Il pupo ha molta energia

Giuliano Ferrara

Un pupone di settantacinque anni, che avrebbe ogni convenienza personale a far valere in via indiretta la sua influenza di straricco, di figura ormai storica della vita pubblica italiana e internazionale, di idolo per nemici e amici, decide di riprovarci, a quanto pare. Guarda i sondaggi, valuta le bozze della legge elettorale, dà un’occhiata allo spread che non si abbassa nonostante si sia fatto da parte, osserva le mosse del fronte a lui arciavverso, pensa al profitto e alla perdita di una nuova galoppata anacronistica nel casino italiano (Berlusconi sa dell’esistenza del tempo, e non si è mai tanto stupidi come quando si sottovaluta la sua intelligenza).

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    Un pupone di settantacinque anni, che avrebbe ogni convenienza personale a far valere in via indiretta la sua influenza di straricco, di figura ormai storica della vita pubblica italiana e internazionale, di idolo per nemici e amici, decide di riprovarci, a quanto pare. Guarda i sondaggi, valuta le bozze della legge elettorale, dà un’occhiata allo spread che non si abbassa nonostante si sia fatto da parte, osserva le mosse del fronte a lui arciavverso, pensa al profitto e alla perdita di una nuova galoppata anacronistica nel casino italiano (Berlusconi sa dell’esistenza del tempo, e non si è mai tanto stupidi come quando si sottovaluta la sua intelligenza), immagina la fatica, la rottura di scatole, la definizione delle liste dei candidati, i dinieghi necessari e lancinanti, il riuso dei processi che riciclano ai suoi danni con enfasi la vecchia solfa guardonistica e onanistica di una classe mediatica da sballo intellettuale e morale; forse pensa anche a qualche occasione di salute, divertimento, misura, distanza, che certamente perderebbe nella nuova ultima o penultima pugna, ma poi non si ritrova nella figura dell’elder statesman e del sagace manovratore degli altri, lui che telefona personalmente in Questura per chiedere gentilmente che non stiano lì ad accanirsi su una sua amichetta nipote probabile di Mubarak: alla fine, tutto considerato, vince il fire in the belly, il fuoco nella pancia, la passione di esserci sempre, al momento giusto nel 1994 e in un momento che più assurdo non si può, il 2013. Il Cav. ha più personalità e follia egotista di tutti coloro che lo hanno preceduto nel gioco del potere in Italia, ragiona e fa le cose alla garibaldina, anzi, perfino Garibaldi era un mostro di ordine e temperanza al suo confronto. E’ dimagrito, si piace di nuovo un pochettino o un pochettino tanto, si annuncia battaglia, una parte del paese gli continua a volere bene, e allora meglio dentro che fuori, ancora due calcoli e via.

    Qui comincia la parte noiosa del pezzo che state leggendo, quella politica, che come sempre è quasi inutile quando si parli di questo roi soleil dopo di lui il diluvio e lo stato sono io. Dovesse fare il masaniello, sarebbe la ripetizione di una vecchia storia, con esiti possibili di farsa. Dovesse invece raccogliere l’offerta civile e culturale che si è costruito con le sue mani dando il via al governo Monti e rinunciando a chiedere le elezioni nel novembre scorso, la faccenda si farebbe parecchio interessante. Nella drammaturgia dello spauracchio, essenza dell’antiberlusconismo da commedia all’italiana, non è previsto il ruolo di una persona seria, che rivendica di non aver “rovinato il paese”, come dicono i temerari sacerdoti dello spread che non cala, di avere invece contribuito a dare una mano in un momento difficile liberando la scena di sé e contemporaneamente dei suoi nemici ideologici. Non è previsto un megalomane o un mitomane che mostra un forte senso della realtà, che promuove un listone della responsabilità nazionale, che gioca a staffetta con tecnocrati e professori invisi ai manettari e trattati con nevrosi bipolare dal gruppo Espresso di Carlo De Benedetti. Non è previsto un tizio capace di tornare alle origini, di fare discorsi di economia che si capiscono anche al mercato, di sorridere delle critiche anche le più basse e micragnose con mitezza e “mi consenta”, di corrispondere ai difetti notori del paese alle vongole ma con un’aria da businessman che si è fatto da solo e alla fine ha capito che anche i poteri forti hanno un’anima, che la politica non è una scienza esatta ma nemmeno una prassi priva di un suo ordine e significato. Nel copione della crisi e dell’emergenza non è previsto un ritorno a sorpresa, non vendicativo, non gridato, affabile e costruttivo. Ecco, se la parte è quella non prevista di cui abbiamo tutti bisogno, bentornato a un vecchio amico.

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    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.