Il caso Ingroia-Napolitano

Giuliano Ferrara

Il numero due della procura di Palermo lavora per cacciare il presidente della Repubblica o quanto meno per fare di lui un’anatra zoppa. E’ un giudizio politico, il mio, su un attore politico da comizio che si muove con disinvoltura personale sulla scena pubblica. Un attore con un suo sistema di alleanze (e di inimicizie, beninteso) nel sistema dei media in primo luogo (con Repubblica e il Fatto alla crociata, e tutta una band televisiva ai suoi piedi). Anche poi nella magistratura fortemente divisa sul suo operato, con la procura di Caltanissetta che lo critica pubblicamente in relazione alla disattenzione con cui ha avallato una serie lunga di calunnie di Massimo Ciancimino, pataccaro e “icona dell’antimafia” a dire del pm.

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    Il numero due della procura di Palermo lavora per cacciare il presidente della Repubblica o quanto meno per fare di lui un’anatra zoppa. E’ un giudizio politico, il mio, su un attore politico da comizio che si muove con disinvoltura personale sulla scena pubblica. Un attore con un suo sistema di alleanze (e di inimicizie, beninteso) nel sistema dei media in primo luogo (con Repubblica e il Fatto alla crociata, e tutta una band televisiva ai suoi piedi). Anche poi nella magistratura fortemente divisa sul suo operato, con la procura di Caltanissetta che lo critica pubblicamente in relazione alla disattenzione con cui ha avallato una serie lunga di calunnie di Massimo Ciancimino, pataccaro e “icona dell’antimafia” a dire del pm. Nell’alta burocrazia quirinalizia investita dalle intercettazioni velenosamente circolanti al momento giusto. E ovviamente nella politica che alterna in scena figurine delatorie come il Claudio Martelli dell’onore politico (da restituire al conto Protezione) e notabili-gentiluomini messi inquisitorialmente sulla difensiva perché accusati di tutto e di nulla in termini di sospetto come “anticamera della verità” e poi implicati, mediante origliamenti di testimoni degni dell’inquisizione spagnola, in una losca ricostruzione parastorica della nebbiosa “trattativa stato-mafia”. Senza dimenticare che gli imputati dei processi Ingroia sono alti ufficiali dei carabinieri che arrestarono Salvatore Riina e applicarono le tecniche investigative e di repressione che sono prerogativa, a livelli distinti, del potere giudiziario e del potere esecutivo, penetrando l’organizzazione criminale detta Cosa nostra e virtualmente distruggendola.

    Il numero due della procura palermitana può avere dei meriti, a tutti può capitare, ma ha alcuni demeriti, il principale dei quali è dimostrato dalle sue stesse parole: ha scritto ieri all’Unità, in polemica con il garantista Giovanni Pellegrino, che non vuole in realtà accertare l’esistenza di un reato penale a carico di uomini di stato, vuole bensì concorrere, sollecitando gli altri soggetti istituzionali a muoversi con strumenti delicati come i processi e le intercettazioni, al fine di accertare una verità storica che può anche avere, parole sue, profili etici ma non penali. Ma così ragionano i magistrati talebani che confondono il giudice e lo storico, e inevitabilmente la coda di questi ragionamenti è la distruzione delle personalità che si incontrano sul proprio cammino, dall’ex presidente del Senato e ministro dell’Interno Nicola Mancino all’ex titolare della Giustizia Giovanni Conso, e, perché no?, al capo dello stato in carica, subdolamente accusato di essersi mosso in modo non protocollare, quale capo del Consiglio superiore della magistratura, in risposta alle richieste di attenzione di uno dei testi implicati da Ingroia nelle indagini. Risultato: un magistrato che mette in opera una prassi tecnicamente eversiva del diritto, confondendola con la storia, vuole cacciare o invalidare un presidente custode della Costituzione. Il puparo di un pataccaro smascherato, invece di dimettersi lui o essere trasferito, finisce per rifilarci, con molte vili complicità, una nuova patacca.

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    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.