Prez* e prof, perché li odiano

Giuliano Ferrara

Sbeffeggiano Eugenio Scalfari, oltraggiano la numinosa maestà del giornalista-patriarca che li ha (ri)creati dandogli la tribuna giusta, un giornale “azionista” di folto pubblico, e facendo delle loro fisime contro l’Italia alle vongole un senso comune di massa. Mordono a sangue Luciano Violante, che scrive contro l’uso politico della giustizia, brandita come una clava, come un garantista qualsiasi. Propalano pettegolezzi sulle ambizioni frustrate di Piero Luigi Vigna, invece di rispondere con civiltà alle sue critiche.

    Sbeffeggiano Eugenio Scalfari, oltraggiano la numinosa maestà del giornalista-patriarca che li ha (ri)creati dandogli la tribuna giusta, un giornale “azionista” di folto pubblico, e facendo delle loro fisime contro l’Italia alle vongole un senso comune di massa. Mordono a sangue Luciano Violante, che scrive contro l’uso politico della giustizia, brandita come una clava, come un garantista qualsiasi. Propalano pettegolezzi sulle ambizioni frustrate di Piero Luigi Vigna, invece di rispondere con civiltà alle sue critiche. Idolatrano un magistrato di serie decisamente minore, il pm ciarliero che ha trasformato un calunniatore in icona dell’antimafia; e il suo sodale in indagini, che ha avviato il processo farsa per l’omicidio Borsellino e la strage di Via D’Amelio costato anni di carcere a un autocalunniatore, e lo stravolgimento della verità (che Ilda Boccassini, anche lei nel mirino nonostante il caso Ruby e molti altri casi di avventurosa attenzione all’Arcinemico, aveva visto per tempo). Adunano il popolo credulone che influenzano e lo incanalano sulla scia di impalatabili menzogne come la collusione stato-mafia, il cui promotore sommo sarebbe il generale dei carabinieri che arrestò Riina Salvatore detto Totò. Si sputtanano alla grande, dividono con cattive maniere il frente amplio in cui militavano, obbligano all’isolamento la loro mascotte giudiziario-poliziesca, Di Pietro, inguaiano Bersani e il suo patto di sindacato, rompono con ogni cautela deontologica di ex giureconsulti, mettono in grave imbarazzo direttori, fondatori, lettori di riferimento. Perché lo fanno? Dicono di amare la verità, tutta la verità, e solo la verità. Ma gente che ha fatto straparlare un bambino tredicenne in un’adunata talebana a Milano, al Palasharp, per sciorinare la morale dell’innocenza contro un nemico politico, prima di andare a letto a leggere Kant, ha più dimestichezza con l’ideologia e con la propaganda che con la verità.

    E allora, perché lo fanno? Perché odiano teologicamente Mario Monti e Giorgio Napolitano, un tecnico lombardo e un politico napoletano di scuole molto diverse, uniti dal progetto europeista e da una cultura non incline all’uso fazioso e violento delle istituzioni repubblicane. Hanno visto in loro, nel loro comportamento, nel significato delle loro scelte, una critica della campagna di guerra etica neopuritana che conducono e che è affine agli esiti peggiori dell’antisistema, una critica tanto più radicale quanto più asciutta e dislocata sul crinale della salvezza nazionale e della pacificazione civile. Monti è un cattolico e ha studiato dai gesuiti, Napolitano è un postcomunista e ha studiato con Togliatti, un piemontese sì, ma che considerava pagliacci tutti coloro che berciano la morale a detrimento della morale della politica: vuoi vedere che sotto questa guerra culturale devastante c’è il colpo di coda di una combriccola codina, ammantata di laicismo e di interventismo eticheggiante, un tentativo di salvare l’Ego collettivo di un gruppo di “pensiero e azione” che ha sempre aspirato a trasformarsi in classe dirigente ma, nell’Italia di De Gasperi (quello vero), del Pci e del socialismo riformista non ha mai avuto lo spazio per farlo?

    C’è anche altro, naturalmente. Non parlo del banale, dei solipsismi che generano estremismo parolaio, del giurisdizionalismo che esclude e danna mediazione e compromesso con “l’umiltà del male”, come direbbe Franco Cassano, nel nome sacro della purezza delle élite e del loro diritto a prevalere nella veste degli ottimati, dei destinati. Parlo dell’impersonale crescita delle rivoluzioni su sé stesse: Augustin Cochin, storico conservatore della Rivoluzione francese, spiegò nei dettagli che le rotture radicali generano forze anonime, fuori da ogni possibile controllo e capaci di alimentare il furore sacro che le ha motivate, giusto o sbagliato che esso fosse all’origine, nella forma di una persistente violenza culturale, ideologica. Gustavo Zagrebelsky non è Saint-Just, questo è chiaro dai tempi della parodia del Palasharp; e da come scrive i suoi memoriali palermitani si dubita che il banale e sentimentale, l’egoriferito dottore Ingroia, abbia mai letto testi storici sensati. Ma la rivoluzione delle manette questi furori sacri li porta nel cielo dell’odio da cui non riescono mai più a discendere. E’ così che si accendono i roghi. Conso? Bruciamolo. Mancino? Bruciamolo. Mori? Bruciamolo. E se Monti e Napolitano non vogliono, se pensano che coesione e salvezza valgano di più, bruciamo anche loro.

    *Nei tabloid americani, Prez sta per President

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.