Della Valle story

Il bad boy del capitalismo dal ruvido cattivo carattere

Michele Arnese

Tutti lo cercano, nessuno lo vuole. Il bad boy del capitalismo italiano, Diego Della Valle, in questi mesi conosce uno strano destino. E’ il vessillifero delle innovazioni nei salotti buoni della finanza, e uno dei pochi con il business in grande spolvero, però i signori dei salotti di Mediobanca lo invitano a farsi da parte con tracotanza. A sorpresa, in gran dispitto, lui difende capi azienda contestati. L’ultimo caso, quello di Generali, è tipico.

    Tutti lo cercano, nessuno lo vuole. Il bad boy del capitalismo italiano, Diego Della Valle, in questi mesi conosce uno strano destino. E’ il vessillifero delle innovazioni nei salotti buoni della finanza, e uno dei pochi con il business in grande spolvero, però i signori dei salotti di Mediobanca lo invitano a farsi da parte con tracotanza. A sorpresa, in gran dispitto, lui difende capi azienda contestati. L’ultimo caso, quello di Generali, è tipico.
    Ieri il patron di Tod’s, nel giorno in cui Capital Research è salita al 5,029 per cento nel gruppo di moda, ha consegnato la lettera di dimissioni da consigliere del Leone di Trieste. Della Valle non ha condiviso forma e sostanza della sfiducia al capo azienda Giovanni Perissinotto. E pensare che lo stesso Della Valle, con gran giubilo di tanti a Trieste, fu il pirotecnico portavoce e battistrada del defenestramento di Cesare Geronzi dalla presidenza del colosso assicurativo. “Della Valle – dice al Foglio il saggista Giancarlo Galli – fa parte di quella schiera di industriali-produttori come Del Vecchio e Caltagirone che ormai riescono a influenzare le scelte di Mediobanca, che in passato era il dominus”. Ciò detto, Galli nota che il patron di Tod’s “spicca per un caratteraccio che non lo induce sempre a fare squadra”. Inoltre, nel caso di Generali, “Della Valle con tutta probabilità si è sentito scavalcato da Del Vecchio come avanguardia del rinnovamento”.

    Comunque, gelosie personalistiche a parte, le incursioni dell’imprenditore marchigiano non sempre hanno avuto i risultati da lui sperati. L’establishment si è arroccato.
    A ottobre scorso ad esempio, quando Della Valle era pronto ad aumentare la sua partecipazione in Mediobanca, il patron di Tod’s avanzò anche la propria candidatura nel consiglio. Spiacenti, fu la risposta, ma non ci sono posti liberi, nonostante le garanzie verbali di Alberto Nagel, ad di Mediobanca. Al posto di mister Tod’s, i vertici di Piazzetta Cuccia preferirono confermare Jonella Ligresti. L’industriale scrisse una lettera di dimissioni dal patto di Mediobanca.
    Qualche settimana dopo, il bis in Rcs. Della Valle, così come prevedeva il patto, chiese agli altri membri dell’accordo che governa Rizzoli il permesso di arrotondare la quota nel gruppo che pubblica tra l’altro il Corriere della Sera. Ma nelle stanze che furono di Luigi Albertini risuonò un altro no: stavolta di Giampiero Pesenti, decano dell’accordo. Non solo: i signori del patto escogitarono un modo cortese e indiretto per sbarazzarsi di Della Valle. D’ora in poi – stabilirono – i soci del patto (quindi non Giuseppe Rotelli) saranno rappresentati in cda da consiglieri indipendenti.

    “Il sistema non c’è, ci sono singoli affari”
    Insomma, la fortezza di Via Solferino si è rivelata inespugnabile per lo scalpitante imprenditore, vista la quota (il 58 per cento circa) in mano ai pattisti. Ma Della Valle sa che la truppa che prende ordini da “un impiegato” (il presidente di Mediobanca, Renato Pagliaro) e da un “ragazzino” (il presidente di Fiat, John Elkann) non ha intenzione di metter mano al portafogli. Idem in Generali, come ha svelato Perissinotto nella lettera ai consiglieri: il Leone ha necessità di ricapitalizzarsi ma Mediobanca non vuole sborsare denari, secondo Perissinotto, sostituito da Mario Greco senza scossoni ieri in Borsa. Ma tra Piazzetta Cuccia e Piazza Cordusio il sospetto è un altro: Perissinotto cercava di costruirsi un azionariato a sua immagine e somiglianza con la scusa di un aumento di capitale.
    “Ci sono tante ragioni per spiegare le brusche rotture di Della Valle da Mediobanca, Rcs e Generali: di potere, di politica, di finanza, di relazioni – dice Gianni Gambarotta, ex direttore del Mondo (Rcs) e di Finanza&Mercati – Ma c’è un’altra spiegazione che va considerata. A Della Valle piace litigare, dire e fare tutto quello che gli viene in mente. Bastava essere a Vicenza, all’assemblea degli industriali il 9 marzo 2006, e vederlo aggredire Silvio Berlusconi per capirlo. Oppure rileggere i ritagli di giornali: sono farina del suo sacco i giudizi sprezzanti su Antonio Fazio (“Stregone di Alvito”), sui Romiti (“Famiglia Addams”), su Cesare Geronzi e Giovanni Bazoli (“Arzilli vecchietti”). Mister Tod’s è fatto così. E può permetterselo”. Tanto che due giorni fa, a Giovanni Pons di Repubblica, così ha sintetizzato il nuovo corso: “Adesso non c’è più un sistema, che poteva essere rinnovato, ma alleanze che si formano a seconda dei singoli affari”.