I segreti del conflitto fra Nagel e Perissinotto sul futuro di Generali

Michele Arnese

Mario Greco al posto di Giovanni Perissinotto. E’ questo il piano per “destabilizzare la più grande istituzione finanziaria del paese”, ovvero Generali. La destabilizzazione è stata denunciata dall’ad del Leone, Perissinotto, in una lettera inviata ai consiglieri del gruppo assicurativo alla vigilia del cda di oggi. All’ordine del giorno della riunione c’è la destituzione di Perissinotto. E’ solo una questione personalistica? Non solo

    Mario Greco al posto di Giovanni Perissinotto. E’ questo il piano per “destabilizzare la più grande istituzione finanziaria del paese”, ovvero Generali. La destabilizzazione è stata denunciata dall’ad del Leone, Perissinotto, in una lettera inviata ai consiglieri del gruppo assicurativo alla vigilia del cda di oggi. All’ordine del giorno della riunione c’è la destituzione di Perissinotto. E’ solo una questione personalistica? Non solo. Certo, le critiche dei maggiori azionisti di Generali sono molteplici: il titolo è calato in Borsa nell’ultimo anno del 45 per cento, la redditività non è all’altezza dei maggiori concorrenti esteri, l’investimento in una banca russa e le joint venture con il finanziere ceco Petr Kellner non entusiasmano. Chiacchiere, secondo Perissinotto: il titolo casca non per “errori di gestione” ma per l’esposizione verso l’Italia. Le diversificazioni estere stentate? I nostri concorrenti, è la posizione dell’ad, “si sono giovati di ingenti immissioni di mezzi propri al contrario della nostra Compagnia”.

    Poi il dubbio di Perissinotto: Mediobanca mi vuole sfiduciare perché non solo non ho plaudito al piano di Unipol orchestrato da Mediobanca per il gruppo Ligresti, anzi ho “seri dubbi sulla visione strategica di questa operazione”, ma perché non ho ostacolato un socio indiretto a me vicino, Palladio, a partecipare all’operazione opposta a quella di Piazzetta Cuccia organizzata da Sator di Matteo Arpe. “Fonsai/Unipol non c’entra con la sfiducia a Perissinotto”, ha spiegato Leonardo Del Vecchio, terzo azionista del Leone: “Sono stato io insieme a Lorenzo Pellicioli a rappresentare a Mediobanca l’urgenza del cambiamento e Alberto Nagel ne ha convenuto”. “La mozione di sfiducia – ha aggiunto il patron di Luxottica – è motivata esclusivamente da fatti aziendali”. “Probabilmente – ha ribattuto a stretto giro Perissinotto – il dottor Del Vecchio ha, dalla sua residenza credo all’estero, una visione del nostro paese e della nostra Compagnia un po’ lontana dalla realtà. Il gruppo Generali è solido”.

    Ma la questione, notano gli osservatori, in verità non è personalistica né gestionale. E’ anche, e soprattutto, sistemica. O meglio di rapporti di forze. Piazzetta Cuccia con oltre il 13 per cento vuole conservare il legame con il Leone per trarne utili e potere attraverso partecipazioni e altro. Per questo, appena può, spadroneggia nei consigli e cambia presidenti e capi azienda. “Generali – si legge in un articolo del Financial Times – è stata a lungo il gioiello della corona nel portafoglio di Mediobanca e il tentativo dell’Istituto di esercitare la sua autorità sulla più grande Compagnia assicuratrice italiana è visto come un ritorno ai tempi in cui Mediobanca era potentissima nella finanza italiana”.

    Perissinotto, e paradossalmente anche Cesare Geronzi che pure fu defenestrato con un fattivo beneplacito di Perissinotto stesso, ha una visione diversa: Generali per poter crescere, espandersi all’estero e diversificare gli investimenti deve avere più munizioni. Ma Mediobanca, come anche molti altri soci seppure danarosi sono o contrari o restii. Il capo azienda ha rivelato: avevo auspicato un aumento di capitale, ma Piazzetta Cuccia ha detto di no. E’ la dimostrazione, secondo Perissinotto che oggi in cda potrebbe essere spalleggiato da Diego Della Valle, che Generali deve evolvere verso una sorta di public company internazionale oppure resterà anchilosata all’Italia. Beninteso, l’ad sotto accusa si erge quasi a “patriota”: “Siamo stati e rimaniamo leali sostenitori del debito sovrano del governo italiano”.

    E’ la riprova, si dice in ambienti milanesi, di quanto Perissinotto sia più vicino al governo Monti (a partire dal ministro Corrado Passera) di quanto lo sia Mediobanca, inviperita per la norma contro i doppi incarichi nei board di banche e assicurazioni, stupita del protagonismo della Cdp del Tesoro (criticato da Telecom di Franco Bernabè) anche sulle reti di nuova generazione e irritata per le sintonie latenti tra Perissinotto e Intesa (che si è defilata dal piano nageliano su Fonsai). A ieri sera, si dava per certa la sfiducia a Perissinotto: 12 consiglieri sui 17 venivano considerati a favore della sostituzione con Mario Greco. Napoletano, forti agganci a Torino e un legame assiduo con un custode del potere sabaudo come Franzo Grande Stevens (suo parente). E’ anche questa la formula segreta di Greco, oltre a una lunga carriera nella finanza e nelle assicurazioni. Carriera che si è incrociata spesso con quella di Enrico Tomaso Cucchiani di Intesa. E dire che a ben guardare il vero “tedesco” è lui, Greco, più di Cucchiani. Un “tedesco” capace di aspettare a lungo e in silenzio il suo momento fino alla chiamata dell’antico alleato Nagel.