Il maggiordomo del Papa rubava per lo Spirito, ma aveva “amici” interessati

Paolo Rodari

Ha rubato le carte dall’appartamento di Benedetto XVI da solo. E aiutato da altre persone, che secondo quanto appreso dal Foglio sono tutte alle dipendenze del Vaticano (la Santa Sede non ha resi noti i loro nomi), interni insomma, laici delle terze e delle quarte file, bassa manovalanza insomma, le ha diffuse esternamente perché venissero rese pubbliche. Le ha date in particolare a Gianluigi Nuzzi, il giornalista di Libero che poi le ha inserite nel libro “Sua Santità” edito da Chiarelettere.

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    Ha rubato le carte dall’appartamento di Benedetto XVI da solo. E aiutato da altre persone, che secondo quanto appreso dal Foglio sono tutte alle dipendenze del Vaticano (la Santa Sede non ha resi noti i loro nomi), interni insomma, laici delle terze e delle quarte file, bassa manovalanza insomma, le ha diffuse esternamente perché venissero rese pubbliche. Le ha date in particolare a Gianluigi Nuzzi, il giornalista di Libero che poi le ha inserite nel libro “Sua Santità” edito da Chiarelettere. Lo scopo era forse guadagnare, lucrare alle spalle del Papa, dicendo però a tutti il contrario, e cioè di sentirsi in Vaticano “un infiltrato dello Spirito Santo”, uno che doveva agire in questo modo non per proprio tornaconto ma per salvare Papa Ratzinger dai suoi nemici. Da chi esattamente? Nella sua mente, che secondo due perizie psichiatriche svolte dalla Santa Sede risulta fortemente “suggestionabile”, probabilmente anzitutto dai primi collaboratori del Papa: il segretario di stato vaticano Tarcisio Bertone e il suo segretario particolare, Georg Gänswein, colpevoli a suo avviso di non proteggere a dovere il Papa, di non saperlo sostenere e di non saper interpretare come sarebbe stato doveroso il suo illuminato pontificato. E’ quanto si evince, in maniera oggettivamente sorprendente, dal testo integrale della requisitoria resa nota ieri e che ha portato il Vaticano a rinviare a giudizio l’ex maggiordomo del Papa, Paolo Gabriele (46 anni), il quale, indagato appunto per il furto dei documenti privati del Pontefice, verrà processato con ogni probabilità il prossimo autunno.

    Non di tutte le persone implicate a vario titolo nell’inchiesta il Vaticano ha voluto indicare l’identità. C’è la volontà, infatti, di verificare ulteriormente chi e come ha aiutato Gabriele, quali altri “amici”, anche esterni alla Santa Sede, l’abbiano supportato. E quanti di questi siano semplicemente suoi amici, e quanti invece siano anche suoi complici. Ma di uno si conoscono le generalità. Si tratta di Claudio Sciarpelletti, un tecnico informatico che lavora in segreteria di stato e che ha dato versioni contrastanti circa una busta contenente documenti riguardanti indagini della gendarmeria. Oltre a lui si parla di un autista, anch’egli dipendente vaticano, e di altre persone di analogo livello.

    Se il Vaticano ha disposto le perizie psichiatriche su Gabriele significa che ha dubitato della sua sanità mentale. Del resto il dubbio era legittimo. Gabriele ha detto di aver rubato i documenti “spinto da diverse ragioni”. “Ritenevo – ha infatti detto – che il sommo Pontefice non fosse correttamente informato. Vedendo male e corruzione nella chiesa ero sicuro che uno shock, anche mediatico, avrebbe potuto essere salutare per riportare la chiesa all’interno del suo giusto binario… In qualche modo pensavo che nella chiesa questo ruolo fosse proprio dello Spirito Santo, di cui mi sentivo in certa maniera infiltrato”. Un unto incaricato di svolgere una missione per la salvezza della chiesa, dunque, un “infiltrato dello Spirito” che sceglie Nuzzi perché, a differenza di altri giornalisti, gli sembra essere “persona preoccupata di dare informazione senza gettare fango e senza calunniare altre persone”.

    Gabriele sostiene di non aver voluto agire per soldi. Nella sua abitazione però è stato trovato un assegno di centomila euro intestato al Papa, datato 26 marzo 2011, proveniente dall’Università Cattolica San Antonio di Guadalupe. L’assegno non è trasferibile, difficile sapere come avrebbe potuto cambiarlo. E ancora, sono state trovate una pepita d’oro e un’edizione cinquecentina dell’Eneide del 1581.

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