Il pupo ha molta energia
Un pupone di settantacinque anni, che avrebbe ogni convenienza personale a far valere in via indiretta la sua influenza di straricco, di figura ormai storica della vita pubblica italiana e internazionale, di idolo per nemici e amici, decide di riprovarci, a quanto pare. Guarda i sondaggi, valuta le bozze della legge elettorale, dà un’occhiata allo spread che non si abbassa nonostante si sia fatto da parte, osserva le mosse del fronte a lui arciavverso, pensa al profitto e alla perdita di una nuova galoppata anacronistica nel casino italiano (Berlusconi sa dell’esistenza del tempo, e non si è mai tanto stupidi come quando si sottovaluta la sua intelligenza).
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Un pupone di settantacinque anni, che avrebbe ogni convenienza personale a far valere in via indiretta la sua influenza di straricco, di figura ormai storica della vita pubblica italiana e internazionale, di idolo per nemici e amici, decide di riprovarci, a quanto pare. Guarda i sondaggi, valuta le bozze della legge elettorale, dà un’occhiata allo spread che non si abbassa nonostante si sia fatto da parte, osserva le mosse del fronte a lui arciavverso, pensa al profitto e alla perdita di una nuova galoppata anacronistica nel casino italiano (Berlusconi sa dell’esistenza del tempo, e non si è mai tanto stupidi come quando si sottovaluta la sua intelligenza), immagina la fatica, la rottura di scatole, la definizione delle liste dei candidati, i dinieghi necessari e lancinanti, il riuso dei processi che riciclano ai suoi danni con enfasi la vecchia solfa guardonistica e onanistica di una classe mediatica da sballo intellettuale e morale; forse pensa anche a qualche occasione di salute, divertimento, misura, distanza, che certamente perderebbe nella nuova ultima o penultima pugna, ma poi non si ritrova nella figura dell’elder statesman e del sagace manovratore degli altri, lui che telefona personalmente in Questura per chiedere gentilmente che non stiano lì ad accanirsi su una sua amichetta nipote probabile di Mubarak: alla fine, tutto considerato, vince il fire in the belly, il fuoco nella pancia, la passione di esserci sempre, al momento giusto nel 1994 e in un momento che più assurdo non si può, il 2013. Il Cav. ha più personalità e follia egotista di tutti coloro che lo hanno preceduto nel gioco del potere in Italia, ragiona e fa le cose alla garibaldina, anzi, perfino Garibaldi era un mostro di ordine e temperanza al suo confronto. E’ dimagrito, si piace di nuovo un pochettino o un pochettino tanto, si annuncia battaglia, una parte del paese gli continua a volere bene, e allora meglio dentro che fuori, ancora due calcoli e via.
Qui comincia la parte noiosa del pezzo che state leggendo, quella politica, che come sempre è quasi inutile quando si parli di questo roi soleil dopo di lui il diluvio e lo stato sono io. Dovesse fare il masaniello, sarebbe la ripetizione di una vecchia storia, con esiti possibili di farsa. Dovesse invece raccogliere l’offerta civile e culturale che si è costruito con le sue mani dando il via al governo Monti e rinunciando a chiedere le elezioni nel novembre scorso, la faccenda si farebbe parecchio interessante. Nella drammaturgia dello spauracchio, essenza dell’antiberlusconismo da commedia all’italiana, non è previsto il ruolo di una persona seria, che rivendica di non aver “rovinato il paese”, come dicono i temerari sacerdoti dello spread che non cala, di avere invece contribuito a dare una mano in un momento difficile liberando la scena di sé e contemporaneamente dei suoi nemici ideologici. Non è previsto un megalomane o un mitomane che mostra un forte senso della realtà, che promuove un listone della responsabilità nazionale, che gioca a staffetta con tecnocrati e professori invisi ai manettari e trattati con nevrosi bipolare dal gruppo Espresso di Carlo De Benedetti. Non è previsto un tizio capace di tornare alle origini, di fare discorsi di economia che si capiscono anche al mercato, di sorridere delle critiche anche le più basse e micragnose con mitezza e “mi consenta”, di corrispondere ai difetti notori del paese alle vongole ma con un’aria da businessman che si è fatto da solo e alla fine ha capito che anche i poteri forti hanno un’anima, che la politica non è una scienza esatta ma nemmeno una prassi priva di un suo ordine e significato. Nel copione della crisi e dell’emergenza non è previsto un ritorno a sorpresa, non vendicativo, non gridato, affabile e costruttivo. Ecco, se la parte è quella non prevista di cui abbiamo tutti bisogno, bentornato a un vecchio amico.
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