Che ci fanno le tv nei piani salva-giornali degli editori americani

Federico Sarica

E poi venne la settimana in cui i giornali decisero di mostrare al mondo quel che negli osservatori privilegiati delle redazioni si prefigura da qualche tempo, e cioè che gran parte del loro futuro se lo giocano probabilmente nel campo dei contenuti video e per questo, i giornali,  sono pronti a dedicare una fetta rilevante delle energie per costruire canali televisivi online che portino i loro autorevoli brand editoriali in bella vista sugli schermi dei nostri laptop, tablet e smartphone.

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    Milano. E poi venne la settimana in cui i giornali decisero di mostrare al mondo quel che negli osservatori privilegiati delle redazioni si prefigura da qualche tempo, e cioè che gran parte del loro futuro se lo giocano probabilmente nel campo dei contenuti video e per questo, i giornali,  sono pronti a dedicare una fetta rilevante delle energie per costruire canali televisivi online che portino i loro autorevoli brand editoriali in bella vista sugli schermi dei nostri laptop, tablet e smartphone. Dove pare non si faccia altro che guardare film, serie tv, documentari, videoclip (questo dicono le statistiche). E notizie, sperano gli editori alla vigilia di questo ennesimo tentativo da parte dell’industria dei media di rincorrere le abitudini in movimento dei propri lettori.

    Proprio i lettori, o spettatori a questo punto, sono stati i protagonisti assoluti delle parole con cui lunedì scorso una sorniona Arianna Huffington e un raggiante Roy Sekoff, suo braccio destro e presidente del neonato canale televisivo, hanno inaugurato le trasmissioni di HuffPost Live, le cui dodici ore di diretta streaming online al giorno dovrebbero rappresentare l’inizio dell’ennesima rivoluzione targata Huffington.
    “Vogliamo fare con la tv quello che abbiamo fatto coi giornali: cambiare completamente il modo di fruire notizie e contenuti. L’informazione non è più un monologo, è un dialogo di cui voi sarete sempre più protagonisti”, hanno ribadito con lo sguardo fisso in camera Huffington e Sekoff dal divano di pelle del nuovo studio di New York, arredato con tanto di tappeto a evidenziarne la dimensione salottiera, e con l’immancabile redazione al lavoro sullo sfondo per restituire subito quell’atmosfera di partecipazione dietro le quinte che nei piani di Huffington dovrebbe essere uno dei punti di forza del canale. Perché se non mancano i presentatori giovani, carini e determinati, il piatto forte di HuffPost Live è senz’altro la cosiddetta green room, la metà di destra dell’homepage attraverso la quale i lettori-spettatori possono dare un occhio alla programmazione, ai temi e agli ospiti e decidere se iscriversi per commentare, twittare o addirittura partecipare live via webcam alla trasmissione. E’ il trionfo delle dinamiche social, del commento che si fa tridimensionale, della possibilità di raggiungere ad esempio, come successo lunedì, Arianna Huffington in persona e Abby Huntsman – sì lei, una delle figlie del politico repubblicano Jon e volto di punta della neonata tv – in un’accesa meta-discussione sulla dipendenza da connessione, croce e delizia delle signorissime 2.0. Una macchinazione potenzialmente perfetta per i tempi che stiamo vivendo che corre però il rischio, passato l’effetto novità, di sacrificare la natura vincente del sito, quella di fornire un mix continuo di news, gossip e costume, a favore della voglia di essere così interattivi che più interattivi non si può: “I lettori che cercano il racconto video degli articoli di Huffington Post lo troveranno, ma non è la caratteristica principale di HuffPost Live che, nel tentativo di essere ‘webbier’ (ancora più web), ha puntato invece tutto sull’interazione, la quale rischia di distrarre”, ha commentato Rebecca Greenfield sul sito del mensile Atlantic.

    Huffington a parte, è un dato di fatto che tutti i grandi giornali già da un po’ abbiano iniziato a dedicare crescente spazio ai contenuti video, da Politico a Daily Beast, da Reuters a Wall Street Journal e New York Times per citare i più noti. Proprio il Nyt, martedì sera, ha annunciato il nome del suo nuovo chief executive: è l’inglese Mark Thompson, ex direttore generale della Bbc, giornalista e professionista autorevole e stimato ma soprattutto grande esperto di meccanismi televisivi e vero e proprio intestatario della rivoluzione digitale che negli otto anni della sua gestione ha ridato spolvero al broadcaster pubblico britannico. Un uomo di televisione, anzi della televisione per eccellenza, con un know-how tecnologico invidiabile alla guida del più celebre giornale del mondo. Una coincidenza? Per niente: “Abbiamo i migliori professionisti della carta stampata e i migliori in campo pubblicitario. Ma il nostro futuro sono i video, i social media, la tecnologia mobile”, ha dichiarato l’editore Sulzberger nel motivare la nomina del nuovo Ceo. Come riportato dal New York Times stesso nel blog Media Decoder, qualcuno solleva dei dubbi sulla scelta di Thompson, come l’analista Craig Huber il quale afferma che “il New York Times deve confrontarsi tutti i giorni con abbonati e inserzionisti pubblicitari, la Bbc no”; altri, come Robert Andrews su PaidContent, mettono invece in risalto le capacità gestionali in periodi di tagli dimostrate dall’inglese. Thompson o non Thompson, è innegabile e naturale che gli occhi siano ora puntati sul modello di business. Molti interrogativi circolano ancora sulla tenuta economica di un canale streaming dal vivo, visto che il consumo video online è sì in crescita, ma soprattutto per quel che riguarda il mercato on demand, ovvero guardo cosa voglio e soprattutto quando voglio io. Non è un caso che Sekoff nel presentare HuffPost Live si sia precipitato a sottolineare la possibilità di rivedere tutti i contenuti in qualsiasi momento. Pare che in questo stia giocando un ruolo essenziale anche il duo Google-YouTube, molto propenso a stabilire partnership e fornire supporto a tutti i media che in qualche modo contribuissero a evolvere i propri lettori in potenziali fruitori di video on demand. Indizio: con lo studio di HuffPost Live ci si collega via webcam esclusivamente tramite il servizio Hangouts di Google.
    Insomma, la via pare segnata a patto però che si riesca a trovare un equilibrio fra l’orgia social e interattiva e la riproposizione statica di vecchi modelli. Chiosa Greenfield sull’Atlantic: “HuffPost Live potrebbe funzionare fra chi ama tenere un contenuto video come sottofondo – però questo non lo distinguerebbe dal resto di internet e delle tv – mentre naviga alla ricerca di approfondimenti su quella determinata storia”. Già le storie, sempre che resti qualcuno a scriverne una.

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