Mary McCarthy, il genio dell'impudenza e “gli uomini della sua vita”

Annalena Benini

Secondo Alberto Arbasino, Mary McCarthy rimarrà per sempre il prototipo top della Donna Brillante. Quella che disse a Edmund Wilson, suo secondo marito, critico letterario e scrittore americano, padre del suo unico figlio: “Visto che mi hai portata a letto, non posso che sposarti”, e continuò a ripetere, fino alla fine, di non averlo mai amato.

    Secondo Alberto Arbasino, Mary McCarthy rimarrà per sempre il prototipo top della Donna Brillante. Quella che disse a Edmund Wilson, suo secondo marito, critico letterario e scrittore americano, padre del suo unico figlio: “Visto che mi hai portata a letto, non posso che sposarti”, e continuò a ripetere, fino alla fine, di non averlo mai amato. Quella che rispose: “Madame Bovary” alla domanda su quale romanzo avesse saputo raccontare meglio la donna americana moderna, e definì Simone de Beauvoir “odiosa, una mente completamente borghese rovesciata”. Cercava la sua identità, quindi scriveva principalmente di sé, ed è stata l’eroina (spesso negativa) di quasi tutte le sue storie. In questo primo libro, ripubblicato adesso da minimum fax ma uscito nel 1942, quando aveva trent’anni, era giovane, “molto bella, molto elegante, molto tranchante” (Arbasino), Mary McCarthy fa letteratura di se stessa, si prende in giro, rivela ogni meschineria, ogni vanità, debolezza e cliché. Si regala senza rimpianti e senza pudore a quelli che vogliono sapere chi era il marito cornuto, l’amante grassoccio, il padrone di casa ottuso e vagamente ermafrodito, sa già che una donna non può scrivere nulla senza che le venga chiesto: sei tu quella? Puntava sulla scoperta dell’io, ma soprattutto scriveva un romanzo, con protagonista una ragazza di impudenza bohémien di nome Meg, diplomata al Vassar (come lei, come le ragazze de “Il Gruppo”), disinibita ma con il ricordo terribile della zia cattolica che le voleva lavare i peccati dell’anima, divorziata, cocciuta, orgogliosa, trotzkista, capace di passare la notte nello scompartimento del treno di un uomo sposato e volgarotto, e cercare di fuggirne la mattina dopo senza nemmeno più le calze, ma poi cedere al bisogno continuo di qualcosa di eccitante e romantico, di un successo anche vacuo (“non era difficile, dopo tutto, essere la ragazza più carina a un ricevimento tra mezzadri”).

    “The company she keeps”, che è diventato “Gli uomini della sua vita” (la prefazione è di Guia Soncini), è feroce con tutti: l’intellettuale, l’analista, l’amante, il marito, l’imbroglione, l’anfitrione deferente, adulatorio, ansioso di soddisfare gli ospiti, l’uomo con la camicia Brooks Brothers che regala biancheria da glamour girl. Ma soprattutto non perdona nulla, nemmeno un tacco smangiato, un disamore, la prospettiva di una costoletta d’agnello cucinata in solitudine, a Meg. “Se gli avesse lasciato pensare di essere disposta ad andare a letto con lui sarebbe rimasto sul treno e avrebbe buttato a mare la conferenza”, ogni pensiero vanitoso, ogni considerazione frivola, ogni banale autoindulgenza (lei si sente caritatevole per avere passato la notte con un uomo di un livello intellettuale inferiore al suo, pensa di avergli illuminato la vita e comunque è abbastanza tranquilla per via della camicia Brooks Brothers di lui, di ottima stoffa) viene riportata senza pietà. Cercava la verità, ha detto Mary McCarthy alla Paris Review nel 1961, voleva ricreare l’accaduto, ha spiegato senza fronzoli, senza misteri. “Cambiavo un poco i nomi e le città”. Dice che ha provato a scrivere gialli, ma era completamente disinteressata agli assassini (“manca il cadavere!”). La società su cui ha lasciato il segno del suo graffio chic è composta principalmente da lei stessa, gli uomini sono quelli che l’hanno amata, o abbandonata, o entrambe le cose, le cene sono quelle in cui Mary McCarthy ha dato scandalo. Per potere, subito dopo, correre a scriverne.

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.