APPELLO GAY DEL FOGLIO

Giuliano Ferrara

Questo è un appello gay. Gli omosessuali non meritano nella bella e intelligente Italia cattolica di essere oggetto e soggetto di un inganno ideologico. Le persone serie, e il nostro amico Adriano Sofri è il primo della lista non molto affollata, devono smettere di dire e scrivere che le nozze gay sono una questione di diritto eguale. Devono, a nostro modesto parere, finirla di alterare la realtà delle cose con l'abuso di un feticcio pseudo universalistico.

    Questo è un appello gay. Gli omosessuali non meritano nella bella e intelligente Italia cattolica di essere oggetto e soggetto di un inganno ideologico. Le persone serie, e il nostro amico Adriano Sofri è il primo della lista non molto affollata, devono smettere di dire e scrivere che le nozze gay sono una questione di diritto eguale. Devono, a nostro modesto parere, finirla di alterare la realtà delle cose con l’abuso di un feticcio pseudo universalistico. Devono, a nostro sommesso avviso, riconoscere che quando si parli di matrimonio tra maschio e maschio, o tra femmina e femmina, di altro si tratta che non di un’equiparazione di diritto valida per tutti, en citoyen. E’ l’errore o il peccato, tra i tanti, commesso da Zapatero in Spagna, quando in nome della modernizzazione laica della nazione retriva e cattofranchista, in un contesto rivelatosi un tantino avventurista di movida generale, stabilì che l’estensione del matrimonio tradizionale ai gay era un fatto di giustizia e di codice civile, tutti hanno diritto allo stesso trattamento in materia coniugale. Adriano e gli altri devono riconoscere, a nostro fallibile parere, che si tratta di una gran cazzata.

    (Ovviamente non è rilevante per noi la questione del Partito democratico, delle sue divisioni e di altre contraddizioni in seno al popolo di sinistra. Il nostro giudizio sulla riedizione dell’Unione, luogo ambizioso e malfamato di non governo, già sperimentato con danni, è dato di fatto troppo evidente perché vi si debba strumentalmente aggiungere il dissenso non padroneggiato su una cosa molto importante, che travalica il chiasso dell’imminente campagna elettorale. A proposito: un saluto affettuoso a Rosy Bindi la cui nota aggressività trasuda una conoscenza dell’amore che Beppe Grillo, con il suo linguaggio da puttaniere di provincia, se la sogna).

    Non perdo tempo a spiegare l’ovvio. Che per ragioni di eguaglianza giuridica di fronte alla legge si debba cambiare la natura tradizionale del matrimonio, una promessa di fedeltà e di amore tra uomo e donna in vista dell’educazione di eventuali figli generati, è cosa che fa imbizzarrire e adirare il più sereno e piano degli intelletti morali. Semplicemente non è vero, non può essere vero, e per ragioni così ovvie di differenza naturale tra l’una e l’altra esperienza d’amore e di convivenza che è perfino imbarazzante ricordarle nero su bianco. Diritti civili di una coppia che si definisce e si certifica per tale, quale che sia il sesso dei contraenti, sì, ovviamente (e con le cautele della legge eguale). Con scrittura privata registrata e validata pubblicamente, sì, ovviamente. Ma il matrimonio non c’entra, né come sacramento cristiano più o meno secolarizzato né come unione civile religiosamente benedetta nell’islam, né in alcuna altra forma della tradizione riverita e accettata per millenni.

    Onestà e coraggio, forse anche decenza intellettuale, vogliono che si dica la verità. La verità è che si può desiderare la distruzione del matrimonio e della famiglia, una operazione già in parte riuscita con il divorzio e l’aborto e altri trucchi di confessionalismo pansessualista nati nella rivoluzione dei costumi e delle menti sprigionata dagli anni Sessanta. Non è vietato pensare che il matrimonio sia un’istituzione oppressiva nella sua forma data e circoscritta. O che la famiglia meriti di essere sostituita da forme comunitarie diverse dalla sua storica identità. Fino a prima delle nozze gay si è rivendicata la validità del matrimonio civile come derivazione sacramentale e culturale del matrimonio religioso, espressa magari in un diritto di famiglia moderno e compatibile con l’autonomia e la parità della donna, fino a ieri negata da un’impostazione patriarcale della famiglia. Ma il superamento ideologico e radicale di un segnacolo di civiltà educativa, questo ambizioso obliterare la testimonianza anche letteraria di una lingua dei sentimenti e della convivenza e della trasmissione di cultura educativa e della politica (sì, il matrimonio è anche un fatto politico) ha da essere dichiarata, motivata, argomentata in ogni dettaglio. E’ una proposta rivoluzionaria, che soltanto una sciatteria pragmatica sempre ingannevole induce a mascherare sotto le mentite spoglie di una nuova, grande e moderna conquista illuminista, da ascrivere alla superiorità delle culture protestanti anglosassoni, che l’hanno generata e propagata.

    Non crediate di essere progressisti, tra l’altro. Anche Dick Cheney, quello del waterboarding e di Guantanamo, un uomo di stato che noi rispettiamo per la funzione decisiva che ha svolto nella guerra contro i nemici dell’occidente, è dalla vostra parte. Ha una figlia lesbica, conosce da vicino teneramente le gioie di una passione e di una civile unione vissuta con consapevolezza adulta, dunque passa le linee e abbraccia le nozze gay. Lo fanno anche i libertari liberisti che privatizzerebbero anche il Papa. Noi rispettiamo chiunque sia omosessuale o si comporti da omosessuale e abbia voglia con sincerità di fissare legalmente in un matrimonio eguale la sua insindacabile diversità. Rispettiamo anche una donna che non ce la fa a generare il figlio o la figlia che ha concepito. Siamo il partito di Paola Bonzi, non di mastro Titta. Ma siamo irrevocabilmente contro l’aborto e la sordità morale che lo circonda, contro il matrimonio gay e la chiacchiera fintamente immoralistica, se non teneramente eticheggiante, che lo circonfonde.

    Le varie commissioni e chi si assuma felicemente e liberamente la responsabilità della proposta ci spieghino, democratici o no, le ragioni vere. Paola Concia può rivendicare bensì il matrimonio come un diritto accettato in altri paesi e negato agli omosessuali italiani, ma ha il dovere della sincerità, può dire che lei e Riccarda sono la stessa cosa di Romeo e Giulietta, ma non l’identico di Maria e Giuseppe Rossi, coniugati. La conseguenza dell’amore non può essere, a meno che non la si teorizzi con una rivoluzione ciudadana alla Zapatero o alla Almodóvar, però con il gusto di una vera e santa polemica ideologica, non di una feticistica reductio ad unum del diritto eguale, la fine nel disdoro della menzogna di quel che resta del matrimonio. Fatevi avanti, voi che lavorate di sguincio.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.