la proibizione, la utilizza come parte del suo gioco. L’erotismo è una partecipazione aristocratica: l’aristocratico vive, sociologicamente, nell’infrazione, o meglio nella inosservanza (a lui dovuta) della proibizione: l’aristocrazia vive ultra legem. E’ il plebeo che vive dentro l’inspiegabilità della proibizione, deve superarla ma può farlo solo con la violenza, la negazione, lo strappo della proibizione. E nella pornografia c’è sempre qualcosa del plebeo che, nel negare l’ordine, la proibizione, deve farle violenza, in qualche modo degradarla, insultarla, infamarla: così, la pornografia giunge anche a violentare, a infamare il sesso, a dileggiarlo: cosa che l’erotismo non fa mai. La pornografia è antisessuale, è una minaccia che pende sul sesso.