Zanardo alla Rai, idea “de genere”

Guido Vitiello

Non siamo una lobby, siamo molto di più. State sereni, non è lo slogan della nuova campagna di tesseramento del Venerabile, è il grido di battaglia con cui Marina Terragni ha annunciato sul suo blog il sostegno alla candidatura di Lorella Zanardo al cda Rai. La proposta è nata da un sondaggio tra i lettori di Articolo21 e di MoveOn Italia e rischia (non voglia il cielo) di trovare l’appoggio di Bersani.

    Non siamo una lobby, siamo molto di più. State sereni, non è lo slogan della nuova campagna di tesseramento del Venerabile, è il grido di battaglia con cui Marina Terragni ha annunciato sul suo blog il sostegno alla candidatura di Lorella Zanardo al cda Rai. La proposta è nata da un sondaggio tra i lettori di Articolo21 e di MoveOn Italia e rischia (non voglia il cielo) di trovare l’appoggio di Bersani, che ha scritto una lettera a quattro associazioni scelte secondo criteri imperscrutabili, tra le quali Se non ora quando, invitandole a suggerire candidature. Zanardo in Rai sarebbe, assicura Terragni, la donna giusta al posto giusto: sia culturalmente, per l’analisi svolta a partire dal documentario “Il corpo delle donne”, sia professionalmente, per i suoi trascorsi manageriali.

    Due parole sul merito: Zanardo è unfit. Culturalmente, “Il corpo delle donne” è un prodotto primitivo, un montaggio di vallette (come se in tv ci fossero solo quelle) con un commento che mescola un po’ di Lévinas letto male, un po’ di Pasolini letto tardi e un po’ di francofortismo rudimentale che nelle facoltà di Scienze della Comunicazione si insegna al capitolo: preistoria. Vi si sostiene, tra le altre cose, che è “dovere del cittadino rendere pubblica la propria faccia e non nasconderla come oggi consentono gli interventi chirurgici”, e varie altre tesi che stanno a metà tra il libello dell’abate Boileau contro l’abuso delle scollature (1677) e le disposizioni in materia di coito vigenti presso le Reducciónes gesuitiche del Paraguay. Come un pasticcio simile sia potuto diventare il manifesto di un nuovo femminismo è un mistero che si spiega solo con le tante reputazioni usurpate per meriti antiberlusconiani e con il buon cuore di Gad Lerner.

    Quanto alle competenze economico-manageriali, stiamo parlando di colei che sostenne al Palasharp che “è solo in Italia che l’economia liberista non ha trovato alcun ostacolo alla sua espansione” (sic).
    L’investitura da parte di Terragni – rilanciata da Loredana Lipperini, Giovanna Cosenza e altri – è stata accettata per senso del dovere dalla schiva Zanardo, commossa dalla candidatura voluta “dalla rete e dai territori”, due note e apprezzate entità immaginarie. Ma più del merito è interessante il metodo, anzi (dice Terragni) la “logica inaudita” dell’iniziativa: “Donna sostiene donna”. “Potrebbe essere la prova generale di un ‘format’ che a me piace molto: tutte che ci muoviamo per sostenere una. Non come una lobby, ma come molto di più, in una logica di patto di genere”. Sarà. Peccato che la lobby-che-non-è-una-lobby (ma è molto di più) abbia sperimentato finora solo il format “tutte che ci muoviamo per affossarne una”, in una logica di cappottone di genere. E’ stato quando un piccolo editore di Genova, il Melangolo, ha pubblicato il libro della filosofa Valeria Ottonelli, “La libertà delle donne. Contro il femminismo moralista”. Un titolo da pamphlet ma un piglio tutt’altro che sovreccitato da filosofa analitica che sostiene idee di femminismo liberale.
    Che il libro di Ottonelli non potesse piacere granché alle femministe accusate di moralismo – tra cui Zanardo e una parte di Se non ora quando – era nell’ordine delle cose. Ma come ci si comporta quando si ha davanti un libro che non piace? Temo che la mia risposta sia “gender-biased”: anche se non appartengo a nessun Männerbund e non ostento cicatrici da duello sulla guancia, il retaggio del codice cavalleresco mi dice che gli avversari si affrontano lealmente e a viso aperto. Oppure, signorilmente, li si ignora del tutto. La logica (inaudita) del “patto di genere”, immagino, implica quanto meno che se una donna cerca di far sentire la propria voce, cosa già così difficile in un pollaio di soli galli, la si debba incoraggiare in nome della sorellanza, salvo combatterne le tesi. Se non questo, cosa?

    E ora, una breve cronaca di come le esponenti più in vista della lobby-che-non-è-una-lobby (ma è molto di più) hanno accolto “La libertà delle donne”: Zanardo ha telefonato alla redazione del Melangolo e ha preso a urlare: “A me della libertà delle donne non me ne frega un cazzo!” (riferito, forse, al titolo), allegando altre effusioni che portano a riscoprire l’autentico volto del femminile. Del libro e dell’autrice, pubblicamente, non ha detto una parola. Terragni ha esortato l’ufficio stampa del Melangolo (una donna) ad andar via da quel covo di maschilisti e fascisti. Del libro e dell’autrice, pubblicamente, non ha detto una parola. Lipperini, più gruppettara e multimediale, ha diramato i suoi ordini di scuderia in un affannoso passaparola: ignorate quella gente, isolate i provocatori, non pensate all’elefante e soprattutto all’elefantessa. Del libro e dell’autrice, pubblicamente, non ha detto una parola. Per la cronaca: la lobby-che-non-è-una-lobby (ma a quanto pare è molto di meno) ha agito con geometrica impotenza, del libro si è parlato un po’ ovunque e le scuderie hanno fatto di testa loro.

    Ma ecco, sulla “logica inaudita” si può compiere qualche logica deduzione: il patto di genere non è un patto di genere, “per la contradizion che nol consente”, non foss’altro perché taglia fuori le donne con idee sgradite, preferendo tappar loro la bocca come farebbe un fallocrate qualunque. E il patto di genere non è un patto di genere perché il corpo (elettorale) delle donne non è stato scrutinato, e quel “tutte per una” è un’annessione abusiva, una finzione retorica perfino più marchiana della “rete” e dei “territori”. Ergo, il patto è degenere, e ha a che fare semmai con fazioni, cordate ideologico-editoriali, rendite di posizione, posticini al sole da difendere, private ambizioni politiche. No, loro non sono una lobby, e questa non è una pipa.