Conso, Mancino e il cancro di Palermo

Giuliano Ferrara

Anche Giovanni Conso, dopo Nicola Mancino, si è trovato ieri la testa nelle morse della gogna di Palermo. Il giurista Conso e il politico cattolico Mancino, nelle rispettive funzioni di ministro della Giustizia e dell’Interno, ricoperte agli inizi degli anni Novanta, sono indagati per il sospetto di una combine tra lo stato e la mafia, che sarebbe stata da loro avallata con atti, omissioni testimoniali e chissà cos’altro.

    Anche Giovanni Conso (foto a fianco), dopo Nicola Mancino (foto sotto), si è trovato ieri la testa nelle morse della gogna di Palermo. Il giurista Conso e il politico cattolico Mancino, nelle rispettive funzioni di ministro della Giustizia e dell’Interno, ricoperte agli inizi degli anni Novanta, sono indagati per il sospetto di una combine tra lo stato e la mafia, che sarebbe stata da loro avallata con atti, omissioni testimoniali e chissà cos’altro. Intorno allo stesso capo d’accusa ruota un processo che mette alla gogna altri galantuomini, sia pure di una schiatta investigativa e repressiva ovviamente meno legata alla forma procedurale, i capi dei reparti speciali dei carabinieri che arrestarono Salvatore Riina e comminarono alla mafia le peggiori sue sconfitte attraverso l’uso, necessariamente disinvolto, della categoria dei pentiti o collaboratori di giustizia, e altre informazioni da infiltrazione ambientale che sono il tipico prodotto del buon lavoro delle polizie.

    Perché diciamo: alla gogna? Perché è fumoso il capo di reato ipotizzato, al confine tra repressione della criminalità organizzata e politica criminale gestita dal potere esecutivo e dagli organi di polizia dello stato. E’ una storia mediatizzata malamente fin dall’inizio, uno dei cui protagonisti celebrato come “icona dell’antimafia” si è rivelato un pataccaro capace di calunnia contro quelli che considera i suoi nemici, e parliamo ovviamente di Massimo Ciancimino e delle sue spericolate performance mediatico-giudiziarie in tv e nei tribunali, con la vigile assistenza di una parte della procura di Palermo. Infatti il dosaggio politico del bastone e della carota al fine di procacciarsi vantaggi giudiziali e investigativi, il colloquio ad hoc con capi mafiosi arrestati, la discrezionalità nella conquista di nuovi livelli di penetrazione nell’organizzazione criminal-politica detta Cosa nostra, tutto questo è parte di una autonoma sfera di giudizio del potere esecutivo che la magistratura inquirente di Palermo vuole disconnettere e scompaginare come atto potenzialmente mafioso compiuto in soccorso a un’organizzazione di assassini. Il punto è sempre quello: magistrati ideologizzati e politicizzati, pm da comizio con le mani in tasca intendono riscrivere a modo loro la storia della Repubblica, anche contro le evidenze più assolute (la lotta alla mafia, i risultati e gli uomini che li hanno resi possibili), e vogliono farlo magari con un traguardo di protagonismo giudiziario e politico, accendendo fuochi mediatici capaci di rappresentare la nuova opera dei pupi siciliani nella forma utile alla bisogna. Questo si chiama gogna, processo surreale, distruzione di un patrimonio di credibilità delle istituzioni sull’altare di un’ambizione sbagliata: l’uso politico e storico della giustizia.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.