Il capocomico e i talkisti

Giuliano Ferrara

Grillo mi ha definito in pubblico “palla di merda”, deve essere molto attaccato ai suoi ricordi ginnasiali e non deve essergli piaciuto che io lo abbia chiamato “male assoluto”, “spregevole demagogo” o “vecchia carcassa di attore annoiato in cerca di avventure”, e dei miei complimenti (“oratore politico irresistibile”) evidentemente se ne infischia. Ma perché adesso dà di pappagallo a Lerner, Santoro, Annunziata, Floris, e insinua che una puzza di cimitero promani dagli studi dei loro talk-show?

    Grillo mi ha definito in pubblico “palla di merda”, deve essere molto attaccato ai suoi ricordi ginnasiali e non deve essergli piaciuto che io lo abbia chiamato “male assoluto”, “spregevole demagogo” o “vecchia carcassa di attore annoiato in cerca di avventure”, e dei miei complimenti (“oratore politico irresistibile”) evidentemente se ne infischia. Ma perché adesso dà di pappagallo a Lerner, Santoro, Annunziata, Floris, e insinua che una puzza di cimitero promani dagli studi dei loro talk-show? Michele Serra, autore di Saviano e Fazio, lo ha bastonato su Repubblica dicendo che è diventato come Bossi, si crede un rais, e in effetti la rima Grillo-Caudillo è irresistibile come il suo folgorante turpiloquio, questo lo avevamo capito da tempo. Anche il direttore del giornale tribuna, sempre serio e compito, si preoccupa. Grillo fa storcere un sacco di nasi, umilia il Pd, si prende i voti della Pdl, spara alto contro gli zombi, e alla fine mette in uno stesso coacervo di conduttori omologati dall’insignificanza un sacco di gente molto perbene che gli ha voluto tanto bene e continua e forse continuerà a adularlo. E qui noi “contenitori di merda liquida”, altra definizione grilliana nostalgica della scuola media inferiore e superiore, ci facciamo qualche domanda allegra. Si tratta pur sempre di commedia dell’arte, di un fenomeno di palchi e platee, teniamo le distanze da noi stessi quando la democrazia discutidora ci induce per necessità al confronto con le maschere che prendono voti e applausi, applausi e voti.

    La prima ipotesi è che Grillo sia divinamente ispirato, che stia facendo la rivoluzione, e certo di una vera rivoluzione italiana, annichilamento del già visto, del già sentito, non può non far parte anche la cancellazione dei talk-show, che sono la manifestazione più rovinosa del declino del linguaggio politico, del rispetto della realtà e della democrazia politica, come abbiamo scritto molto prima che Grillo, allora nelle mani di Pippo Baudo, si facesse sentire. Non perché i succitati colleghi non siano persone d’onore, professionisti egregi, ma per un’altra ragione: perché hanno affondato i loro artigli nel pantano della televisione “antiveritativa”, estranea all’esposizione consapevole di chi parla, consentanea corrivamente alla rassegna urlazzata di opinioni tutte sullo stesso piano, con trionfo regolare della demagogia. Grillo che fa un repulisti, incorona la rete dei giovani estranei al mondo dorato del talk, propone un nuovo linguaggio e fa del vaffanculo lo stigma di una nuova pianta, fondata sulla responsabilità pulviscolare e anonima dei luoghi di nuova tendenza del web? La nuova agorà? Possibile, ma improbabile. Perché i nuovi bersagli del comico di Genova sono gli stessi che lo hanno coccolato, che hanno reso possibile sui giornali, oltre che sui talk, la presa sul serio, di smisurata ipoironia, del fenomeno mediatico a cui gli elettori di Parma e Budrio hanno dato giustamente credito politico amministrativo parziale, mentre si preparano a più altri destini.

    La seconda ipotesi è che Grillo abbia pestato una cacca, come direbbe forse lui, ma cacca è un po’ troppo elegante. Berlusconi accettò sempre solo un confronto diretto con tutti gli altri, sapeva usare il vecchio mezzo televisivo, sapeva farsi re e volle farsi re, ma amava la tv e ne era riamato. Grillo si sottrae, mandando in bestia i bulimici del talk. E adesso li aggredisce, li stuzzica, vuole affermarsi non solo in opposizione ai partiti, alle tasse, non solo reclamando i voti leghisti e quelli mafiosi, ma sopra tutto distinguendosi con rabbia dai “pupari di regime”, espressione che userebbe se facesse parte di un vocabolario abbastanza basso per le sue tirate avanspettacolari. Qui forse si sbaglia. La distruzione dei partiti, consenzienti, è cominciata quando accettarono di sottomettersi alle intemerate di Crozza da Floris, alle invettive di Travaglio da Santoro e alle “discuzzioni” di miglior livello possibili dalla Badessa e da Gaddino il lunedì, quando i barbieri sono chiusi. La radicalità della frattura che Grillo cerca di affermare, richiamando i suoi dalla voglia di talk, proibendo comparsate in mezzo a partiti e giornalisti, ha qualcosa di interessante. Non ha letto molto, si capisce, ma deve avere letto Aldo Grasso. Però è difficile prevedere un esito di successo. Può darsi che i talkisti abbiano bisogno comunque di lui e gli mantengano affetto e sudditanza nonostante gli schiaffi, può darsi che no. E sarebbero guai.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.